di Giacinto Reale
Il 30 agosto, la FIOM ordina l’occupazione delle fabbriche, che sarà destinata a protrarsi nel tempo, forse anche aldilà delle stesse aspettative degli organizzatori, senza che il governo Giolitti, subentrato a Nitti il 15 giugno, ritenga di intervenire in alcun modo per riportare la legalità nelle grandi città industriali d’Italia.
All’interno delle fabbriche occupate si vive un clima insurrezionale, in vista della battaglia decisiva che si sente prossima; in qualche caso gli occupanti si industriano anche a fabbricare le proprie armi, soprattutto bombe a mano ed altri ordigni esplosivi, da utilizzare principalmente per la difesa degli edifici.
Armi, in verità, in specie nelle grandi fabbriche del Nord, ne circolano già abbastanza: lungo i muri perimetrali girano in continuazione picchetti armati di operai, e, all’ingresso fa minacciosamente spicco qualche nido di mitragliatrici; la vita, all’interno, è regolata in puro stile militare, a dimostrazione che l’esperienza della guerra, che tanto suggestiona le prime squadre fasciste, non lascia immuni i loro avversari; persino nei centri minori, come Pistoia, dove pure sarebbe logico aspettarsi un clima meno teso, l’atmosfera è “trinceristica”, come testimonia il giornale “L’Avvenire” di Pistoia:
…mercoledì sera, circa le due di notte, insieme agli infaticabili amici della Commissione, facemmo un giro di ispezione alle linee di difesa delle officine S. Giorgio. Che dire della preparazione tecnica della difesa ? Ad ogni cinquanta metri un robusto guardiano ci dà l’altolà, chiede se non una, almeno due volte la parola d’ordine; indi, scrutandoci da capo a piedi, ci fa lentamente cenno di avanzare. Ogni posto di guardia, segnalato con un numero progressivo, è guardato da un capoposto e tre o quattro e più uomini pronti e scelti, che non lasciano passare una mosca, ed è molto prudente che la Commissione abbia in mente di mettere in azione un potente riflettore, per illuminare i vari tratti dove deve avvenire l’ispezione.
In un clima generale che tutto sommato si può definire tranquillo, senza che nessuno, Governo, avversari politici o industriali vittime del sopruso, si sogni di ostacolare l’azione degli occupanti, ancora più efferato appare il comportamento degli elementi più esagitati che, peraltro, godono della copertura della massa.
A Torino, il 22 settembre, all’interno dello stabilimento occupato Nebiolo, viene condotto, processato, condannato e giustiziato il ventenne nazionalista Mario Sonzini, aderente ai Fasci di combattimento; la sua morte è cinicamente commentata dall’Avanti:
Mario Sonzini, impiegato della FIAT, è uno dei dirigenti dell’associazione crumiresca di quello stabilimento, è un fascista militante. E il militare porta con sé questo inconveniente: di andare a finire un giorno sull’orlo di una via con la tempia forata da un proiettile.
Sorte simile tocca anche al ventenne Costantino Scimula, guardia carceraria, condannato e giustiziato dal tribunale operaio costituto all’interno dello stabilimento Bevilacqua, sempre a Torino; i due cadaveri vengono ritrovati qualche giorno dopo:
Giacevano uccisi per una eguale ferita d’arma da fuoco alla nuca, in una stessa posizione, cioè bocconi e a braccia aperte, e non si esitò a capire che erano stati ambedue vittime di una sommaria e truce esecuzione. Si assodò che erano stati presi a mira da tergo, mentre altri complici li tenevano stretti ai polsi, che apparivano solcati da lividure per lo sforzo disperato che avevano opposto allo scopo di fuggire all’estremo supplizio.
I fascisti, nonostante tutto, assumono un atteggiamento sostanzialmente cauto, di fronte alle occupazioni; riconoscono la validità delle rivendicazioni operaie, ma dissentono sul metodo e, soprattutto, giudicano intollerabile il patrocinio offerto al movimento dal Partito socialista, l’odiato nemico antinazionale; la Commissione esecutiva, in data 6 settembre, emana un ordine del giorno che, esaminati i vari aspetti della vertenza in corso, dopo aver affermato di ritenere:
…ciò nondimeno, che le condizioni dell’industria del metallo non siano ancora tali da condurre alla catastrofe in causa dell’accettazione, almeno parziale, dei miglioramenti richiesti dagli operai, specie se preceduta da assicurazioni concrete circa la durata del concordato, e, soprattutto, circa il ristabilimento assoluto della disciplina del lavoro nelle officine.
< div style="mso-line-height-alt: 12.0pt; text-align: justify;">all’ultimo punto invita: