“Non si può scommettere nemmeno mezzo soldo sull’avvenire di un Paese che non si cura delle sue cose e della sua gente del passato” (Paul Valery)
Di che si tratta?
A partire dalla prossima settima, in – voluta – coincidenza con la data del 28 ottobre, coinvolgerò gli amici della redazione di Ereticamente e quanti di voi avranno la pazienza di seguirmi, in una iniziativa che per me è piuttosto impegnativa, e per voi spero si riveli interessante.
Intendo, infatti, pubblicare una – lunga – serie di pezzi che ricostruiscano la storia del quadriennio 1919-22, privilegiando nel racconto aspetti poco noti e testimonianze (brani di discorsi, articoli di giornale, stralci di memoriali) riconducibili ai protagonisti di quella avventura.
Ho già avuto modo di dire, anche qui, dell’importanza che attribuisco a quel periodo per capire che cosa il fascismo fu, e, soprattutto, che cosa avrebbe dovuto essere nelle intenzioni di chi diede un contributo determinante alla vittoria.
Aggiungo ora, stimolato anche da recenti discussioni sul web, che ritengo essenziale la conoscenza di idee, uomini e fatti del quadriennio 1919-22 per quanti vogliano collocarsi nell’area – ideale o politica – postfascista e neofascista.
Questo perché la scelta di tale aggettivazione non può prescindere dal legame – forte, anche se non acritico – con ciò che il fascismo fu sul piano storico.
Se, invece, si sente più pregnante il collegamento con società e civiltà tradizionali o guerriere (esemplifico, vado a sciabolate, è ovvio) di ogni tempo e paese, se si privilegia il richiamo ad altri forme di “fascismi” europei o mondiali, di ieri e di oggi, allora credo sia più esatto scegliere per sé la definizione di “uomo della tradizione”, “cavaliere dell’ideale”, o – scendendo più nel profano – “guardista” e “peronista” (e sono solo i primi esempi che mi vengono in mente).
Chi voglia dirsi, invece post o neo fascista, deve farsi vincolante carico della stagione squadrista (della quale qui parlerò), della Carta del Lavoro, del “Regime” e dell’epilogo saloino, con i “18 Punti” di Verona.
Senza fette di mortadella sugli occhi, esercitando ogni legittimo diritto di critico, nella migliore tradizione gufina, intellettuale e sindacalista che già fu dell’Italia di allora.
Prima di passare a due parole “nel merito”, ancora qualche breve “comunicazione di servizio”: il lavoro si articolerà su capitoli di massimo 5 fogli dattiloscritti, formalmente autonomi, pubblicati nello stesso giorno (il martedì), una volta a settimana qui.
Si tratta, però di un “work in progress” anche per me, che, al momento è definito per ciò che concerne il 1919, ma richiede limature e revisioni per il resto. Poco dipende dalla mia volontà, molto dal gradimento e dall’interesse che il lavoro riscuoterà da parte dei lettori…
Ma di cosa andremo a parlare?
Parlare del quadriennio 1919-22 vuol dire parlare essenzialmente dello squadrismo che, nei fatti e nei comportamenti “diede il tono” all’intero periodo.
Inizio, perciò, con due parole su di esso, fenomeno certamente unico nella storia d’Italia: a ragione, quindi, si è parlato di “spregiudicata attività tipicamente italica” e di “imponenza e drammaticità di un fenomeno che non aveva e non avrebbe avuto simili in tutta la nostra storia”, o si è detto che “il vero fascismo è lo squadrismo”.
Qualche collegamento ideale fu istituito, in epoca fascista con una certa tradizione volontaristica risorgimentale e più generalmente con atteggiamenti ribellistici ed attivistici sempre presenti nella nostra storia; Grandi parlò di “grande novità guelfa” e Freddi scrisse: “Il fascismo ha tutti i caratteri peculiari del movimento garibaldino: volontarismo, misticismo, patriottismo, audacia, ribellismo antitradizionale, antiliberalismo”.
In realtà, un evidente e diretto collegamento dal punto di vista della componente umana unì nei fatti lo squadrismo fascista al volontariato di guerra e all’arditismo. Un collegamento nei metodi d’azione ci fu con la tradizione bellica dei Reparti d’Assalto, e, più in particolare con, l’apparato scenografico collaudato durante l’avventura fiumana.
Tutti questi collegamenti non sono però sufficienti ad inquadrare il fenomeno, che ebbe peculiarità e caratteristiche sue propri ed irripetibili.
Allo sviluppo del fascismo sansepolcrista ed alla sua vittoria concorsero vari fattori, così sintetizzabili:
– culturali: influenza sulle élite che formarono i primi nuclei squadristi delle teorie vitaliste ed attivistiche riconducibili a D’Annunzio, Sorel, Nietzsche, Bergson Schopenauer ed alla tematiche futuriste;
– ideologici: polemica contro la società borghese e democratica in nome di nuovi valori quali il coraggio e l’eroismo;
– sociali: presenza nel paese di grandi masse di uomini abituati da quattro anni di guerra alla violenza, ed impregnate di disprezzo per le istituzioni del tempo di pace, come notò Pellizzi:
“Alcuni milioni di cittadini, massimamente giovani, per un periodo dai tre ai sei anni, avevano sperimentato la vita e le vicende della caserma, dell’accampamento, della trincea, totalmente avulsi dalla normale vita politica ed amministrativa del Paese. Si era creata, insomma, una grande massa di manovra giovanile di persone che, per un periodo assai lungo avevano combattuto e sofferto agli ordini di un Governo lontano, sentito come cosa distaccata e quasi aliena, rispondente ad interessi, abitudini e sistemi incomprensibili per il soldato, addirittura repulsivi o irritanti (nella luce in cui essi apparivano a chi seguiva queste cose dal fronte)”.
Tra queste masse emersero e si imposero aliquote e minoranze che, in modo particolare, avevano sviluppato il gusto per l’ardimento, vissuto la guerra come “seconda natura”, conosciuto l’amore per il rischio e l’azione, con un’accentuata disponibilità a rischiare la propria vita e quindi a sacrificare l’altrui per l’affermazione di un ideale;
– economici: volontà di reazione, anche in forme violente, in un periodo di crisi, da parte di categorie e ceti medi che furono vittime più di ogni altro del processo inflazionistico in corso – come notò Einaudi nei suoi articoli per il Corriere della Sera – e rischiavano di soffocare tra le pretese delle masse operaie e contadine, organizzate in sindacati e leghe da un canto e l’avidità del grosso padronato dall’altro, organizzato nelle associazioni industriali ed agrarie.
– politici; crisi del sistema demoliberale e contemporanea impotenza del massimalismo a concretare in fatti i programmi rivoluzionari adottati nella suggestione di quanto stava accadendo in Russia.
Presenza, di contro, di estese aree di consenso in diffusi strati della pubblica opinione e degli organi di informazione, nei confronti delle prime imprese squadriste, per il loro carattere di “reazione” alla prepotenza socialista.
Il Prefetto di Firenze Olivieri così relazionava a Giolitti il 24 aprile del 21:
“…mi permetto però di rappresentare all’Eccellenza Vostra, che il largo favore di cui godono i fascisti presso la popolazione è dovuto al fatto che dal fascismo questa si è vista liberata dalle prepotenze continuate e generali di cui era vittima da un paio d’anni almeno da parte dei comunisti.”
E il Senatore Nicolini rincarava la dose:
“A Roma i fascisti vogliono dire Fiume, a Venezia Gabriele D’Annunzio, ma a Bologna e Ferrara vogliono dire liberazione”
Lyttelton poi, con riferimento all’offensiva fascista della primavera del 21 parla di “benvenuto della grande maggioranza della stampa liberale” e De Felice di “avallo che lo squadrismo trova nella grande stampa d’informazione”;
– emotivo sentimentali: in una prima fase, la molla all’azione fu la rivendicazione dei diritti dei combattenti, contro la tendenza colpevolizzante socialista ed anarchica; i combattenti erano convinti di appartenere ad un sopramondo, lontano dalle meschinerie della vita quotidiana; successivamente emersero l’insofferenza e il desiderio di vendetta maturato per le violenze e le paure subite nel biennio rosso.
Esatto quindi dire che nel 21 “il comune denominatore del fascismo era diventato la somma di infinite negazioni, cioè un’aggregazione negativa”;
– psicologici e morali: lo spirito di sacrificio, spesso supportato dallo stato d’animo quasi mistico da cui erano animati molti, in particolare giovani, fu fattore determinante di vittoria. Isolati nei loro ambienti, spesso nelle stesse famiglie, avversati da destra e da sinistra, talora anche all’interno del movimento dai benpensanti, assisi in posti di responsabilità, gli squadristi formarono un modo a parte, esaltarono i vincoli di comunità al loro interno, ripudiarono gli svaghi e le avventure liceali, per un vita fatta di rischio e pericolo veri.
Ci fu poi, a dare concretezza e “sbocco” allo scapigliato agitarsi di quegli scapestrati in camicia nera, l’azione “tutta politica” di Mussolini: un vero capolavoro, fatto di accelerate e frenate, blandizie e minacce, manovre parlamentari e iniziative piazzaiole.
Per ora, però, mi fermo qui: a martedi… 28 ottobre
Giacinto Reale
4 Comments