Nella notte tra il 2 e il 3 maggio 1945, le truppe tedesche operanti a Fiume e nella sua cinta difensiva, agli ordini del colonnello Zimmermann, seguendo le disposizioni del comando del XCVII Corpo d’Armata, si sganciarono con azione rapida ed efficace congiungendosi con il resto delle forze germaniche volte a raggiungere la città di Lubiana per costituire l’ultima resistenza. Breve illusione. Dopo scontri intensi e sanguinosi il generale Ludwig Kuebler dovette, il 6 maggio, dare ordine di deporre le armi. Nello stesso giorno del 3 maggio, a Trieste gli ultimi combattenti germanici, reparti di SS, asserragliatisi nel Palazzo di Giustizia, si arresero alle sopraggiunte truppe neozelandesi, i quali poi, incuranti delle inesorabili e dichiarate conseguenze, li consegnarono agli slavi che ne fecero strage in alcuni campi di prigionia. La medesima sorte si ebbe nella penisola istriana e nella città di Pola. Là dove i tedeschi abbandonavano il campo o si arrendevano, leste e feroci arrivavano le bande titine.
Aveva inizio così la seconda fase della ‘pulizia etnica’ con gli scannamenti le foibe gli annegamenti le fucilazioni dopo quella verificatasi al momento dello sbando dell’esercito regio dopo l’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre. La lunga, sottaciuta, negata, dispregiata tragedia delle popolazioni del confine orientale. L’esodo di trecentocinquantamila italiani della Dalmazia dell’Istria della Venezia Giulia, doppiamente esuli. Dalla loro terra e in una patria che poco o nulla intendeva curarsi del loro dramma. Odiati dai comunisti che li accolsero nel porto di Ancona a sputi insulti lancio di pietre; che impedirono ai treni che li trasportavano di fermarsi alla stazione di Bologna dove la sede vescovile aveva predisposto un pasto caldo. E cinquantamila di loro furono costretti ad accettare l’umiliazione di un passaporto da apolide per potersi trasferire in Australia e in altre parti del mondo. Tutto per non inquietare il Maresciallo Tito, uomo di tutte le stagioni e per ogni occasione, prima con le spalle coperte dall’Unione Sovietica e, successivamente la rottura con Mosca del 1948, cuscinetto ‘non-allineato’ tra i due blocchi…
10 febbraio, giornata del Ricordo. In tutta Italia si predispongono iniziative convegni fiaccolate presidi (anche quelli antifascisti di segno opposto). Piazze strade giardini stele targhe sono stati dedicati ai martiri delle foibe. Ad esempio, la sera dell’8 mio figlio, particolarmente sensibile a questa vicenda, le dedica uno spettacolo da lui ideato rappresentato recitato dal titolo ‘Io ricordo’. Mi tornano a mente i versi di Dante, IX canto dell’Inferno: ‘Sì come a Pola presso del Carnaro, ch’Italia chiude e i suoi termini bagna’. E il dipinto di Giuseppe Lallich ‘Il bacio della bandiera’ a ricordo del giuramento di Perasto, piccola città nelle bocche del Cattaro, gonfaloniera del vessillo di battaglia della Serenissima Repubblica di Venezia, 23 agosto 1797. L’ammaina bandiera e la sua deposizione sotto l’altare della chiesa e le parole del Podestà, il conte Giuseppe Viscovich, tanto care al D’Annunzio dell’impresa fiumana ‘…e fedelissimi sempre se avemo reputà Ti con nu, nu con Ti’. Oppure la lettera al Mazzini, tramite Macedonio Melloni, in cui il presidente Abramo Lincoln riconosceva l’italianità di quelle terre…
Bene… voglio raccontarvi una storia, una fra le tante possibili, ma che a me appare carica di molteplici valenze, dramma nel dramma. Mentre gli slavi entrano a Fiume e la popolazione si chiude in casa, sbarrando porte e finestre, il maresciallo Vito Butti, comandante della stazione della Guardia di Finanza a Borgomarina, si trova nella sua abitazione in città assieme alla moglie croata. Qualcuno viene ad avvertirlo che i titini stanno portando via i giovani finanzieri. Non ha esitazione. Chiede alla moglie l’uniforme, che lei stessa gli aveva cucito, l’indossa ed esce. ‘Non posso lasciare da soli i miei ragazzi’, mormora chiudendosi la porta alle spalle. Lo ritroveranno denudato torturato ucciso in un bosco diversi giorni dopo. Mi piace pensare quest’uomo, non più giovane, con la divisa che attraversa le vie di Fiume per andare, consapevole, incontro al destino. Non soltanto un italiano, un regnicolo come si definivano allora coloro che arrivavano dalla penisola (mi sembra di ricordare che fosse di Ravenna o dintorni), con animo fiero e di nobili intenti. Un soldato che nella divisa porta un accresciuto senso del dovere. Essere d’esempio perché questo dovrebbe richiedere la scelta compiuta.
A Venezia, Riva degli Schiavoni (qui attraccavano i battelli dei mercanti dalmati), facciata della caserma della Guardia di Finanza, lapide a cura della Scuola dalmata dei S.S. Giorgio e Trifone: ‘Su questa riva – i valorosi soldati schiavoni – decisi a difendere Venezia – costretta da ingiunzione straniera – ad abbandonare la città – espressero pubblicamente – i plurisecolari legami di fedeltà – che univano la Dalmazia – alla repubblica veneta – 1797 e lo stemma con le tre teste di leone incoronate. Diversi anni fa avevo una alunna il cui padre era istruttore alla scuola sottufficiali della Guardia di Finanza, via Ventuno Aprile. Gli chiesi se poteva rintracciare il nome del maresciallo Vito Butti, se vi era uno spazio che lo ricordava, un riconoscimento del suo sacrificio. Risposta negativa…
Ad altri ‘eroi’ (venticinque aprile e dintorni) la cura l’attenzione il consenso l’onore e il plauso. Allora, questa giornata del Ricordo con le istituzioni le bandiere esposte fuori gli edifici pubblici i politici in prima fila, beh, forse andrebbe ripensata vissuta celebrata ‘senza odio né rancori, ma con tanta amarezza. Solo perché non si dimentichi che in Istria si combattè per l’Italia’, così Luigi Papo, fra i grandi Maestri dell’esodo e che volle onorarmi della sua amicizia e stima, nel libro ‘L’ultima bandiera, storia del reggimento Istria’. Ed io aggiungo con discreto e solido disprezzo verso chi, cialtrone e in malafede, untore della razza più infida, inocula giorno dopo giorno tossine venefiche dell’obbrobrio della dimenticanza della menzogna. Gli infoibati gli esuli i testimoni e gli eredi di quella tragedia meriterebbero maggiore rispetto…
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