8 Ottobre 2024
Guareschi Storia

“IL TA-PUM DEL CECCHINO”, il caso Guareschi-De Gasperi: un mistero alle origini della Repubblica (seconda parte)

“Se De Gasperi ha chiesto agli Inglesi un’azione di bombardamento allo scopo di eccitare i romani alla rivolta contro i nazi-fascisti, De Gasperi ha compiuto semplicemente il suo dovere di resistente”. (“Il Popolo”, organo della DC, il 25 maggio 1954)
Di Giacinto Reale

1.        IL PROCESSO
Il processo, dopo un paio di rinvii, si apre, “con rito direttissimo”, il 12 aprile, non senza, però, che prima le due parti non abbiano sparato qualche altra cartuccia a loro favore. In dettaglio:
Guareschi pubblica per intero la perizia grafologica di Umberto Focaccia, che riconduce senza ombra di dubbio i due documenti a Guareschi;
De Gasperi acquisisce due lettere, firmate dal Generale Harold Alexander e dal Colonnello a. d. Bonham Carter, che il suo consigliere diplomatico, Paolo Canali, con l’ausilio dell’ambasciatore Manlio Brosio, è andato a prendere direttamente in Inghilterra.

Questa vicenda delle lettere merita una nota in più: in effetti, Canali incontra anche Churchill (interessato alla vicenda solo in quanto le missive degasperiane fanno parte, come già detto, di un più vasto carteggio che comprende anche uno scambio epistolare tra Mussolini e il premier inglese), ma non ne ricava niente. Lo statista, infatti, fiuta la trappola e, in una concisa risposta, si limita a testimoniare solo della falsità del carteggio attribuitogli; sul resto non si pronuncia (e, infatti, di lui non si farà parola al processo).
I due Ufficiali, invece, mettono agli atti delle risposte di “pura cortesia”, nelle quali, sostanzialmente, dichiarano di non aver preso visione della lettera (è questo è naturale, perché, nella versione De Rosa, essa è stata sequestrata al corriere appena fuori dal Vaticano) e di ritenerla, comunque, irrituale, in quanto richieste del genere andavano indirizzate a Badoglio, e da lui poi, eventualmente passate ai Comandi Alleati.(4)
Quindi, nulla dicono – perché non possono dirlo – sul vero quesito a base del dibattimento, e se, cioè, la lettera è autentica oppure no.
Testimonianze ininfluenti, mi pare di poter affermare, anche se invece ad esse la Corte darà grande rilevanza.
Appare così chiaro, in sede dibattimentale, che l’unica via per arrivare alla verità sarebbe l’esame degli originali, ma De Rosa traccheggia: teme per la sua incolumità in caso di eventuale rientro in Italia (o, quanto meno, paventa un arresto) e si dice disponibile a mostrarle alla Corte presso la banca svizzera dove sono depositate.
La proposta non viene accettata, ché la Corte ha urgenza di “chiudere”, ed è così che alle 10,30 del secondo giorno si presenta in Aula il già citato notaio Bruno Stamm, che detiene gli originali, e li consegna al Presidente del Tribunale, perché siano periziati e si dica la parola fine alla vicenda.
E qui si ha un vero colpo di scena: su invito dell’avvocato di De Gasperi, Giacomo Delitala, e nonostante il Pubblico Ministero sia favorevole, la Corte, dopo un’ora e mezzo di Camera di Consiglio si pronuncia:
ritenuto che la richiesta perizia chimica e grafica si appalesa del tutto inutile, essendo la causa sufficientemente istruita ai fini del processo, decide per questi motivi di respingere tutte le istanze avanzate dalla difesa e ordina che il dibattimento prosegua”.
È una vera bomba, che stravolge gli stessi principi del diritto: l’avvocato
Michele Lener, difensore di Guareschi, per protesta abbandona l’aula, e affida al co-difensore, avv.Vincenzo Porzio l’incarico di presentare le conclusioni, “ritenendo pleonastica la sua presenza in aula” in vista di una condanna che appare ormai certa.
Gli fa eco lo stesso Guareschi, che annuncia che, in caso di condanna, non interporrà appello, e si allontana dal tribunale, per non più farvi ritorno.
Esauriti i rituali di norma, con le arringhe del Pubblico Ministero e delle parti (praticamente il solo querelante), il 16 aprile, dopo soli venti minuti di Camera di Consiglio, la sentenza: “un anno di reclusione e centomila lire di multa, oltre alle spese”.
Guareschi, come promesso, non fa appello, e lo comunica con una motivazione che appare ancor oggi di stringente attualità, con riferimento a casi diversi ben noti a tutti:
Perchè dovrei attendere il giudizio della Corte d’Appello e poi della Cassazione, per andare in galera? è dimostrato che, contro De Gasperi, la Magistratura non agisce, perché accetta come Vangelo ogni sua asserzione. E allora? Allora mi darà sempre torto. Meglio subito la pena”.
Il 26 maggio lo scrittore si presenta alla prigione di San Francesco, a Parma, per scontare la sua pena. Dopo quattro mesi lo raggiunge una pessima notizia (anche se non imprevista): all’anno di reclusione dovrà aggiungere altri otto mesi, sino al gennaio 1956, perché gli è stata revocata la condizionale concessagli due anni prima per una condanna per offese al Capo dello Stato (Einaudi), a seguito di una vignetta apparsa sul Candido.

A luglio del 1955, finalmente, dopo 13 mesi e 9 giorni di reclusione, lo scrittore viene scarcerato e posto in libertà condizionata, come qualunque detenuto abbia scontato con buona condotta oltre metà della pena.
Non è più, però, lo stesso uomo di prima; ammette Franzinelli:
rientra nella vita ordinaria senza vera percezione né volontà progettuale; ha difficoltà ad alimentarsi normalmente… riprende i lavori abbozzati in cella… ma non riesce a concretizzarli”.
Anche l’altro protagonista della storia esce di scena: infatti De Gasperi si spegne il 19 agosto del ’54 nella sua casa in Val di Sella.
OSSERVAZIONE: non sfugge, anche ad un profano che non sappia di cose di diritto, l’anomalo comportamento del Tribunale di Milano, che prima rifiuta la “gita” a Locarno per visionare le lettere, e poi si ostina a negare la perizia calligrafica, anche contro il parere del Pubblico Ministero che la chiede, ritendendola prova “decisiva” contro l’imputato. Comportamento di una Magistratura d’altri tempi, sensibile alla “ragion di Stato”, che, nel caso specifico vuol dire evitare anche solo il rischio che un Presidente del Consiglio in carica possa essere accusato – in maniera comprovata – di un crimine così odioso come chiedere il bombardamento dei propri concittadini. (5)
Quando poi saranno depositate le motivazioni della sentenza, le perplessità aumenteranno di fronte ad affermazioni di questo tipo:
“La chiesta perizia grafica, con tutte le incertezze insite in tal genere di perizia, non avrebbe potuto apportare alcun lume, anche perché, nella migliore delle ipotesi per l’imputato, una semplice affermazione del perito non avrebbe mai potuto far diventare credibile e certo ciò che obbiettivamente è risultato impossibile ed inverosimile”.
C’è da restare allibiti. (6)
2.         IL PROBLEMA DELL’AUTENTICITA’
Per affrontare ora il problema dell’autenticità dei documenti, va preliminarmente detto che, allo stato, essi (lettera del 19 gennaio e successivo biglietto autografo) non esistono più: furono distrutti nel dicembre 1956 per ordine del Tribunale.
Quindi, l’unica perizia redatta sugli originali resta quella di Umberto Focaccia, che così conclude: “in piena coscienza, obbiettività e convinzione dichiaro che la scrittura e la firma della lettera datata “26 gennaio 1944” e la firma apposta in calce alla lettera dattiloscritta (su carta del Vaticano) “Roma, 19 gennaio 1944” sono di mano dell’on. Alcide De Gasperi”.
Le successive analisi saranno condotte su fotocopie, e, ciò nonostante, i periti nominati dal Tribunale (quindi super partes, anche se “tendenzialmente” schierati col Pubblico Ministero) nel processo del 1956 a carico di De Toma per “falso continuato in scrittura privata e truffa aggravata” concluderanno che “non esistono prove tali da permettere di stabilire inequivocabilmente la falsità delle lettere”.
Questo inatteso smacco per la tesi accusatoria porterà alla nomina di un altro “superperito”, che si pronuncerà per la falsità, in un contesto però gravido di sospetti, in quanto gli esperti nominati in contraddittorio da Candido dimostreranno che le lettere esaminate non sono più quelle esibite nel ’54, ma altre grossolanamente artefatte.
Insomma, un bel pasticcio… il primo di una serie di simili (e anche riferiti a episodi ben più gravi) ai quali ci avrebbe abituato la storia della Repubblica.(7)
OSSERVAZIONI: Franzinelli, a corredo del suo libro, ha fatto effettuare una nuova perizia grafologica (sempre, evidentemente sulle copie), che un po’ però contraddice la tesi del committente, perché afferma:
“un primo esame della scrittura apposta sulle due lettere pubblicate da Candido non rivela anomalie grafiche tali da smascherare l’artifizio simulativo”
salvo poi avventurarsi nella tesi un po’ ardita di una realizzazione di falsi fatta “a ricalco” su due autografi precedenti dello statista trentino.
Da incompetente, osservo che la “sovrapponibilità” tra gruppi di lettere (o anche parole intere) è alla base stessa si ogni perizia calligrafica, requisito indispensabile per la riconducibilità di uno scritto al suo autore. Se, una volta accertata, dovessimo dedurne che, per questo solo, ogni scritto disconosciuto (ma anche “riconosciuto”, perché no ?) dal firmatario “potrebbe” essere un falso, non se ne uscirebbe più.
La somiglianza dei caratteri, l’andamento regolare, la certezza della mano ed altri sono i parametri che servono per l’attribuzione di autenticità…e, nel caso delle lettere di de Gasperi, ci sono tutti.
3.        PROTAGONISTI
Giunto alla fine, mi pare giusto dire due sole parole sui protagonisti della storia, anche per scrostare qualche sedimento accumulatosi col tempo.

Giovanni Guareschi: per evidenti motivi di spazio, ho omesso di raccontare che, a favore dello scrittore si schierano, dal primo giorno, il MSI e il suo giornale, il Secolo d’Italia, che fa da collettore di una miriade di messaggi e dell’iniziativa per ottenergli la grazia presidenziale; questo farà passare e radicherà nel tempo l’idea di una affinità ideologica tra lo scrittore e il Partito neofascista.
In effetti, così non è: Giovannino, prigioniero in Germania, si è rifiutato di aderire alla RSI, e, nel primissimo dopoguerra, sia pure tra alti e bassi, è sempre vicino alla DC (“diga al comunismo”), e anche allo stesso De Gasperi.
Nazional-monarchico (8), con l’avvento di Einaudi “galantuomo” alla Presidenza della Repubblica attenua un pò le sue posizioni, ma non sarà ripagato di egual moneta.
Il politico piemontese, recordman delle grazie (oltre 15.000), a lui la nega rilevando l’irregolare iter della pratica, dal momento che la richiesta del provvedimento non proviene dall’interessato o da un suo familiare, ma da terzi (3 ex decorati di medaglia d’oro e svariati comuni cittadini)… Niente di nuovo sotto il cielo, verrebbe di dire.
La definizione che Franzinelli usa in un’occasione per Guareschi, di “anarchico di destra” appare assolutamente fuor di luogo: lo scrittore è “uomo d’ordine” per eccellenza: i personaggi positivi dei suoi libri (e, quindi, del suo modo di pensare) sono vecchie maestre in pensione di sentimenti monarchici, agrari conservatori e timorati di Dio, clericali pavidi un po’ codini.
Né va trascurato il particolare che per il suo “Don Camillo” è possibile anche una lettura diversa, se è vero com’è vero che la candidatura del film all’Oscar è appoggiata da giurati “di sinistra” e osteggiata dalla CIA, perché dimostra la possibilità di convivenza nell’Europa al di qua della Cortina di ferro con un comunismo tutto sommato bonario.(8)
Questo per dire che – fermo restando il sincero anticomunismo di Guareschi l’appoggio che i missini gli daranno incondizionatamente sa un po’ di strumentale, fino a quel “Caro camerata, bentornato” col quale Almirante lo saluterà all’uscita dal carcere, e che suonerà un po’ strano tra i biglietti di fieri antifascisti più o meno neoconvertiti, quali Enzo Biagi, Mario Missiroli, Indro Montanelli, don Mazzolari, don Bedeschi.
Alcide De Gasperi: nato il 3 aprile 1881 a Pieve Tesino, studente di Lettere e Filosofia prima a Innsbruck e poi a Vienna, nel 1911 è Deputato al Parlamento di Vienna, meritandosi – anche da Mussolini  per le sue posizioni “imperiali”, l’infamante accusa di essere “austriacante”.
Scoppiata la guerra Inizialmente spera che l’Italia scenda in campo a fianco degli Imperi Centrali sulla base della Triplice alleanza, salvo poi impegnarsi perché sia almeno mantenuta la neutralità italiana, su posizioni che sfoceranno ben presto nell’aspro contrasto con Cesare Battisti, il futuro eroe.
Che egli si senta sempre uno “straniero” lo dimostra l’infelice affermazione sfuggitagli al Congresso provinciale della DC di Trento, il 20 luglio del 1947, allorché si definirà, con malcelato orgoglio, “un Trentino prestato all’Italia”.(8)
Introverso e sospettoso di natura, anche se molto determinato nel raggiungere i suoi scopi, fino alla testardaggine, ha anche carattere vendicativo: di fronte alle richieste di intellettuali, politici, uomini di spettacolo, gente comune che chiedo un suo intervento che eviti il carcere a Guareschi, resta indifferente e non rimette la querela.
Su un piano più generale, poco credibile appare la tesi di Franzinelli che individua i motivi della mancata querela a De Toma & C all’inizio della storia (così come gli aveva suggerito più d’uno): “…sia nella riservatezza del leader DC, sia nel fatto che la sua posizione lo esponeva quotidianamente ad attacchi che preferisce ignorare. Egli sottovaluta la pericolosità dei documenti attribuitigli…”.
Così scrivendo si fa solo offesa all’intelligenza (non scevra da furbizia) del “trentino prestato all’Italia”.
OSSERVAZIONE FINALE
Credo che ormai sia impossibile arrivare alla “vera verità”, ma che si possa applicare anche a questo caso il criterio della “verosimiglianza” invocato da Evola nella prefazione ai “Protocolli”: l’ambiguità di comportamenti di De Gasperi (e con lui di tanti altri protagonisti della Resistenza), l’ansia di compiacere dimostrata verso gli
Alleati sicuri vincitori, il disprezzo per le popolazioni civili colpevoli di non riconoscere la loro autorità, sono infatti dati di fatti acclarati e che autorizzano senz’altro a ritenere “verosimile” anche la scrittura di un “invito al bombardamento” del tipo di quello sopra detto.
Ho ritenuto di narrare questa storia qui sia per gli accennati motivi di attualità che essa inaspettatamente presenta, sia per cercare di fare chiarezza – a me stesso innanzitutto, ché, come molti, della vicenda ero solo orecchiante – sia perché mi è sembrato un altro plateale esempio della verità della legge di Murphy: “Chi comincia male, finisce peggio”.
Basti, per questo, pensare all’indecente modo nel quale si è chiusa quella Prima Repubblica che di De Gasperi aveva fatto il suo massimo nume fondatore.
NOTE
(1)    Non si può non osservare come -pur con tutta la prudenza di linguaggio obbligatoria- la precisazione dei due Ufficiali inglesi circa la via gerarchica da seguire (Badoglio) autorizza il dubbio che casi del genere ce ne siano stati prima.
Sicuro è che dI qualcuno simile e successivo si parlerà a lungo nelle storie della Resistenza (Treviso e Venezia, per esempio), anche se ammantato dalla più comprensibile finalità di colpire i Tedeschi (che poi stessero in città abitate da italiani è, evidentemente, un particolare irrilevante)
Franzinelli accenna anche –senza approfondire il discorso- ad un documento (anche questo pubblicato su Candido) con il quale il Generale Dell’Ora chiede agli Alleati, sempre nel 1944, il bombardamento di Roma e riporta un brano del libro andreottiano “Concerto a sei voci”, nel quale l’Autore pone una domanda insidiosa:
“E’ vero o meno che proprio uomini del Partito d’Azione furono quelli che chiesero, durante il 1943 agli alleati l’intensificazione dei bombardamenti nelle città italiane per affrettare gli sviluppi della situazione ?”
(2)    Ancora una volta coglie, quindi, nel segno il commento dell’Unità:
“La condanna emessa dal Tribunale, giusta o meno, presenta un punto oscuro: la mancanza della prova del reato…la perizia calligrafica e quella chimica sulle lettere avrebbero servito, se non altro, a togliere ogni dubbio”
(3)    Aldo Gianuli, noto esploratore di archivi e carte segrete, nel suo “Il noto Servizio….” (Milano 2011) non ha dubbi: “…il leader democristiano sostenne –in modo poco credibile, per la verità- che si trattava di falsi….ma molti indizi ci inducono a pensare che falsi non fossero (la Corte che giudicò il caso dovette operare molte e sbalorditive forzature per dargli ragione)”
(4)    Va ancora detto che l’avvenuta distruzione dei documenti, già deplorevole in sé, risulta tanto più dannosa in quanto le analisi che oggi –diversamente dagli anni cinquanta- sono possibili (p es, sulla carta e sull’inchiostro) avrebbero consentito di acquisire elementi concorrenti ma decisivi in ordine alla loro autenticità
(5)    “Umbertino mi ha già assicurato che presto sbarcherà a Napoli per instaurare la monarchia e venirti a liberare” gli scr
iverà in carcere, ironicamente De Toma”
(6)    Anzi, l’unico veramente “cattivo” (e ridicolo a un tempo) è il personaggio del fascista Marchetti, magistralmente reso da Paolo Stoppa ne “Il ritorno di don Camillo”
(7)    Proprio da qui nasce l’ostilità di Guareschi nei confronti dello statista, che, comunque, si attenuerà con l’appoggio elettorale fornito dal giornalista alla DC nelle elezioni del ’48 e sarà suffragata da una lunga lettera (sei pagine dattiloscritte) su carta intesta del Candido

2 Comments

  • paolo casolari 28 Maggio 2014

    Gran bel pezzo che fa luce sull’errata tesi, che mi era nota, di Franzinelli.
    Complimenti.
    Paolo Casolari

  • paolo casolari 28 Maggio 2014

    Gran bel pezzo che fa luce sull’errata tesi, che mi era nota, di Franzinelli.
    Complimenti.
    Paolo Casolari

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