L’11 luglio, a Spalato, nel corso di violenti incidenti con la popolazione locale, vengono uccisi un Ufficiale e un marinaio italiano; per protesta, il Fascio di Trieste, che è particolarmente sensibile a tutto ciò che avviene nelle terre del confine orientale, organizza, per il giorno 14, un comizio in piazza dell’Unità, durante il quale è pugnalato a morte da comunisti slavi un italiano, simpatizzante fascista, il cuoco Giovanni Nini.
Immediata la reazione dei compagni di fede dell’ucciso, che attaccano la sede cittadina delle organizzazioni slave, all’hotel Balkan, incontrando, però la dura reazione degli occupanti, che si difendono dall’interno, con fucilate e lanci di bombe; deve intervenire la truppa con le mitragliatrici, e solo così si riesce ad aver ragione degli assediati.
Lo scontro a fuoco dura, ininterrottamente, per oltre venti minuti, dopo di che, sul Balkan muovono tre colonne fasciste, da diverse provenienze, via Roma, via S. Spiridione, via Dante, seguite dalla gran massa della popolazione triestina; al termine dell’azione, con una ritualità destinata diventare abituale e già sperimentata nell’assalto all’Avanti del 15 aprile dell’anno precedente, viene dato fuoco all’edificio. Le fiamme irradieranno i loro bagliori sulla città per diversi giorni, alimentate probabilmente anche dagli esplosivi ancora all’interno dello stabile, e senza che sia consentito ai vigili del fuoco di intervenire.
Alla guida del fascismo triestino vi è Francesco Giunta, dallo “stupendo coraggio”, instancabile animatore di un Fascio che si è inserito a pieno titolo in una realtà locale difficile, per la forte presenza slava e sovversiva, in funzione antiitaliana.
Egli, “lungo, smilzo Tenente dei Granatieri, con gli occhi grifagni e il naso adunco, un vero fiorentino nel profilo e nel linguaggio”, nonostante le difficoltà, ha saputo fare del fascismo triestino, con il suo spericolato attivismo e le sue capacità organizzative, un sicuro punto di riferimento per tutto il movimento; infatti, proprio a Trieste, vengono costituite ufficialmente, a metà maggio, le prime squadre d’azione, che fanno loro il motto coniato da D’Annunzio per il gagliardetto di un Reparto di mitraglieri legionari a Fiume: “me ne frego”.
La costituzione delle squadre avviene il 12 maggio, in occasione dell’assemblea generale del Fascio triestino: ogni squadra è formata da 30 a 50 elementi, è guidata da un ex Ufficiale ed ha assegnata la sorveglianza e la difesa di una zona della città, che è stata divisa in distretti, con criteri militari; l’armamento individuale è il più vario: dal bastone alla sciabola, dalla pistola alla bomba a mano, e nelle occasioni di mobilitazione, la riunione è fissata nelle palestre di alcune scuole cittadine, da dove poi gli squadristi muoveranno sugli obiettivi assegnati.
La suggestione dell’esperienza bellica è forte all’interno delle squadre: vengono, infatti, prese precauzioni sussidiarie, come l’uso di un codice speciale per comunicare, e l’adozione di una parola d’ordine che varia di mese in mese. Anche la tessera del Fascio, per evitare contraffazioni ed infiltrazioni, è contrassegnata sul retro con una stella a cinque punte, non riproducibile; i fascisti, infatti, vogliono evitare di restare vittime dello stesso scherzetto che sono soliti organizzare per i loro avversari, allorché, nelle giornate di maggiore agitazione sociale, arrivano da Fiume degli Arditi non conosciuti in città che si infiltrano, con vistosi garofani rossi all’occhiello, nei cortei e vanno su e giù per i quartieri rossi, in modo da tenere sotto controllo la situazione.
L’importanza dell’episodio del 14 luglio è rilevantissima, tanto da farlo giudicare “vero battesimo dello squadrismo organizzato”; nei fatti, esso ripropone, a più di un anno di distanza da quel fatidico 15 aprile, la validità e l’efficacia risolutiva di un’azione diretta contro i sovversivi che, a Trieste, sono anche “stranieri”.
La distruzione del Balkan, peraltro, dimostra ancora una volta che gli unici in grado di contrastare e sconfiggere i socialisti sullo stesso terreno sul quale essi sono stati fino adesso incontrastati dominatori, quello della violenza di piazza, sono i fascisti; prende corpo così il mito dell’invincibilità fascista (non più necessariamente “ardita”), al quale fa da contrappunto il declino dell’altra assoluta convinzione postbellica, quella dell’invincibilità e dell’imbattibilità socialista.
Mussolini, sul Popolo d’Italia parla di “capolavoro del fascismo triestino”, e veramente, le fiamme del Balkan danno una boccata di ossigeno ed un anelito di speranza per un ambiente compresso e da troppo tempo sulla difensiva.
Una settimana dopo Trieste, a Roma si registra un altro episodio di reazione antisocialista: qui la rivolta esasperata di cittadini stanchi degli scioperi e delle prepotenze sovversive sfocia, dopo la morte di un nazionalista, nella distruzione della tipografia dell’Avanti.
Tutto comincia quando la città, al termine di un lungo sciopero dei tranvieri, è percorsa da vetture che, in segno di vittoria, inalberano bandierine rosse: proprio a seguito dello scontro di uno di questi tram, in piazza di Santa Maria Maggiore con un’altra vettura, che, presidiata dai nazionalisti, inalbera invece il tricolore e la successiva morte di un nazionalista, nasce la reazione che si estende a tutta la città.
A scendere in piazza sono in gran parte cittadini comuni, stanchi per il lungo sciopero ed irritati per l’imbandieramento a rosso delle vetture su cui devono per necessità salire; a muoversi è, quindi, una : …massa di pubblico che, a causa di questo sciopero ha dovuto fare delle lunghe camminate a piedi con un calore torrido è esasperata: si monta sulle vetture, si strappano le bandiere, si percuotono i conducenti”
Anche in questo caso, probabilmente, come già avvenuto in episodi consimili di incidenti tra scioperanti ed utenti esasperati, tutto si risolverebbe in zuffe circoscritte, se non ci scappasse il morto, che porta alle stelle una tensione troppo repressa, destinata a durare per alcuni giorni in città, con altri episodi di intolleranza, come la bastonatura dei parlamentari socialisti Modiglioni e Della Seta e l’assalto alla tipografia di Epoca, dove si stampa provvisoriamente l’Avanti.
A Roma, quindi, come a Trieste l’azione dei primi squadristi si svolge fra il consenso e l’incitamento quasi della pubblica opinione, di quei privati cittadini che, quando il livello dello scontro sale, “passano la mano” ai più esperti e decisi elementi, in prevalenza ex combattenti, fascisti a Trieste e nazionalisti a Roma.
Nella capitale, infatti, le camicie azzurre di Federzoni sono, per il momento, più forti numericamente ed organizzativamente degli amici-rivali mussoliniani: il fascismo romano si colloca molti gradini più giù di quello milanese, in una babele di linguaggi ed intendimenti che non lascia ben sperare e viene fuori in ogni pubblica manifestazione (segue)
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