di Gianluca Padovan
A Milano il 25 aprile è la festa di Carnevale. Scorrendo a ritroso il tempo vediamo che «carnevale» deriva dalla locuzione “carne-levare”: «“togliere la carne”, riferito in origine al giorno precedente la quaresima, in cui cessava l’uso della carne» e anche «periodo dell’anno antecedente la quaresima, che si festeggia con balli e mascherate, e i festeggiamenti stessi che lo caratterizzano» (Istituto della Enciclopedia Italiana, Vocabolario della Lingua Italiana, vol. I, Milano 1986, p.644). Per estensione possiamo invece considerare: «tempo di spasso e di baldoria» e più utilmente «manifestazione, cerimonia, o più semplicemente riunione di persone che si comportano o vestono in modo poco serio» (Ivi).
Il 25 aprile del 1945 a Milano il popolo festeggiò la fine della guerra e dei bombardamenti sui civili. Altri si mascherarono per compiacere chi aveva vinto, taluni per dare inizio alla mattanza degli avversari che si erano arresi. Altri ancora saltarono sulla nuova barca per non perdere la possibilità di continuare a fare affari ai danni di uno stato italiano che, di fatto, aveva cercato di esistere solo per merito di pochi.
In definitiva che si festeggia il 25 aprile? La morte del fascismo già affossato nel 1943 (andarsi a rivedere la seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 con la destituzione di Mussolini)? La fine della monarchia sull’Italia intera? Tanto non comandava il cosiddetto re di casa Savoia, ma lo straniero apolide per suo tramite. Si festeggia l’avvento del nuovo straniero? Ovvero il multietnico esercito americano d’invasione che ancora oggi non se n’è andato? Difatti, più di cento basi militari americane, dove transita di tutto, esistono ancora ad opprimere il suolo italiano e a condizionare la politica degli italiani. Oppure, all’epoca, si voleva anticipatamente festeggiare l’arrivo dello stalinismo-comunista portato in punta di baionetta oppure issato sullo scafo del un carro armato T34? Oppure si continuava a festeggiare, dopo il 1861, la festa della massoneria, la quale aveva portato in ogni regione italiana l’Alleato della Massoneria? Non dimentichiamo che la cosiddetta «unità d’Italia» fu progettata a tavolino dalla massoneria internazionale e chi per prima ne face le spese fu la Sicilia, che ebbe l’economia definitivamente rovinata, a beneficio di Casa Savoia e successivamente della cosiddetta mafia. In fin dei conti quello che serviva allo straniero era la spada sguainata nel Mediterraneo prima e la portaerei poi. Del resto, che gliene fregava? Solo che gli italiani stessero divisi, seppure uniti sotto unica bandiera, e buoni servi.
Basilea 1494: in occasione del Carnevale l’umanista Sebastian Brant presenta il proprio straordinario testo: «La nave dei folli». Esaltazione della tragicomicità delle miserie umane, cantando un verso dopo l’altro invita al riso e soprattutto alla riflessione. Per chi sa riflettere. Gli altri se ne possono rimanere a bocca aperta in una smorfia o nelle risa, oppure a bocca chiusa, in quanto indispettiti. Il mondo è qui alla portata di tutti, per viverlo e per rifletterci sopra. Ma ecco qualche verso che ben s’attaglia ad ogni tempo, almeno da un po’ di secoli ad adesso, intitolato Degli istigatori di discordia (Brant S., La nave dei folli, Saba Sardi F. -a cura di-, Spirali, Milano 2002, p. 23):
«Molti sono che traggono diletto
Dal suscitare litigio e sospetto
E ci vuol poco perché ne derivi
L’inimicizia e l’odio più cattivi.
Diffondendo calunnia e la menzogna
Riescono costoro, a gran vergogna,
Colpi a sferrare che poi dai feriti
Solo più tardi saranno avvertiti,
Quando si cangia in odio l’amicizia
E scompare la gioia e la letizia».
Ma la rocca di chi s’arrocca prima o poi casca. In quel 25 aprile passava svelto un camion, dal quale alcune persone lanciavano sulla folla, che faceva ala, le fasce da braccio che caratterizzavano talune formazioni partigiane. Un uomo socialista (Socialista dell’epoca, s’intende, scritto con la esse maiuscola) vide il figlio raccattare una di queste fasce da braccio per infilarsela. Perentorio gli disse: «Càvete quea strasa!» (togliti quello straccio). Aveva pagato di persona prima con il fascismo e avrebbe pagato di persona poi, con la democrazia. Ma intanto non voleva alcuna bandiera imposta con la menzogna e, soprattutto, con la vergogna di chi era (ed è) il lacché dello straniero.
Il 25 aprile si dovrebbe festeg
giare la fine dei bombardamenti che rasero al suolo un terzo della città e per un terzo la lesionarono più o meno gravemente. Le cifre sono sui libri e non andate a consultare quelli di partito, fidatevi di più delle stime avversarie inglesi ed americane.
giare la fine dei bombardamenti che rasero al suolo un terzo della città e per un terzo la lesionarono più o meno gravemente. Le cifre sono sui libri e non andate a consultare quelli di partito, fidatevi di più delle stime avversarie inglesi ed americane.
Come evitare che la folla sparasse sulle truppe vincitrici ad armistizio firmato? Come evitare che i militari stranieri in libera uscita tra le macerie cittadine fossero sgozzati sui calcinacci, a mo’ di sacrificio per quanti inermi avevano ammazzato dall’alto con i bombardieri e con il «pippo» che spesso mitragliava i civili inermi? Semplice: bastava chiamarli «alleati» e «liberatori». E acclamarli fino ad oggi, con il Carnevale del 25 aprile!