18 Luglio 2024
Antagonismo Militanza Punte di Freccia Storia

Fedele a raccontarmi…

Una sottile fila di soldati tedeschi, con armi alla mano puntate contro tetti e finestre nel timore di agguato partigiano (che non vi fu perché è più facile e comodo mettere una bomba in un carretto dell’immondizia che guardare in faccia un uomo in divisa e pronto a vendere la pelle), risale lungo via dell’Olmata per poi discenderne e raggiungere la piazza di Santa Maria Maggiore dove, di fronte alla bella facciata in stile romanico della basilica, si sono posizionati alcuni automezzi. Ormai il fronte si va spostando oltre la Capitale, non resta loro che abbandonare la città e ritirarsi al Nord, quel continuare a combattere pur nella consapevolezza che la guerra è perduta. Gli alleati sono alle porte di Roma dopo aver infranto l’estrema resistenza a Cassino ed entrati nella cittadina, cumolo di macerie, il 18 maggio e lungo il litorale laziale dove erano rimasti impantanati sulla riva per mesi. Sono le prime ore del giorno 2 di giugno del ’44. L’ultimo soldato della fila abbandona il fucile contro il muro della clinica di Sant’Elisabetta e chiede rifugio alle suore di origine tedesca e polacca. Per lui la guerra è finita.

Da dietro le persiane chiuse un uomo di circa quarant’anni, alto magro con gli occhiali, li osserva nervoso. Non tanto per quelle ore, cariche di storia e d’incognite. Nella stanza accanto la moglie ha appena partorito un maschio dopo due femminucce di sei e quattro anni. Come l’erba capace di crescere fra i ciottoli della strada, nonostante lo scarico delle macchine, il passaggio dei pedoni. Un grido tanto libero e forte della vita tanto quanto più tragica si rende l’esistenza. Infatti dove c’è miseria si prolifica; dove c’è benessere s’inaridisce il seme. Lo possiamo confrontare oggi quando, in televisione, vediamo arrivare le carrette di disperati con donne incinta e neonati mentre sempre meno i portoni si adornano di fiocchi azzurri o rosa… Così vale durante i conflitti, quando l’essenziale del corpo, sudore sperma nascita e morte si intrecciano e dominano sulle armi sulla morale su ogni forma di logica, perché non è vero che la carne è debole, debole semmai è la mente, ma vorace prepotente avida (un vecchio amico, già facente parte del Lupo, il btg. della Decima MAS, mi ripete come la vita vada mangiata…).
La mamma ha iniziato ad avere le doglie in piena notte. Si partorisce in casa, l’unico luogo ancora sicuro. Sono gli uomini della PAI, che hanno sostituito i carabinieri (la maggior parte sono fuggiti dalla tenenza, sita nel medesimo palazzo, in abiti civili subito dopo l’8 settembre), ad andare a prendere la levatrice. Strade deserte finestre e portoni serrati grava su ogni cosa l’attesa… La mamma è una donna minuta, silenziosa, tenace, nata negli USA da cui ha riportato il senso di italianità indiscussa e inviolabile. Vissuta in collegio fino all’età di ventidue anni, poi in Francia maestra del Fascio all’estero, porta in sè il senso disperato d’avere una famiglia tutta sua. Come la lupa nel sogno del conte Ugolino. Ne darà prova negli anni dal 12 dicembre ’69 e a seguire. Poi, andrà a rifugiarsi in un mondo altro e perso di fronte alle cose…
Un fucile abbandonato; il vagito di un neonato. La fine di uno; di un altro il principio. Come il sole al tramonto che annuncia l’aurora. Ed io ho sempre voluto credere, con inconfondibile vanità, che qualcuno l’avrebbe raccolto perché la guerra del sangue contro l’oro, del lavoro contro l’usura, di una certa idea d’Europa che nulla ha da spartire con quella di Maastricht delle banche della moneta unica dei tassi d’interesse non conosce confini nè di spazio nè di tempo, ma il marciare con passo cadenzato e sicuro con la certezza che ‘il domani appartiene a noi’… Ebbene verso quel fucile si protendevano le manine ancora incerte di quel bambino, nel suo pianto si nascondeva la scelta, sempre più consapevole, di tutta una vita. Quella vita che è la mia… 2 giugno 1944 – 2 giugno 2014… (Sarò a Littoria, in piazza dell’Unità, a presentare La guerra è finita. Una scelta fra le tante possibili per festeggiare il mio compleanno. La migliore? Di certo coerente).
‘Nascere per dovere, vivere per obbligo, morire per caso’, inizio anni ’70. Leggo sul quotidiano di uno studente francese di 17 anni che s’è suicidato e, a testamento, ha vergato su un foglietto queste poche parole. Le sbarre alla finestra il chiavistello alla porta non riescono a tradire la voglia feroce di vivere, ‘la zuppa magra, i muri freddi, la marcia orgogliosa’. Mi viene a mente lo scrittore Albert Camus che affermava essere ormai il suicidio la libertà unica che ci rimane. E l’immagine di lei che mi fu conforto e che non vivo con dolore, forse solo con una tenue affettuosa nostalgia (mi sono sempre rifiutato di farmi prigioniero del rimpianto e del rancore), che ha scelto per non essere scelta o, chissà, per darmi la notte del 21 dicembre il diritto di vivere… Ed io ne ho approfittato, tanto (non vedete come ogni giorno mi muovo a passo lieve di danza, come il dio Dioniso?), perché mi ostino contro l’anagrafe impietosa ed ostile a chiedermi ancora ‘cosa farò da grande’. E dalla morte pretendo solo poca cenere il ‘presente!’ e tante bottiglie di birra perché mi si festeggi folle e disperato, anticonformista e antiborghese e, soprattutto, irriverente…
Già… quest’anno non è un compleanno qualsiasi. Quest’anno è il secondo – e ultimo, va da sè – giro di boa rispetto a quel mio fratello, più vecchio e più giovane, che un plotone d’esecuzione stupido e infame (come sono gli assassini e i censori, sempre illusi di mettere un punto fermo allo scorrere del tempo e alla parola) ha scavato nella carne e ne ha reso eterna l’anima nel ricordo di chi lo ama. Ed anche a lui devo qualcosa, quello sforzarmi, no, quel senso di naturalezza nell’esistenza, insomma ‘eminente dignità del provvisorio’…
Va bene. Anche questa volta vi ho tediato con piccole incursioni nel mio quotidiano esperire. E’ chè, dopo quasi quarant’anni di cattedra registro e blablabla fra concetti e sbadigli, mi accorgo che, a parte la pensione, mi rimane soltanto uno specchio ove, ogni mattina, provo a sorridermi… e, sì, mi piaccio ancora!

Mario M. Merlino

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