28 Giugno 2024
Controstoria Ferrara Giaggioli Storia

20 dicembre 1920: fra i merli del castello

di Giacinto Reale
L’eco dei fatti di Bologna non si è ancora spenta, che a Ferrara, il 20 dicembre, si verifica un episodio per molti versi analogo, anche se con un epilogo molto diverso.

Pure nella città estense il movimento fascista sta muovendo i primi passi in queste settimane; gesti goliardici, come la tradizionale sottrazione di bandiere rosse dalle finestre del castello, si alternano a iniziative più squisitamente politiche, come quando i boicottati dalle leghe vengono convinti, con la promessa di protezione contro eventuali ritorsioni, a presentare regolare denunce alla Magistratura contro i loro persecutori.

 

A capo degli squadristi c’è Olao Giaggioli, valoroso Ufficiale in guerra, decorato con quattro medaglie d’argento, antisocialista fervente, ma per nulla disposto a farsi strumentalizzare dai padroni dell’Agraria: è lui che organizza, in occasione delle elezioni amministrative, la prima dimostrazione di forza, con una ronda volante presso i seggi, per evitare la ripetizione delle violenze dell’anno prima, quando le cabine elettorali sono stati presidiate dai socialisti, che hanno coartato in tutti i modi la libera espressione di voto di quanti ritenevano potenziali avversari. Come già detto, uno sparuto gruppetto di fascisti ferraresi è stato presente, a Bologna, il 21 novembre; per rendere il favore, una cinquantina di camerati bolognesi vengono a Ferrara per dare manforte al Fascio locale, il 20 dicembre: è una giornata particolare, i fascisti vogliono ricordare, ad un mese esatto, la morte di Giordani a palazzo D’Accursio, mentre i socialisti hanno organizzato un comizio di protesta, con l’intervento di tutte le organizzazioni della provincia, a seguito della bastonatura subita a Bologna dall’avv. Niccolai, Deputato del collegio Ferrara-Rovigo.
Di nuovo in questo caso, come a Bologna, l’Autorità media, trovando, alla fine, una soluzione che sembra accontentare tutti: i socialisti manifesteranno all’interno del teatro comunale, mentre i fascisti non si muoveranno dalla loro sede di corso Giovecca. Anche stavolta, però, qualcuno non sta a i patti: i socialisti, per raggiungere il teatro, fanno volontariamente ed ostentatamente lunghi giri in città, sventolando le rosse bandiere, finchè i loro avversari, avvertiti dai cittadini inviperiti, escono dalla sede, pronti allo scontro.
E infatti, nei pressi del castello, sede dell’Amministrazione comunale, i due gruppi vengono a contatto e partono i primi colpi di pistola; agli sparatori in piazza si aggiungono una ventina di guardie rosse che anche qui, grazie alla complicità dei consiglieri socialisti, si sono appostati in alto, con i fucili tra i merli dell’edificio medievale.
Questa volta, fortunatamente, non c’è lancio di bombe sulla strada, ma i fascisti, bersagliati da più parti, hanno tre morti, due dei quali sono iscritti al Fascio da pochi giorni, alla loro prima avventura: solo l’intervento della forza pubblica, che provoca la fuga dei cecchini così ben riparati, e quindi in grado di fare altri danni, evita un numero maggiore di caduti.
I funerali si svolgono qualche giorno dopo, con grande mobilitazione di tutti i Fasci limitrofi; un elemento di novità e modernità rispetto alla solennità della cerimonia è l’apparizione di un aeroplano, che lancia fiori sulle salme mentre sorvola il corteo, al quale vi è un’adesione grande e spontanea da parte della popolazione.
Comincia da qui la fine del predominio rosso in città: Giacomo Matteotti, che arriverà a gennaio, per assumere il controllo del movimento socialista, decimato dalla latitanza dei dirigenti, inquisiti per i fatti del Castello, dovrà andare in giro, in un clima di grande ostilità, circondato da guardie rosse armate di bastone.
Di contro, aumentano le adesioni al Fascio: in questo periodo viene maturando la decisione di Italo Balbo di iscriversi alle schiere mussoliniane: “interventista intervenuto”, decorato con due medaglie d’argento e una di bronzo, beffardo protagonista di audacie guerresche tra gli Alpini, “pizzo di ferro” –come lo chiamano i suoi uomini- porta al fascismo ferrarese il contributo decisivo del
suo indubbio carisma di capo ed organizzatore, che ne farà, nei mesi successivi, uno dei principali protagonisti sulla scena squadrista propriamente detta, non sempre “in linea” con le direttive milanesi, talvolta contestato anche nella sua Ferrara, ma sempre, sicuramente, vicino al cuore ed al sentimento della base attivistica.
Mentre, quindi, il panorama interno si va animando per le nuove iniziative fasciste, volge al termine l’avventura fiumana; con il trattato di Rapallo, Giolitti “boia labbrone”, è riuscito, in qualche modo, a trovare una soluzione diplomatica allo spinoso problema: occorre ora che D’Annunzio lasci la città.
La mattina del 20 dicembre viene decretato il blocco totale, terrestre e navale, a Fiume; il 24 inizia la marcia di avvicinamento dei Reparti governativi: alla periferia della città si accende qualche combattimento, con caduti di parte legionaria, , finchè, il 26, anche il palazzo del comandante è cannoneggiato dal mare.
D’Annunzio capisce allora che è giunta l’ora di por fine all’occupazione, offeso anche dall’indifferenza del Paese, che non gli pare meritare il suo sacrificio: “E, mentre mi ero preparato ieri al sacrificio, e avevo già confortato la mia anima, oggi mi dispongo a difendere con tutte le armi la mia vita. L’ho offerta cento e cento volte nella mia guerra, sorridendo. Ma non vale la pena di gettarla oggi in servizio di un popolo che non si cura di distogliere, neppure per un attimo, dalle gozzoviglie natalizie la sua ingordigia, mentre il suo Governo fa assassinare, con fredda determinazione, una gente di sublime virtù, come questa che da sedici mesi patisce e lotta al nostro fianco, e non è mai stanca di patire e di lottare.”
Il 18 gennaio si conclude la mesta partenza degli ultimi legionari; nel complesso, le reazioni nel Paese sono state scarse: a Bologna, Milano, Torino e in qualche altra città, i fascisti hanno organizzato manifestazioni di protesta, che si sono risolte, in qualche caso, in violenti scontri con la polizia.
Fallisce il tentativo milanese di Carli, collegato a gruppi di Arditi ed anarchici, di far saltare in aria la centrale elettrica, per poi provocare una sommossa in città, e miglior sorte non hanno i progetti insurrezionali a Trieste, dove Giunta e tutto il direttorio vengono arrestati, a titolo precauzionale, dopo un tentativo di rivolta cittadina: “Il 23 dicembre era già preparato l’ordine di arresto per i capi del fascismo; il 24 il Fascio veniva occupato da una compagnia di Guardie Regie; il 25 si proclama lo stato di assedio, con il divieto di portare armi, anche se muniti del relativo permesso, e si proibivano gli assembramenti di tre persone; il 25 sera, dopo che noi avevamo tirato due bombe contro la forza, cominciarono gli arresti in massa dei fascisti delle squadre d’azione.”
In realtà, il Comitato centrale dei Fasci del 15 dicembre ha espresso la sua opinione sul trattato di Rapallo, giudicato sufficiente ed accettabile per il confine orientale, deficiente ed inaccettabile per la Dalmazia; è la linea indicata già da Mussolini, con molto realismo, anche a costo di dispiacere a quanti vorrebbero un impegno più attivo a fianco di D’Annunzio, senza considerare che il Paese è stanco e desidera che, anche per una questione di credibilità internazionale, la storia di Fiume sia risolta.
Lo sforzo maggiore del fascismo deve ora indirizzarsi verso l’interno: se la battaglia sarà vittoriosa, riuscirà più facile anche dare, in un momento successivo, una soluzione definitiva, nel senso voluto, al problema della città olocausta; una sottile analogia sembra collegare gli avvenimenti di Fiume e Bologna: “Il Natale di sangue fiumano è, in qualche modo, il pendant dell’episodio bolognese: a Bologna, un’apparente vittoria popolare (la conquista del Comune da parte dei socialisti) si risolve in una disfatta; a Fiume, l’apparente sconfitta dell’eversione di destra ne preannuncia il trionfo”

Cambiano velocemente le situazioni: la riscossa nazionale faticosamente preparata nel biennio 1919/20, si svilupperà, da qui in avanti, prepotente ed inarrestabile, così come prepotente ed inarrestabile sarà il declino socialista, preparato dagli errori politici e favorito dalle incapacità personali dei dirigenti massimalisti.

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