di Giacinto Reale
Arrivati nella cittadina, già nel percorso dalla stazione al teatro Gaffurio, sede dell’adunata, i fascisti vengono fatti oggetto di insulti e minacce da parte di gruppi di sovversivi, ben intenzionati a ripetere l’intimidazione di qualche giorno prima; giunti, comunque, al teatro, gli squadristi si dispongono in Galleria e sul palco, strategicamente, in modo da poter fronteggiare nel modo migliore un assalto avversario che, a questo punto, appare più che probabile. Esso, infatti, puntualmente si verifica, allorché una massa urlante, sfondato il portone, invade la platea; in un attimo il palcoscenico è bersagliato da tavole, attaccapanni, sedie divelte ed altri oggetti contundenti; per qualche minuto la rissa si spezzetta in una serie di corpo a corpo isolati, finché dal fondo della sala vengono esplosi dei colpi di pistola, ed è il fuggi fuggi degli aggressori, che lasciano sul terreno un morto e due moribondi.
Il gruppo fascista, rimasto padrone del teatro, è arrestato quasi per intero dalla forza pubblica finalmente sopraggiunta; l’elenco dei carcerati di Lodi comprende alcuni nomi destinati a diventare famosi nell’ambiente fascista e squadrista; vi sono, tra gli altri, Italo Bresciani, Leandro Arpinati, Arconovaldo Bonaccorsi, Luigi Freddi e Asvero Granelli.
L’episodio, nel suo drammatico epilogo, è in buona parte causato dall’incapacità dell’apparato poliziesco a fronteggiare, o meglio, a prevenire situazioni di estrema pericolosità. Il precedente, riuscito, tentativo di impedire il comizio fascista, e la dichiarata volontà di non subire la prepotenza per la seconda volta, lasciavano prevedere una concreta possibilità di incidenti. Eppure, nulla viene messo in atto per prevenire il contatto fra i due gruppi avversari, la cui grande disparità numerica faceva presumere, e legittimava quasi, l’uso delle armi da parte dei più deboli, che rifiutavano il ruolo predestinato di vittime di un atto di violenza e sopraffazione. Certo, fuor di luogo in questo caso parlare di connivenza delle autorità con i fascisti, ché anzi, prevedibilmente essi avrebbero dovuto avere la peggio nel confronto con la massa sovversiva e, quindi avrebbero piuttosto tratto giovamento da una forte presenza di poliziotti e Carabinieri.
E’ più esatto attribuire l’inerzia dei pubblici poteri ad una radicata tendenza a “lasciar fare, lasciar perdere”, a lasciare, cioè, che le fiammate si spengano da sole, ed intervenire solo nei casi più estremi. Tendenza che sarà ufficialmente adottata dal Governo nei mesi a venire, di fronte alle occupazioni di terre, alle rivolte paesane e cittadine, fino alle occupazioni delle fabbriche.
Sul versante fascista, i fatti di Lodi confermano da un canto la “coriacità” dei primi squadristi, disposti anche a fare ricorso al “fuoco fermo” se necessario, in situazioni di grave pericolo, dall’altro ripropongono l’efficacia risolutrice di un intervento deciso e duro, pure a costo di provocare delle vittime, come unico modo per difendere i propri diritti e sopperire alla grande inferiorità numerica. La detenzione,per alcuni degli arrestati, si protrarrà fino a nove mesi di carcere preventivo; in cella, Arconovaldo Bonaccorsi si scopre insospettate doti di stornellatore ed è l’organizzatore dei cori carcerari. Mano a mano che usciranno, il liberati porteranno l’eco delle loro canzoni per le vie di Milano, con un ritornello che ricorda la prova del fuoco vittoriosa: “Pussisti di Milano / Attenti, che diluvio / Ritornano da Lodi / I fascisti del Gaffurio”
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