Benito Jacovitti nasce a Termoli, in Molise, il 9 marzo 1923; sette anni dopo la sua famiglia si trasferisce nelle Marche, a Macerata. In seguito a un periodo di “apprendistato autodidatta”, durante il quale disegna ogni dove, su ogni supporto materiale disponibile, ogni volta che può e al contempo divora e imita le strisce avventurose d’Oltreoceano e soprattutto le grandi firme del fumetto umoristico internazionale – dal Segar di Braccio di Ferro al nostro Walter Faccini – il giovanissimo Benito, dopo una sorta di prova con una barzelletta illustrata la settimana precedente, pubblica il 19 novembre 1939 quella che viene all’unanimità considerata la sua prima grande gag visiva sulle pagine del n. 47 di un settimanale umoristico fiorentino, “Il Brivido”. Si trattava di un piccolo e agile periodico, fondato dal disegnatore Alberto Manetti nel 1925, una smilza rivista che sarebbe andata avanti fino al 1952 e che oggi è estremamente rara da reperire sul mercato del collezionismo. Il titolo dell’opera del termolese è lunghissimo e in rima: In ogni stanza d’ogni casamento / la Radio è il gran discorso del momento! Il tratto è ancora acerbo ma dobbiamo sottolineare che l’artista, con questo suo “debutto ufficiale” sulla carta stampata, ha appena 16 anni! In un condominio – che appare “spaccato” come una di quelle case di bambole che si aprono su cerniera per rivelare i loro arredamenti in miniatura – gli inquilini, che parlano con accenti di vernacolo locale, discutono, si eccitano e litigano per un “referendum dell’E.I.A.R.”. Si trattava del Grande Referendum a Premi che fu indetto in quel mese dall’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche di Torino, un concorso al quale potevano partecipare tutti gli abbonati in regola; l’estrazione sarebbe avvenuta nel luglio dell’anno seguente, con ricchi compensi in Buoni del Tesoro (fino a 100.000 lire dell’epoca, corrispondenti a circa 170.000 euro del 2014). Se nei fumetti al posto di “radio” mettiamo “tivù” o “Internet”, saltiamo d’un colpo 75 anni senza quasi nessun cambiamento! Satira di costume, dunque, e non ancora “satira politica”…
Jacovitti davanti alla porta della sua casa di Forte dei Marmi nel 1992 (Foto: Manetti) |
La “panoramica” di Jacovitti del 1940, sulla Maginot/Sigfrido |
La copertina dell’albo che nel 1942 raccolse “Pippo e gli Inglesi” (1940) in una ristampa anastatica del 1972 |
La copertina dell’albo del Vittorioso che nel 1948 raccolse “Chicchirichì” (1943) |
La confusione che segue la “liberazione” della Flittonia in “Pippo e il dittatore” (1945) |
Una cartolina della serie “Alleati in Italia” (1945) |
Con la “democrazia” ritornano anche i “democratici” esiliati! Da “Battista l’ingenuo fascista” (1945/1946) |
Due strisce paradigmatiche di “Battista l’ingenuo fascista” (1945/1946). La fame, i “liberatori”, le macerie. |
La Rovina adagiata sulle macerie dell’Italia “liberata”. Da “La Rovina in Commedia” (1947) |
Il titino illustra a Mario il proletario le meraviglie della Giogoslavia. Da “Il paradiso sosvastico” (1947) |
La futuristica “città macchina”. Da “Il paradiso sosvastico” (1947) |
L’ultima inquadratura dell’ultima parte della storia è profetica: “All’alba la sveglia è collettiva!”