9 Ottobre 2024
Appunti di Storia

1921: Primavera di Bellezza (quarto capitolo)

 

7. “Se non potete sopportarci…”

 

I fascisti giustificano l’estensione della lotta e delle rappresaglie a tutto il territorio nazionale con un motivo “politico”: come i socialisti si mobilitano in tutta Italia con scioperi ed agitazioni di solidarietà a singole città e categorie, così essi si ritengono autorizzati a colpire ovunque, per rispondere alle sopraffazioni subite, indipendentemente da dove esse si siano effettivamente verificate.

La capacità di concentrazione e spostamento avvalora, nel contempo, l’idea di una onnipresenza squadrista, e contribuisce a creare intorno ai protagonisti delle avventure più note, un leggendario alone di coraggio e spregiudicatezza; vi sono, così, squadre “in odore di grande ardimento”, come la Randaccio di Verona, il cui intervento viene richiesto, nelle occasioni più critiche, anche da paesi lontani.

La prima e principale conseguenza dei frequenti ed abituali spostamenti e della connessa rapidità dell’azione è che le Autorità non riescono, quasi mai, a porre in essere efficaci sistemi di prevenzione, anche nei casi in cui abbiano sentore della prossima spedizione; vi è, poi, la difficoltà di identificazione dei responsabili di atti di violenza, sconosciuti alle vittime ed agli investigatori locali, costretti a ricorrere a sotterfugi di vario tipo, come quando, nell’aprile del ’21, alcuni poliziotti bolzanini si recano travestiti, per più giorni, a Verona, per sorvegliare la locale sede del Fascio, nel vano tentativo di identificare gli squadristi responsabili della spedizione avvenuta qualche tempo prima nella loro città.

Quando è necessario, a favore dei camerati nei guai con la giustizia, interviene la solidarietà fascista: il Fascio di Varsi, in provincia di Padova, nel biennio ‘21/’22 arriva a dare rifugio a ben trentadue squadristi latitanti.

I fascisti, d’altra parte, non fanno mai assolutamente nulla per impedire la propria identificazione, evitano il ricorso a mascheramenti e cammuffamenti, convinti come sono di operare nel giusto, nel superiore interesse della Patria; quando le indagini dell’Autorità, priva di indizi, ma pressata dall’alto per l’incriminazione di qualche colpevole “comunque” si fanno particolarmente intense, può succedere che, per confondere le acque, i dirigenti del Fascio locale indirizzino a bella posta i sospetti su qualche camerata innocente. Costui, consenziente, si farà qualche settimana di carcere e poi non gli sarà difficile, una volta calmate le acque, dimostrare la propria estraneità alle accuse e tornare libero; una conferma viene dall’Ispettore generale del Ministero degli Interni, Di Tarsia, che, relativamente ad un caso verificatosi nel luglio del ’22 in provincia di Bologna, dopo alcuni episodi di violenza, ammette la dabbenaggine del funzionario incaricato delle indagini:

…preferì, ed a ragione, di abboccarsi con Direttorio del Fascio, e fece noto l’ordine del Prefetto, pregando gli fossero indicati dal Fascio stesso i fascisti da arrestare. Il Direttorio allora pregò il funzionario di attendere in località distante a due o tre chilometri dal paese, ove sarebbero stati accompagnati alcuni fascisti da arrestare. Così fu fatto… ben si intende che il Fascio consegnò fascisti che poterono dimostrare evidentemente di non aver preso parte al fatto nel quale si procedeva e furono prosciolti.

 

Spesso, accade poi che, essendo molti dei reati commessi perseguibili solo su querela di parte – per l’esiguità dei danni subiti dagli offesi  l’Autorità non può intervenire quando questa querela non c’è, perché la controparte preferisce evitare altri guai, magari pensando di potersi fare giustizia da sé, in una realtà paesana che assume toni di sfida individuale, con un contorno di insulti e provocazioni personali.

La spedizione fascista si inserisce, così, in un contesto fatto di beghe minuscole e di odii potenti, accumulatisi nei mesi e negli anni precedenti; in paese tutti si conoscono, e, non appena l’intervento squadrista rovescia una situazione che la passività delle vittime ha prolungato nel tempo, si passa alle ritorsioni: i capilega, in particolare, devono scontare le prepotenze passate, come racconta una di queste vittime:

Perché vede… per noantri la più grande soddisfazione ora l’è quella di mettersi in piazza alle or di notte a pigliare il fresco, e che nessuno ci dia noia. E pensare, che quelli ci mandavano a letto allo sbrillare… Ma ora, eh, Beppe? Libertà di girare per tutti. Anco per loro, sì, anco loro possino girare, ma con giudizio, che se fanno i bischeri, ora a letto e si mandano, ma noi.

 

Nel marzo del ’21, agli assessori socialisti di Massafiscaglia, arriva un ultimatum concepito come un cartello di sfida di altri tempi:

Fascio di combattimento, Ferrara: Signore, la notte del 16 corrente, ha promesso di dimettersi da consigliere comunale e da assessore entro le quarantotto ore. Ciò non essendosi verificato, ed anzi, essendosi ella vantato in pubblica piazza di non aver paura di noi e di attenderci di giorno, piuttosto che di notte, resta inteso che se ella non manterrà il giuramento fattoci, noi verremo di giorno, secondo il suo desiderio, a darle la lezione che si merita. Sia risoluto nel suo pensiero per il ben suo e dei suoi. Ferrara, 22 marzo 1921, il Fascio.

A Monfalcone, nel maggio dell’anno prima, i comunisti hanno minacciato i pochi fascisti intenzionati ad aprire una sede nel paese, con un bellicoso manifesto, intitolato: “Non sopporteremo”; i minacciati, però, non si lasciano intimorire e, con l’aiuto dei loro camerati triestini, rispondono con una nuova fissione a tutte le cantonate: “Se non potete sopportarci, dovrete subirci!”.

In alcuni casi, la sfida assume quasi i caratteri di un confronto tra “clan”, estranea ed indifferente al contesto nazionale; a Firenze, squadristi e comunisti si battono per il possesso di un pastrano, completo di distintivo fascista, prima sottratto con la forza ad uno squadrista isolato, e poi ripreso, sempre con la forza, da una squadretta fascista all’interno della Camera del lavoro. Tutto per non darla vinta alla provocazione rossa che aveva formalmente “sfidato” i fascisti al recupero dell’indumento.

Nel novembre del ’21, il circolo rosso Babel, del quartiere San Lorenzo, a Roma, lancia una sfida agli squadristi della Disperata fiorentina che, solleticati nel proprio “amor proprio”, dallo stesso Avanti, che non manca di descriverli, in ogni circostanza, come terribili”, non si lasciano sfuggire l’occasione e ironizzano: “…a gentilezza vorremmo rispondere con gentilezza e mezzo”;èper questo che, giunti nella capitale per il terzo Congresso nazionale dei Fasci, essi si recano appositamente nel quartiere rosso, per affrontare gli avversari. Ne nascono incidenti; i toscani però, rimangono delusi dalla scarsa combattività dei comunisti capitolini e decretano che: “…in fatto di nemici, la roba di casa rimaneva ancora la migliore”.

L’episodio, che è caratteristico e veramente emblematico di una mentalità e di un’epoca, ha poi un epilogo che conferma un altro carattere tipico della personalità squadrista: la tendenza all’ esagerazione ed il gusto per la guasconata.

Infatti, alcuni squadristi della Disperata, tornati a Firenze, delle avventure romane:

…ne hanno fatta una vera e propria speculazione, e siccome l’industria è redditizia, ogni giorno ti inventano di sana pianta nuovi particolari e arrivano a poco a poco a fare delle loro gesta un interminabile fumoso romanzo d’appendice, che esce in redditizie giornaliere puntate, a base di laute cene.

Questo gusto del racconto romanzato, meglio se conviviale, dà libero sfogo all’immaginazione ed alla fantasia: poco importa se la spacconata è vera o inventata; per uno squadrista che, durante lo sciopero generale del gennaio a Firenze è realmente entrato in un bar aperto, perché “rosso” e pieno di tranvieri in sciopero, ed ha chiesto spavaldo: “voglio un bel caffè alla fascista”, ce ne saranno altri dieci che racconteranno, vantandosene, lo stesso episodio, senza che sia mai avvenuto.

Il Fascio del capoluogo toscano rappresenta la punta di diamante di certo squadrismo “iperattivo” e sempre alla ricerca di avventure e di nemici, tanto che gli squadristi fiorentini, recatisi a Prato in soccorso di camerati, e rimasti “delusi” dalla fredda accoglienza ricevuta dai sovversivi locali che non si fanno vedere, quasi vorrebbero sfogarsi sugli incolpevoli fascisti locali. Più “prudenti” sono i militanti di Fasci minori, non nell’occhio del ciclone:

 Eravamo già pronti per partire, circa venti persone, quando, ad un tratto, sentimmo gli strilloni dell’Ordine che gridavano: “Gravi incidenti a Roma! Morti e feriti! etc.” Si comprò l’Ordine e lo leggemmo alla meglio. A Roma vi era lo sciopero generale; non solo, ma durante il giorno, per le vie di Roma erano avvenuti conflitti tra fascisti e sovversivi. Vi erano stati anche morti e feriti. In quella sera da venti fascisti a partire, ne rimanemmo appena quattordici.)

 

8. Il bussolotto di pasta.

Gli squadristi amano menar vanto della partecipazione alle imprese più clamorose, e si divertono ad inventare particolari guerreschi, talvolta al limite della truculenta; si beano nell’ostentazione di simboli ed oggetti terribili solo a vedersi: fanno grande spreco di teschi e tibie, di bastoni “multinodosi” e manganelli “spaccacervelli”, che, spesso, non sono mai stati usati, come quello, bellissimo, ricoperto in cuoio, esibito dal nonno al giovane Marco Ramat che, affascinato, correrà ad iscriversi al Fascio.

Grande uso anche di minacciosi ultimatum e propositi da spaccamondo; uno dei più attivi è Dino Perrone Compagni, ras fiorentino, che: “…malgrado le sue truculente vanterie, secondo quanto risulta anche dai fatti e dalle testimonianze, personalmente non torse mai un capello a nessuno”, ma con le sue lettere “circolari” si diverte a minacciare tutti i Sindaci e gli amministratori socialisti della Toscana.

Chi si è creato una fama da “ardito”, poco farà per smentirla, almeno finchè dura il vento; Ottone Rosai, solo in una lettera dell’ottobre ’44, al Comitato di Liberazione Nazionale fiorentino, si preoccuperà di ridimensionare il suo passato squadrista (che pure c’era stato) e di accreditare di sé un’immagine più tranquillizzante: “dissidente fascista già alle elezioni del ’21, e responsabile solo del rovesciamento di un bussolotto di pasta per affissione manifesti sul capo di un malcapitato avversario politico nel ‘19”.

In verità, sul conto del pittore, di aneddoti ne erano fioriti parecchi, come quello che fosse solito divertirsi a sparacchiare sugli avversari, nascosto dietro un giornale che fingeva di leggere attentamente; egli non li aveva mai smentiti, ma, anzi, aveva lasciato che le voci corressero:

A Mussolini gli voglio bene, e lui lo sa, e si ricorda sempre che a Firenze gli fui uno dei fedeli, il soldato più pronto. L’arie non me le son mai date, e quando è stato tempo, ho saputo fare dieci anni di guerra, in trincea e sulle piazze, da interventista, combattente e fascista.

In guerra, mi hanno ferito due volte, perché tiravano da lontano e nascosti, ma sulle piazze le ho sempre date, perché il nemico mi era vicino e visibile. Ora non si può più dare, ma quando so di farla pulita, qualche brutta lezione so darla ancora. Viva l’Italia… un momento… non la vostra, però, la mia! Viva Mussolini… un momento, però…non il vostro, il mio!

Italiani mettete giudizio – e tenete gli orecchi ritti  se ci mandate all’ospizio, andrete all’inferno, dritti dritti.

2 Comments

  • Miranda 24 Marzo 2015

    Mio padre nasceva nel 22.grazie a voi ,un pezzetto alla volta ricostruisco la realtà che lo circondava e che lo fece imbarcare per l’Africa a 18 anni.La prima volta lo rimandarono a casa , aveva 17anni.Cordiali saluti.

  • Miranda 24 Marzo 2015

    Mio padre nasceva nel 22.grazie a voi ,un pezzetto alla volta ricostruisco la realtà che lo circondava e che lo fece imbarcare per l’Africa a 18 anni.La prima volta lo rimandarono a casa , aveva 17anni.Cordiali saluti.

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