15. “Per una ragione topografica e pugilistica”
La giornata elettorale è fissata per il 15 maggio, e registra una vera ecatombe di caduti fascisti, con vittime in tutte le zone d’Italia, mentre la consultazione vede la partecipazione di poco più di cinque milioni di elettori, con una percentuale pari al 56% circa degli aventi diritto: ai socialisti vanno 122 seggi, ai comunisti 16, ai popolari 107, e 275 ai blocchi, fra i quali 35 eletti fascisti, un numero superiore ad ogni ottimistica previsione.
Gli inesperti fascisti, con un’efficace campagna ed un accorto gioco di preferenze riescono, infatti, in più di un caso, a battere i candidati giolittiani “di rispetto”.
Per “una ragione topografica e pugilistica”, non per motivi ideali e programmatici, come spiegherà Grandi al Congresso di Roma, i neoeletti siedono all’estrema destra; forse non tutti sono d’accordo, ma prevale la volontà di Mussolini:
Il mio primo screzio con Mussolini avvenne il giorno stesso in cui si aprivano i lavori della XXVI legislatura, e ciascun gruppo politico era chiamato a scegliere un proprio settore della Camera. Io proposi che il gruppo fascista sedesse in alto a sinistra, costituendo la “Montagna della sinistra”. Mussolini si oppose: “Mi siederò all’estrema destra, perché voglio guardare in faccia i miei nemici.
E’, in effetti, una sfida quella fascista, come ribadisce il futuro duce nel suo discorso del 21 giugno:
Non mi dispiace, onorevoli colleghi, di iniziare il mio discorso da quei banchi dell’estrema destra dove, nei tempi in cui lo spaccio della bestia trionfante aveva le sue porte spalancate ed un commercio avviatissimo, nessuno osava più sedere.
La sfida continuerà con gesti clamorosi e controcorrente, dei quali si rendono protagonisti proprio i giovani neoeletti, soprattutto se di provenienza squadrista; essi solgono recarsi in Parlamento, così come sono abituati a fare normalmente, con il revolver in tasca (lo fa anche qualche loro avversario) e, quando la tensione in aula cresce, Giunta non esita a mostrarlo minaccioso, mentre Capanni, erculeo, in una zuffa prende una delle pesanti poltrone per stenografi, e la fa volare sui banchi dell’estrema sinistra.
Il tutto, nel generale consenso della base squadrista, e dei giovani:
…Debbo confessare che allora i miei entusiasmi più vivi furono per alcune manifestazioni dei neo Deputati fascisti: l’allontanamento a forza fuori dalla porta di Montecitorio del Deputato Misiano, disertore di guerra… l’epiteto di “castroni” lanciato da Cesare Maria De Vecchi ai popolari; i gesti esplosivi del giovane Deputato di Trieste Giunta.
Il più clamoroso di questi gesti ha per vittima l’onorevole Misiano, che viene affrontato, il 13 giugno, verso le 15,00, nel “salone dei passi perduti” da Farinacci, Caradonna, De Vecchi, Giunta, Capanni e qualcun altro, che gli ingiungono di lasciare il palazzo.
Misiano, particolarmente inviso ai fascisti perché disertore di guerra, estrae una rivoltella e cerca di difendersi, ma viene disarmato e scaraventato fuori, sulla piazza, mentre Farinacci prende l’arma e la consegna “con un colpo crudo, non troppo garbato” a Giolitti, il quale, timoroso e involontariamente ridicolo, si alza e dice. “Non posso prenderla, perché non ho il porto d’armi”, così che il revolver rimane lì, sul tavolo della Presidenza.
I comunisti, in verità, sono tra quelli che non sembrano prendersela più di tanto per l’accaduto:
I comunisti, che tendono alla distruzione del Parlamento, non soltanto metaforica, non possono dolersi se un loro rappresentante venga cacciato dal palazzo dell’Assemblea elettiva. Essi vedono confermate nei fatti le ragioni della loro critica. E non possono non compiacersene; mentre si augurano di essere presto in grado di cacciare essi, armi alla mano, tutti gli altri, compresa la nota cocotte internazionale, madama maggioranza.
Nel Paese, intanto, subito dopo le elezioni, qualche nube si va addensando sul fascismo: il Fascio di Udine è occupato dalla polizia e il segretario arrestato; fermi di squadristi si verificano a Pisa e Firenze; a Ferrara, il 26, Italo Balbo, trovato in possesso di un revolver, viene arrestato e trattenuto, finchè la grande agitazione determinatasi in città ne impone la forzata scarcerazione, e al popolare “pizzo di ferro” liberato, “con pubblica sottoscrizione”, viene subito offerta una nuova arma.
E’, però, a Milano che si verifica l’episodio più grave: i dirigenti fascisti, a cominciare da Pasella, sono arrestati, in singolare analogia con quanto successo dopo le elezioni del ’19, quando il primo ad essere arrestato fu Mussolini: allora fu la pressione socialista ad originare l’arresto, ora è la delusione e la rabbia giolittiana per l’insperato successo degli scomodi alleati, a muovere i fili della reazione poliziesca.
Il motivo ufficiale degli arresti è la pubblicazione, sul Popolo d’Italia del 18, di un comunicato del Comitato centrale dei Fasci che, in pratica, ripete la circolare 102; di fronte alla recrudescenza degli attentati e delle violenze socialcomuniste, ribadisce il concetto della responsabilità “oggettiva”:
Constatandosi come, specialmente in questi ultimi giorni, si ripetono in forma selvaggia, sia in Milano che nelle altre città d’Italia, le vili e feroci aggressioni contro fascisti isolati, e risultando che tali aggressioni sono dai socialisti e dai comunisti preordinate e premeditate per opera di chi li istiga, standosene però nell’ombra, si fa obbligo a tutti i Fasci di combattimento di rispondere con immediate e inesorabili rappresaglie contro l’aggressore o gli aggressori, se individuati,o, quando ciò non sia possibile, si ordina di ritenere responsabili i capi locali (comunisti e socialisti). Quei Fasci che non si atterrano a queste precise disposizioni saranno proposti al Comitato centrale per la radiazione.
Parole dure, ma che nei fatti suscitano l’ilarità degli squadristi, che già sanno cosa fare e come difendersi: “E ordinano, questi bischeracci di Milano, e ordinano di rispondere ‘… e si aspettava i loro ordini, e si stava lustri!”
Ad accrescere qualche leggero sbandamento, che la pressione poliziesca ed avversaria può provocare tra le file fasciste (soprattutto tra i più “moderati”, non di certo tra gli squadristi), è lo stesso Mussolini, con un’intervista al Giornale d’Italia del 21 maggio, nella quale affronta di petto il problema istituzionale:
Il fascismo non ha pregiudiziali monarchiche o repubblicane, ma è tendenzialmente repubblicano, in ciò differenziandosi dai nazionalisti, che sono pregiudizialmente e semplicemente monarchici. Il gruppo fascista si asterrà ufficialmente dal prendere parte alla Seduta Reale.
Il concetto, di fronte alle reazioni, viene ribadito in tre articoli sul Popolo d’Italia: “Dopo un’intervista, parole chiare alla reclute; Intervento chirurgico; Terza e non ultima puntata”.
Posta così brutalmente, la questione della “tendenzialità” è destinata a provocare le proteste di alcuni dei neoeletti e dei Fasci del Mezzogiorno: a Bari, per esempio, duecento fascisti si dimettono, ma l’episodio è destinato a rimanere isolato, mentre prevalgono nettamente le posizioni di appoggio a Mussolini.
Egli tiene duro, anche perché sa bene che una certa avversione alla monarchia, anche per chi non è esplicitamente di sentimenti repubblicani, deriva, tra gli iscritti ai Fasci, dall’atteggiamento “neutro” tenuto dal Re in occasione dei fatti di Fiume, e dall’avallo concesso alle amnistie ai disertori decretate dai governi fin qui succedutisi.
Quando, il 2 giugno, si riuniscono congiuntamente a Milano il Comitato centrale, i rappresentanti regionali e i neoeletti, si va, però, divisi alla votazione sull’ordine del giorno presentato da Mussolini: è approvata all’unanimità, con un solo astenuto, la prima parte che dice:
Il convegno dei deputati fascisti riuniti a Milano, insieme al Comitato centrale dei Fasci di combattimento, ed ai fiduciari politici regionali, approva l’atteggiamento tenuto da Mussolini, che corrisponde fedelmente ai postulati fondamentali del fascismo agitati dinnanzi agli elettori e accettati dagli eletti.
Ma è respinta, con 18 voti contro 15, la seconda parte, che aggiungeva:
…e mentre riafferma l’antipregiudizialismo nell’ambito della tendenzialità repubblicana, delibera che il gruppo non partecipi alla Seduta Reale della nuova Camera, ritenendo, per altro, che la questione dell’intervento a quella Seduta possa rappresentare, nella libera interpretazione dei singoli deputati fascisti, l’ottemperamento a una mera formalità di carattere costituzionale.
Non è un successo per Mussolini, nonostante, in questo caso, la base sia completamente con lui: Grandi riferisce che dopo l’intervista al Giornale d’Italia, le adesioni allo squadrismo romagnolo sono raddoppiate, e Balbo il 30 maggio riunisce tutti i segretari politici della sua zona, che manifestano pieno appoggio al capo di Milano.
16. La vita è una parentesi
In piena sintonia con questo riaccendersi di passioni “rivoluzionarie ed antisistema”, gli squadristi si impegnano a Roma, Milano, Napoli, Firenze e altre città, in una decisa campagna contro il caroviveri: questa volta, a differenza dell’anno precedente, sono da soli a condurre la battaglia, con metodi drastici ma efficaci.
Formano squadre di vigilanza in ogni città, danno vita a commissioni di controllo, impongono calmieri ai commercianti, pena il sequestro della merce e la distribuzione a chi ne ha bisogno; ai più riottosi chiudono la bottega, con un esplicito cartello: “chiuso per furto”, indifferenti alle proteste della borghesia cittadina, stavolta all’unisono con i socialisti, che, con coccodrilesca indignazione, denunciano i metodi fascisti.
L’esordio del Governo Bonomi, ai primi di luglio, coincide con la minacciosa apparizione in pubblico, a Roma, il giorno 6, all’Orto Botanico, di 2.000 Arditi del popolo, inquadrati militarmente e con cipiglio fiero. Gli organizzatori, repubblicani e socialisti, pensano di fare le cose in grande, prevedono a breve la costituzione di interi Battaglioni Arditi, a reclutamento rionale e con collegamenti assicurati da staffette cicliste.
In effetti, qualche ex Ardito dei tempi di guerra viene attratto dall’iniziativa, e si assume i compiti di maggiore responsabilità, immettendo, anche nello stile propagandistico intonazioni liriche proprie della prosa ardita d’antan; nel manifesto del 30 giugno, per esempio, con uno stile forse poco “proletario”, ma altrettanto sicuramente “ardito”, si afferma testualmente che “…la vita per noi è una parentesi dentro la morte”.
Nonostante ciò, le iscrizioni verranno più da militanti di partito che da “vecchie fiamme”, e non si iscriveranno nemmeno i comunisti, che inseguono un loro progetto autonomo di inquadramento militare a base di partito, fortemente ideologizzato e riconoscibile.
Sull’altro fronte, va aggiunto che, da qualche tempo, i rapporti tra fascisti e Associazione Nazionale Arditi sono piuttosto tesi: nella seduta del 1° luglio, l’Associazione, alla presenza, tra gli altri, di De Ambris e Mecheri, ha approvato a maggioranza un ordine del giorno che prevede l’incompatibilità tra l’iscrizione ai Fasci e quella all’Associazione stessa, decretando così, inconsapevolmente la propria fine.
Molti si dimettono, altri sono espulsi per non aver voluto rinunciare all’iscrizione al Fascio; ai pochi rimasti non resta che intensificare i rapporti con la Federazione Nazionale Legionari, composta da reduci fiumani che non disdegnano un atteggiamento polemico verso il fascismo.