Volo di seggiole e bastoni – Guardia del corpo della borghesia?
17. VOLO DI SEGGIOLE E BASTONI
Il primo congresso nazionale dei Fasci di combattimento, tra mille difficoltà organizzative, e contro la mobilitazione avversaria, si inaugura il 9 ottobre a Firenze, dopo che la data è stata più volte spostata, anche a causa della difficoltà di reperire in città una sede idonea.
E’ un congresso sicuramente atipico rispetto a quelli degli altri partiti, caratterizzato dal frequente ripetersi in città di zuffe ed incidenti:
“Gli ordini del giorno del congresso di Firenze vennero scritti a suon di rivoltellate ! Ad ogni fine di seduta i congressisti dovevano aprirsi il varco, fra la ciurmaglia sovversiva, con le armi in pugno. E i discorsi di chiusura vennero tenuti in piazza, fra un volo di seggiole e bastoni,. In testa all’esiguo manipolo marciavano, con passo d’assalto, Mussolini, Marinetti, Arpinati, e ricordiamo i vecchi ora scomparsi: Gioda, Angelini, Besana, Aversa…”
In questo contesto vivace ed animato, si inserisce l’episodio dell’aggressione a Mussolini; vediamone la versione che ne darà Eno Mecheri, il quale contrappone la sua testimonianza a quella fornita da Mussolini stesso alla Sarfatti:
“Ma, all’amica Sarfatti, di bugie ne disse non poche, per apparire più gallo di quel che non fosse. Fece raccontare, ad esempio, anche questa, a riguardo del primo congresso nazionale dei Fasci, che si svolse a Firenze ai primi dell’ottobre 1919.: “Il congresso si aggiorna per la colazione e il Mussolini, che odia le festosità conviviali, siede solo a un ristorante di piazza Vittorio Emanuele. E’ il tocco. Firenze passeggia e chiacchiera, lo riconoscono gruppi di quattro o cinque giovinastri, complottano la mala beffa, si preparano a sfilargli innanzi buttando accanto ognuno un soldino di rame. Ma al primo che passa, la grossa rivoltella d’ordinanza è uscita di tasca, bene in vista sul tavolino. Non si alza e non la impugna, solo dice a voce chiara: “Il primo che ancora passa qui gli sparo”
Invece l’episodio si svolse di sera e protagonista fu semplicemente l’anarchica Latini, compagna del noto anarchico Gavilli. Ma andò così: quella sera l’Associazione combattenti offrì un rinfresco ai congressisti fascisti nella sua sede di piazza Ottaviani. Sul finire, vennero ad avvertire che fuori, in strada, passeggiava con aria sospetta e le mani in tasca la ben conosciuta anarchica Latini. Per l’uscita furono perciò prese tutte le precauzioni, tanto più che la città si era rivelata ostile, dominata com’era dall’elemento sovversivo, mentre i fascisti locali si riducevano ad una ventina di persone, in maggioranza intellettuali, e quindi alieni da violenze (bisogna ricordare che il bellicoso fascismo fiorentino sorse due anni dopo, nel 1921).
In gruppo serrato, con in mezzo Mussolini, usciamo dunque per recarci nella vicina piazza Vittorio Emanuele, dove sedemmo ai tavolini posti all’aperto del Pazschosky, per prendere il caffè. Indubbiamente i neutralisti erano sulle nostre mosse, perché, dopo pochi minuti, una colonna di essi sopravvenne da via Roma, al canto di “Bandiera rossa”, per attaccarci. Fu proprio mentre contraccavamo, mettendo in fuga l’avversario, che l’anarchica Latini ne profittò per realizzare il disegno certamente premeditato. Essa riuscì infatti ad avvicinarsi al tavolo dove Mussolini era rimasto seduto quasi solo, scagliandogli addosso una manciata di monete di rame, senza incontrare reazione alcuna, anche perché, nella confusione del conflitto che si svolgeva nella piazza, ella seppe eclissarsi rapidamente tra la folla.”
Sulla stessa linea, e forse ancora più malevola, la versione di De Vecchi:
“Alla fine dei lavori, ci scontrammo con i socialcomunisti, i quali ci affrontarono in strada, a bandiere spiegate, all’altezza del monumento a Vittorio Emanuele II. La folla che ci fronteggiava era compatta e armata di randelli. Eravamo insieme Ferruccio Vecchi, Marinetti e io. Mussolini era in disparte, a pochi passi da noi. “Che si fa?” domandò Vecchi “Si fa a cazzotti” ribattè Marinetti. “Non c’è altro da fare, anche se loro hanno i bastoni e noi siamo a mani vuote”. “Se ci vogliono, siamo qui” dissi io. Riguardai attorno e aggiunsi: “E Mussolini?” “Fare a botte non è il suo forte” disse Vecchi. Ci mettemmo attorno a Mussolini e lo convincemmo a rifugiarsi in un caffè di cui abbassammo subito la saracinesca. Alcuni collaboratori lo seguirono per tenergli compagnia. Il primo scontro fu a urli, poi cominciarono le botte. Girandole di legnate, dalle quali ci difendevamo, servendoci come scudi delle sedie del caffè che erano di ferro e risuonavano come campane. “Dai Cesare” gridava Marinetti, “sei un cazzottatore perfetto!…” E io di rimando “Faccio quello che posso, ma stai tranquillo che non mi lascio menare gratuitamente da quella teppaglia !..”
Mussolini è arrivato a Firenze reduce da Fiume, dove si è recato con un avventuroso viaggio in aereo, del quale dà subito notizia all’assemblea, per confermare gli ottimi legami che lo uniscono personalmente a D’Annunzio.
Nel corso dei lavori egli assume una posizione sostanzialmente mediana tra le varie posizioni sui maggiori problemi del momento; si dice fermamente per D’Annunzio, ma contrario ad ogni progetto insurrezionale; riconferma la sua ostilità al Partito socialista, ma lo distingue nettamente dal popolo e dal proletariato al quale va la sua simpatia. A carattere più generale, chiede l’abolizione della censura sulla stampa e, soprattutto, propone l’ipotesi di un rilancio del “blocco” con gli interventisti di sinistra, in funzione antigovernativa.
E’ più possibilista Bianchi, che dichiara di preferire il criterio del “caso per caso” in vista delle prossime elezioni, senza nessuna adesione preconcetta si soli blocchi degli ex interventisti di sinistra, come vuole la gran parte del fascismo milanese:
“La guerra sarà la piattaforma delle prossime elezioni. E i fascisti, per la loro dignità, per la loro fierezza, non possono non raccogliere il guantone sfida. Quale ragione sostanziale milita perché da un’alleanza elettorale debbano essere esclusi gli interventisti di destra? Io non ho nessuna ragione particolare di simpatia per gli interventisti di destra, e nessun motivo di antipatia personale per gli interventisti di sinistra…”
Altri protagonisti delle giornate fiorentine sono Umberto fabbri, Giacinto Francia, Delcroix e Marinetti, che, in particolare, insiste per l’immediato “svaticanamento” dell’Italia.
Alla fine, sono approvati quattro ordini del giorno: a favore della classe operaia, per l’abolizione della censura sulla stampa, di solidarietà a D’Annunzio, e per le prossime alleanze elettorali.
Quest’ultimo, che è il più importante, ha una precisa indicazione di sinistra: in esso infatti, è detto a chiare lettere che “il blocco preferibile per i fascisti è quello che comprende i volontari di guerra, gli Arditi, gli smobilitati, i combattenti, i repubblicani, i socialisti interventisti, i futuristi”.
Umberto Pasella che è succeduto ad Attilio Longoni, dimissionario dopo alcuni mesi, forse per sospette irregolarità amministrative, nella carica di Segretario generale, comunica i dati relativi alla diffusione del movimento: 137 Fasci costituiti, 62 in via di costituzione, 40.385 aderenti. Sono dati soddisfacenti, sia pure con un valore molto relativo: si tratta, per lo più, di associazioni molto aleatorie, i primi Fasci sono veramente “nuvole che il vento aduna, disperde e raduna per poi disperdere ancora”.
Indette le elezioni per il 16 novembre, il primo tentativo fascista, in conformità ai deliberati fiorentini, è quello di cercare un’intesa a sinistra. La manovra si dimostra, però, ben presto poco praticabile, anche per la personale avversione a Mussolini da parte di molti suoi ex compagni: si ripete a Milano una situazione di stallo, già verificatasi in agosto, allorché analoghe trattative avevano trovato da un canto l’ostilità dei repubblicani e dall’altro i mugugni dei più intransigenti fascisti, contrari ad ogni ipotesi “blocchista”.
I fascisti decidono allora di scendere in campo da soli, con una propria lista, nel capoluogo lombardo, appoggiati da futuristi, Arditi e volontari di guerra; la lista è subito soprannominata “blocco Thevenot”, dal nome di un petardo molto usato in guerra, o “blocco delle teste di ferro”, a conferma degli stretti legami con Fiume dannunziana.
La lista si compone di venti nomi: è capitanata da Mussolini, e con lui figurano candidati di spicco come Marinetti, il Magg. Baseggio, Guido Podrecca, Agostino Lanzillo, Mazzuccato, Bolzon e il maestro Arturo Toscanini.
18. GUARDIA DEL CORPO DELLA BORGHESIA?
Un clima teso ed artatamente montato contro i fascisti, dipinti come servi della borghesia e guardie bianche dl capitale circonda fin dall’inizio i propagandisti e gli oratori della lista; la mistificante attribuzione di un ruolo che i fascisti rifiutano è stata denunciata da Mussolini già al congresso:
“Una rivoluzione politica si fa in 24 ore, ma in 24 ore non si rovescia l’economia di una Nazione che è parte dell’economia mondiale. Noi non intendiamo con questo essere considerati una specie di “guardia del corpo” di una borghesia che, specialmente nel ceto dei nuovi ricchi, è semplicemente indegna e vile. Se questa gente non sa difendersi da se stessa, non speri di essere difesa da noi, noi difendiamo la nazione, il popolo nel suo complesso.”
I propagandisti fascisti lo ripeteranno per ogni dove; se la gente vorrà capire, bene, ma per quelli in mala fede verranno i fatti. “…ci gabellano per reazionari. Se ne accorgeranno al momento opportuno”ha scritto Pasella in settembre ad un fascista piombinese.
L’altra faccia di questa mistificazione è la forzata identificazione tra il socialismo di “padron Serrati”e il proletariato tout court; questo autorizza a considerare automaticamente antiproletaria ogni azione antisocialista:
“…Ma in tutta Italia gli affiliati al Partito socialista ufficiale non arrivano a 30.000; ma in Italia gli organizzati della CGL, che segue il Partito, non arrivano a 500.000 su 8.000.00 di operai; ma in Italia – soprattutto – c’è della gente che non è disposta a subire la nuova, imbecille, criminale dittatura di una mezza dozzina di obliqui politicanti…La massa operaia che si cifra a milioni di individui non ha niente a che dividere con le poche migliaia di borghesi assetati di vendetta e cupidi di rappresaglia che formano il Partito cosiddetto socialista.”
Questa della distinzione tra socialismo ufficiale e popolo è comunque uno dei motivi ricorrenti della polemica fascista di questo periodo: su Roma futurista del dicembre, si confronteranno Bottai e Manarese, con una serie di tre articoli: “Futurismo contro socialismo”, di Bottai, in data 9 dicembre, “Futurismo e socialismo” di Manarese, del 14 dicembre e, ancora di Bottai, il 21 dicembre “Insisto: futurismo contro socialismo”.
E’ indubbio che l’antisocialismo nasce da motivazioni ideali, culturali e “comportamentali” piuttosto che da presupposti economico-sociali; innanzitutto pesa la posizione assunta di fronte alla guerra dal socialismo ufficiale, ma si può ben dire che si contrappongono due concezioni della vita e della storia: l’esasperato economicismo e l’idolatria delle masse popolari del socialismo del dopoguerra sono dogmi inaccettabili per i fascisti, che pure alle stesse masse popolari guardano con simpatia e partecipazione, alieni da ogni tentazione puramente conservatrice.
Anche nei periodi successivi, alla luce di queste premesse, l’azione fascista si rivolgerà infatti sempre, in via principale, contro il Partito socialista, le sue strutture burocratico organizzative e di potere, la sua organizzazione sindacale ed economica, i suoi uomini più rappresentativi nelle varie realtà locali. Si tenterà di far salve da ogni discorso repressivo le masse, che al più saranno accusate di lasciarsi “traviare”; ciò proprio per la prospettiva complessiva nella quale l’azione antisocialista si svolgerà, influenzata dalla provenienza “di sinistra” di gran parte dei capi fascisti e dalla stessa volontà di “rinnovamento per il popolo” e non “contro il popolo” che della maggioranza degli squadristi.
Una conferma viene dalla lettura dei postulati elettorali del blocco fascista: essi, dopo aver ribadito la recisa ed aperta opposizione a Nitti, chiedono in politica estera l’annessione di Fiume e l’assegnazione all’Italia delle città italiane della Dalmazia; in politica interna le richieste sono altrettanto categoriche: Camera trasformata in Assemblea costituente per risolvere il problema istituzionale, attuazione rapida della Nazione armata, con conseguente trasformazione degli ordinamenti militari, e poi, nel campo delle realizzazioni sociali:
“…radicale riforma tributaria dello Stato che comprenda: a) decimazione delle ricchezze; b) confisca dei sopraprofitti di guerra; c) tassazione onerosa sull’eredità, per sistemare definitivamente i mutilati, gli invalidi, i combattenti e le loro famiglie; la confisca dei beni ecclesiastici per devolverli ad istituzioni di assistenza locale amministrate dai cittadini”
A dispetto di tante belle intenzioni, in campagna elettorale il diritto al comizio e la stessa libertà di parola devono essere conquistati di volta in volta; il 4 novembre la commemorazione della vittoria è possibile solo “a scartamento ridotto”, dopo che qualche giorno prima, il 31 ottobre, i socialisti hanno chiaramente manifestato la loro volontà di lasciare poco spazio agli avversari di qualunque tipo, impedendo un comizio del blocco di sinistra alla palestra di Porta Romana.
L’Avanti ha giustificato in pieno l’intimidazione contro i nemici di ieri, gli interventisti “responsabili” della guerra; anzi, ha rincarato la dose:
“Ciò che avviene era da prevedersi. La folla proletaria reagisce con l’impeto irrefrenabile della passione lungamente offesa, tormentata, ai suoi oltraggiatori e ai suoi tormentatori. …Il solo torto della folla è quello di credere che la lotta ingaggiata contro gli autori e i fautori della guerra si esaurisca col tumulto di un comizio e si attenui con lo svolgimento ordinato di un contraddittorio”
Il timore di essere schiacciati, è forte a Milano; l’indispensabilità di un intervento legionario “di rinforzo” è particolarmente sottolineata e sollecitata da Mussolini, in due lettere a D’Annunzio; la prima, in data 30 ottobre:
“Stiamo organizzando squadre di venti uomini l’una, con una specie di divisa e armi, sia per rivendicare la nostra libertà di parola, sia per gli altri eventi, per i quali attendiamo vostri ordini. Nel complesso la situazione è difficile e le manca la coordinazione e la sincronicità del movimento. Noi delle grandi città saremmo facilmente sommersi dall’ondata pussista.”
L’aiuto richiesto arriva da Fiume e così, il 9 novembre, Mussolini ringrazia il poeta, confermandogli la sua devozione:
“Sono già arrivati a Milano molti elementi nostri di Fiume, che utilizzerò perché sarebbe il colmo degli assurdi e il più grande delitto se la voce delle teste di ferro fosse soffocata dalla gracidante bestialità pussista…La lotta è impegnata nel vostro nome. Voi sarete il presidente dei nostri comizi. Vi rinnovo l’attestazione della mia devozione assoluta.”
Alla tutela della campagna elettorale fascista provvede anche la “guardia del fascismo”, costituita in ottobre da un gruppo di giovani, guidati da tre ex combattenti che si sono vincolati con carattere di esclusività, per almeno quattro mesi, con un giuramento scritto.
“L’Ardito”, dal canto suo, pubblica in neretto un avvertimento ai socialisti, sfottitoriamente chiamati “amici del 15 aprile”, nel quale promette sistemi “persuasivi” contro chiunque intenda turbare la campagna elettorale fascista.
Bisogna evitare che anche a Milano, ai danni della lista fascista, si verifichi quanto è successo in piccolo a Sanpierdarena, dove i sovversivi hanno impedito un comizio elettorale di capitan Giulietti, sostenitore di D’Annunzio. Il vecchio lupo di mare, però, che non è uomo da subire prepotenze, prima ha dovuto abbozzare, ma poi, organizzati i suoi marinai, ha marciato sulla cittadina, costringendo alla fuga sulle colline gli assalitori, e realizzando inconsapevolmente una vera e propria spedizione punitiva ante litteram.
Il 23 ottobre, in occasione della prima adunata del blocco elettorale fascista, viene decretata la scelta del fascio come simbolo e dei locali della Federazione garibaldina, in Galleria Vittorio Emanuele, come sede del Comitato elettorale; sono, inoltre, create anche speciali commissioni “d’organizzazione comizi e squadre” e “trasporti”, affidate a Vecchi e altri, con l’incarico di assicurare lo svolgimento della campagna elettorale.
Ma è soprattutto la presenza a Milano dei legionari fiumani, ai quali si sono aggiunti volontari fascisti provenienti da altre città, a consentire la formazione di squadre con lo scopo di proteggere gli oratori ed assicurare la propaganda; esse si incaricano anche della difesa della sede del Popolo d’Italia, del Comitato elettorale, dell’Associazione Arditi, primi bersagli di una possibile offensiva socialista.
In questo senso, l’impegno civile a Milano dei legionari può essere, a giusta ragione, considerato come un proseguimento della battaglia fiumana: comuni sono gli intenti, comuni sono le volontà, comune deve essere l’azione.