10 Ottobre 2024
Controstoria Futurismo Storia

11 gennaio 1919: serata futurista a Milano (parte prima)

di Giacinto Reale

Nella irrequieta Milano del primo dopoguerra, futuristi ed Arditi assumono la guida di tutti quei gruppi, (“politici”, come i repubblicani, i sindacalisti rivoluzionari e i “mussoliniani”, e “combattentistici”, come i mutilati, i decorati, i volontari, i profughi dalmati) accomunati, aldilà della diversa provenienza, dall’unica costante di cercare valori “nuovi”, non ben individuati e, forse, non uguali per tutti, ma sentiti come necessari per poter uscire dallo stato di impasse, quando si rischia che “il dopoguerra sciupi la guerra”, come ha scritto Mussolini.


La sera dell’11 gennaio, questi gruppi portano a compimento la loro prima azione del dopoguerra, contestando e facendo praticamente fallire il comizio che Leonida Bissolati, invitato dalla “Famiglia italiana per la Società delle Nazioni” avrebbe dovuto tenere alla Scala. Il popolare leader riformista, che è stato volontario in guerra nonostante l’età, si propone di spiegare in pubblico, dopo una tanto discussa intervista al “Morning Post”, i motivi delle sue dimissioni dal Governo, provocate da contrasti con Orlando e Sonnino sull’atteggiamento da assumere di fronte alla pace. Impegnato nell’affermazione di ideali umanitari ed internazionalistici, Bissolati arriva infatti a teorizzare la rinuncia all’Alto Adige, al Dodecaneso ed alla Dalmazia, senza considerare quanto ancora sia troppo vivo nella memoria e nel cuore di tutti l’alto costo in vite umane e sacrifici della guerra, per poter rendere accettabile il suo discorso.

Per di più, già si profila all’orizzonte il tentativo degli alleati di ieri di fare della nostra vittoria una “vittoria mutilata” come annota a Capodanno, riprendendo il titolo del suo articolo apparso sul Corriere della Sera del 24 ottobre dell’anno precedente, D’Annunzio nel Diario, : “1919, anno terribile nel quale gli italiani dovranno superare una prova più dura di quella di Caporetto. Tutti i buoni italiani devono dire “vittoria nostra non sarai mutilata”.

E’ evidente, quindi, che le posizioni bissolatiane non possono trovare alcun consenso nella pubblica opinione già interventista ed oggi “non rinunciataria”. Lo testimonia l’imbarazzo e lo sbandamento degli stessi sostenitori del leader riformista, messi in difficoltà e rintuzzati dall’offensiva di tutti i settori dell’interventismo, sia democratico di sinistra che nazionalista di destra. Per questi settori, il comizio di Bissolati appare come una provocazione: impedire a Bissolati di parlare, o, perlomeno, contestarne il discorso ed imporre il contraddittorio, nel quale, eventualmente toccherebbe a Mussolini il compito di contrastare le tesi dell’avversario, diviene quindi l’imperativo categorico dei “non rinunciatari”.

Tra Mussolini e Bissolati intercorre un vecchio rapporto di conoscenza, che ha avuto fasi alterne: al Congresso socialista di Reggio Emilia, nel 1912, il primo è stato il presentatore di una “lista di proscrizione” che chiedeva l’espulsione dal PSI del leader riformista, per “gravissima offesa allo spirito della dottrina e alla tradizione socialista”; l’ostilità tra i due è continuata durante il periodo della direzione mussoliniana dell’Avanti, per poi attenuarsi nel corso della campagna interventista, allorché si sono trovati schierati sulle stesse posizioni.

Finita la guerra, di fronte all’atteggiamento rinunciatario di Bissolati, Mussolini non può non manifestare il suo dissenso, pur facendo salva una certa personale considerazione del vecchio leader, che, ancora alle lezioni di novembre, sarà appoggiato dai fascisti cremonesi. Per ora, comunque, il divario tra i due appare incolmabile.

E’ quindi con intenzioni bellicose che futuristi, Arditi ed interventisti, con in testa Martinetti, Vecchi e Mussolini si presentano in folto gruppo al teatro, decisi a contrastare in ogni modo l’oratore; le difficoltà pratiche per realizzare un simile intendimento, che derivano dalle precauzioni messe in atto dagli organizzatori della serata, sono superate con un po’ di buona volontà ed un pizzico di fantasia: Marinetti, che è riuscito a procurarsi un biglietto, entra nel teatro e “prende possesso” di un palco, dopo di che, con lo stesso biglietto, riciclato più volte, riescono ad entrare anche altri: Ernesto Daquanno, Armando Mazza, i fratelli Besozzi, etc.


Alla prima occasione, non appena l’oratore prende la parola, i contestatori provocano l’incidente: grida, fischi e conseguente cazzottatura con i poliziotti che cercano di espellerli e con qualche bissolatiano che, dal basso, prova a dare la scalata al palco; alla porta si mette allora il poeta “parolibero” Armando Mazza, “eccellente declamatore di versi, tonante dicitore di manifesti tecnici futuristi”, ma anche erculeo, con un fisico da lottatore greco-romano, che garantisce contro ogni tentativo di defenestrazione. (segue)

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