di Enrico Marino
La retorica peggiore sul 1945 è, infatti, quella di chi vorrebbe riesumare pari pari la “Resistenza”nell’oggi, di coloro che radicalizzano scelleratamente il confronto politico e rievocando i luoghi comuni della vulgata resistenziale – dei quali il tempo e gli accadimenti hanno ormai dimostrato la falsità – di quelli che hanno fatto del 25 aprile un feticcio intoccabile e un turpe commercio sul quale continuano a speculare associazioni reducistiche altrimenti marginali. Il 25 aprile continua, perciò, a essere una celebrazione ipocrita, tanto più in quanto non ci fu mai una liberazione, perché non siamo mai stati liberati. La verità è che il 25 aprile è una grossa mistificazione, in cui trionfa semplicemente la retorica comunista, stucchevole e dura a morire, nonostante la storia abbia certificato il suo fallimento politico, culturale e ideologico. Se analizzassimo gli eventi senza condizionamenti di parte, ci renderemmo conto che liberare un popolo da un’oppressione non significa semplicemente eliminare un totalitarismo qualsiasi, ma significa dare a quel popolo l’opportunità di uscire dalla sconfitta a testa alta e con dignità, per riprendere un cammino di progresso. Certamente non significa dividerlo e lasciarlo diviso nella menzogna storica, nella debolezza politica, nel vuoto etico e nella mistificazione di un periodo tragico in cui il “buono” e il “cattivo” vengono presentati in un quadro manicheo come due entità nettamente separate anziché come un tutt’uno, in un contesto nel quale chi lottava per l’una e per l’altra parte aveva ragioni e torti, condivisibili o meno che fossero.
Il vero è che alla fine della guerra a molti, sia interni al paese sia esterni, piacque l’idea indecente di un’Italia divisa e debole, sempre umiliata, inerme e succube, inoffensiva e pronta a uniformarsi alle scelte dei più forti, asservita all’alleato di turno e incapace di un ruolo alla pari. Insomma, un’Italia serva se non del comunismo totalitario sicuramente dell’americanismo peggiore. In questo, la Resistenza ha servito ugualmente bene due padroni. Il suo pezzente mito è stato abilmente alimentato e pompato dalla cultura comunista per imbrigliare in un permanente e antistorico fronte antifascista tutte le forze democratiche e impedire loro di emanciparsi politicamente emarginando dal potere la sinistra dell’epoca fino a oggi; d’altro canto ha avuto anche un’altra funzione, tenere il Paese sotto tutela ed evitare che riemergesse l’orgoglio nazionale, demonizzato come rigurgito fascista, senza una netta distinzione di colpa in questo tra comunisti, democristiani e socialisti. Tutti hanno avuto chiare e inequivocabili responsabilità in merito, perché hanno permesso che le decisioni sul destino del Paese fossero assunte a Washington o a Mosca, in un disegno volto a erodere l’identità e la sovranità del popolo italiano, affinché la coesione attorno a valori realmente condivisi, come patria e onore, orgoglio e identità nazionale, comunità e famiglia, non tornasse a infiammare il cuore degli italiani, come ancora oggi invece infiamma il cuore dei tedeschi e degli inglesi, dei francesi e degli americani.
Per questo, dunque, il mito della resistenza, la sua liturgia rinnovata di anno in anno, i suoi presunti princìpi di libertà sono solo valori posticci atti a nascondere il vuoto identitario e politico che affligge il nostro paese da decenni, perché il mito del 25 aprile si basa sulla miserabile bugia secondo cui l’Italia avrebbe vinto la guerra in base all’inedita definizione di “co-belligeranza”. Fu invece la sanzione della sconfitta nella Guerra Mondiale e la fine sanguinosa di una guerra civile e nessuna nazione festeggia date del genere. Né le nazioni vinte come la Germania e il Giappone e neppure una nazione vincitrice come si considera la Francia, il cui territorio era diviso in due come l’Italia, che non festeggia l’ingresso delle truppe gaulliste a Parigi e la sconfitta di Petain. L’Italia nata dalla finta vi
ttoria partigiana – che in realtà è una vittoria solo degli Alleati e della loro strapotenza bellica – è inoltre ben diversa dall’Italia che avrebbe dovuto essere. Guardatela oggi, è una nazione patetica, piccola, corrotta, fintamente libera, viziata, apatica, divisa, vile e persino venduta ai poteri della finanza e dello straniero, con il consenso e la connivenza di tutti coloro che ritualmente e supinamente si ritrovano ogni anno in piazza a biascicare ipocritamente di antifascismo e libertà, condivisione di valori e memoria storica.
ttoria partigiana – che in realtà è una vittoria solo degli Alleati e della loro strapotenza bellica – è inoltre ben diversa dall’Italia che avrebbe dovuto essere. Guardatela oggi, è una nazione patetica, piccola, corrotta, fintamente libera, viziata, apatica, divisa, vile e persino venduta ai poteri della finanza e dello straniero, con il consenso e la connivenza di tutti coloro che ritualmente e supinamente si ritrovano ogni anno in piazza a biascicare ipocritamente di antifascismo e libertà, condivisione di valori e memoria storica.
Ecco perché non si può festeggiare questa data. E’ preferibile chi, con la passione nel cuore, perse la guerra con onore, a coloro i quali quella guerra fecero finta di vincerla. Non si può ricordare come “festa nazionale” una data che ha queste macchie indelebili di faziosità e di menzogna.
Enrico Marino
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