di Michele Rallo
Ricordate “la luce in fondo al tunnel” che qualcuno intravedeva già all’indomani dell’arrivo di Monti a Palazzo Chigi? Si era nell’ultimo scorcio del 2011. Ma, qualche mese dopo, ci si pregò di portare pazienza: se ne sarebbe parlato — si disse — nel 2013. Qualche settimana ancora, e l’asticella venne alzata un pò: non una vera e propria luce, ma un barlume; e non nel 2013, ma nel 2014.
Poi, nello scorso aprile, alla vigilia dell’incarico a Letta, ci pensò lo stesso Monti a dire qualche parola di verità. Negli ultimi giorni del suo governo, ospite di Fabio Fazio nella popolare trasmissione televisiva “Che tempo che fa”, il Genio della Bocconi ammise candidamente: «Credo che i prossimi sette anni saranno più difficili dei precedenti». E il riferimento — si badi bene — era ad un settennato non proprio felice: il primo di Giorgio Napolitano (maggio 2006 – maggio 2013), iniziato con la “crisi dei subprime” e con le sue ripercussioni in Europa e in Italia, e concluso con i macabri 17 mesi del gabinetto di flagellazione nazionale presieduto dal Torquemada della Bocconi. Altro che “luce in fondo al tunnel”. Immaginate sette anni peggiori del settennio 2006-2013!
Prudentemente, però, il Nuovo Uomo della Provvidenza non si soffermava sugli anni successivi al secondo settennato di Napolitano. A questa pecca ha posto ora riparo la CGIL, che negli scorsi giorni ha reso pubblici i risultati di uno studio condotto dal suo Ufficio Economico sui tempi di una possibile “ripresa” italiana. Lo studio fissa come traguardo un ritorno della nostra economia nazionale ai livelli del 2007, immediatamente prima — cioè — della crisi economica mondiale. Si tratta — quindi — di un traguardo ben misero, considerato che nel 2007 l’Italia aveva già attraversato il quindicennio di dissesti economici e di massacri sociali seguito alla nascita — nel 1992 — dell’Unione Europea: l’attacco speculativo di Soros e compagni che aveva prodotto una svalutazione della lira del 30%, la dismissione di buona parte della nostra preziosa industria di Stato (ceduta agli stranieri a prezzi di saldo), l’entrata in circolazione dell’euro (che aveva dimezzato il potere d’acquisto dei nostri risparmi), l’avvìo della riforma delle pensioni, la “delocalizzazione” di molte industrie italiane in lidi più propizi, i licenziamenti di massa, la criminalizzazione del posto fisso ed il trionfo del precariato, l’invasione migratoria con le sue pesanti ripercussioni su un già dissestato mercato del lavoro, eccetera. Ebbene, per tornare ai livelli di quel miserabile 2007 — secondo lo studio della CGIL — dovremo aspettare ben 13 anni da oggi, cioè fino al 2026. Ma questo — si badi — solo per quanto riguarda il PIL e, naturalmente, a patto di “intercettare la ripresa”. Per quanto riguarda l’occupazione, sempre se tutto va bene, gli italiani dovranno avere un pochino più di pazienza: altri 50 anni — e fanno 63 — fino al 2076. Questo — mi ripeto — per gli standard miserabili e da terzo mondo del 2007, con precariato, mobilità, blocco delle assunzioni e concorrenza degli immigrati.
Quello che lo studio della CGIL non dice, è che la nostra società non potrà reggere questi livelli di crisi per altri 63 anni. Si sfascerà tutto molto prima. Quando? quando non saremo più in grado di pagare le rate miliardarie dei nostri pazzeschi “impegni con l’Europa”.
Nota di Ereticamente
Ringraziamo l’Autore per l’invio. L’articolo è stato pubblicato in cartaceo sul periodico Social di Trapani