Ci sono episodi della cronaca criminale che, per efferatezza o per contesto, non solo impressionano l’opinione pubblica, ma, in qualche modo, costituiscono una svolta, un tornante della storia del costume di un’epoca. Il recentissimo delitto romano, in cui un giovane è stato attirato in un incontro omosessuale a pagamento, poi seviziato a lungo, in maniera efferata, ed infine ucciso. I due assassini, giovani romani di ottime famiglie, hanno agito sotto l’azione di droghe, almeno uno di loro non sembra nuovo a tali atti atroci, ed hanno dichiarato che il movente era “vedere l’effetto che fa”. Uno svolge l’onorata attività di organizzatore di “eventi gay”. Proprio vero che bisogna diventare imprenditori di se stessi, chissà se ha la partita IVA…
Solo pochi giorni prima, l’opinione pubblica è venuta a conoscenza di un altro delitto che definire schifoso è davvero il minimo: un ragazzotto di provincia, uno di quei belli e dannati che tanto affascinano il nostro tempo, ha prima circuito ed ingannato una professoressa nubile di mezza età, si è fatto consegnare in contanti ben 187.000 euro, e, alle richieste di restituzione della poveretta, l’ha gettata viva in una fossa, con la complicità di un suo amante uomo, ultracinquantenne, e forse, della sua stessa madre. Anche questo pessimo soggetto non sembra nuovo ad imprese della specie, e dei soldi, nessuna traccia. Forse usati per una nuova casa in un paese vicino, forse perduti al vicino casinò di Saint Vincent, di cui era assiduo frequentatore con puntate assai forti. Potremmo continuare, rammentando il caso padovano del ballerino Freddy (ma è possibile che i genitori italiani debbano ricorrere a ridicoli nomi stranieri per il loro figli? Un altro segno di penoso degrado culturale), proprietario di numerosi immobili, forse prestanome di gente ancora peggiore di lui, il quale, con la complicità di un’amante e della sorella, ha ucciso un’altra sua conquista. L’assassino ha confessato, cercando di attribuire il gesto a pratiche di sesso estremo.
Più che alla normale criminologia, dobbiamo ricorrere alla categorie della sociologia e dell’antropologia criminale: non si intende, qui, evocare i fantasmi letterari del genio di Dostoievsky, rammentando personaggi come il Raskolnikov di delitto e castigo, o i nichilisti Kirillov e Stavrogin dei demoni. C’è tuttavia, almeno una parola che occorre pronunciare: quello di Male. Il male è uno di quei concetti che la postmodernità ha prima opacizzato, poi decisamente abolito: il male esiste solo nella forma di razzismo, fascismo e simili. Per tutto il resto, vale solo l’interpretazione, il giudizio personale, il capriccio.
In quell’ottica, si può uccidere per vedere se è tanto difficile morire, come cantava Lucio Battisti in Emozioni, o per evitare rogne con la povera Gloria Rosboch, che rivoleva il denaro affidato all’angelo demone Gabriele, specializzato in seduzione a danno di provinciali in crisi, oppure, come nel caso di Freddy Sorgato, recarsi ad una festa di carnevale e farsi fotografare, postando prontamente l’immagine su Facebook, allegramente mascherato, dietro finte sbarre, come a sbeffeggiare la povera morta e la polizia.
Il Male, quello con la maiuscola che i credenti chiamano demonio, e gli altri comunque riconoscevano come elemento costitutivo dell’animo umano, esiste. Oggi, si manifesta sotto forma di indifferenza per la vita altrui, per i problemi dell’Altro, di negazione pura e semplice dell’Altro, di principio di piacere e godimento personale come unico criterio di giudizio, di uso massivo di droghe, di consumo compulsivo di sesso di ogni tipo, meglio se trasgressivo, estremo, magari al suono di musiche assordanti o apertamente sataniche (il rock ne ha molte).
L’Altro, tutt’al più, si usa. Usa e getta: la vittima romana era stata attirata in un orgia gay per cento euro o poco più. Alla professoressa piemontese, che ha vissuto tutta la sua vita con i genitori in un piccolo paese, era stato prospettato un futuro al sole, sulla Costa Azzurra. Il sesso è indubbiamente il più potente degli istinti vitali: senza di esso, ci saremmo già estinti. Per questo, in ogni società umana, dalle più antiche e tribali e nella nostra sino a due generazioni fa, è stato sempre regolato da prescrizioni, riti, regole e cerimonie che richiamavano il senso del sacro e, contemporaneamente, ne inserivano l’esercizio nel sistema comunitario condiviso. Dal 1968, tutto è finito: al grido di vietato vietare, e seguendo le prescrizioni di Marcuse e Wilhelm Reich, la liberazione sessuale, ovvero lo scatenamento e la realizzazione di tutte le pulsioni, ha capovolto i principi. Qualche tempo fa, ho ascoltato un gruppo di quindicenni schernire una coetanea chiamandola suora: il turpiloquio di quelle ragazzine, e la libertà con cui descrivevano fatti intimi mi aveva sconvolto.
Con altrettanta noncuranza, si passa da esperienze etero a pratiche omosessuali. L’uso di eccitanti chimici è visto come una splendida opportunità di estendere e prolungare i piaceri che ci si aspettano dal consumo sessuale, in cui al partner è richiesto soltanto di sottostare a voglie e pratiche le più stravaganti e trasgressive. Eros e Thanatos, amore e morte, sono legati da sempre, nel profondo dello spirito, e la violenza diventa tramite e veicolo di qualsiasi porcheria. Poi, talvolta, arriva la morte, la sorella nostra che vince sempre. Più spesso, si perviene all’assuefazione, alla dipendenza, alla schiavitù. Comunque, al Male.
Il caso romano richiama alla perversione fisica e morale praticata e descritta da un De Sade, con la giovane Justine straziata, seviziata, umiliata. La distinzione tra bene e male, abrogata per decreto intellettuale dal Corano progressista, produce l’inversione che autorizza, anzi prescrive il soddisfacimento di ogni tipo di desiderio, promosso a diritto ed asserito come naturale per il solo fatto che “esiste”. In questo il “divino” marchese de Sade anticipa una svolta epocale in corso del nostro tempo in cui si moltiplicano i suoi proseliti dediti all’affermazione incontrastata della propria volontà di godimento, che, inevitabilmente, diventa violenza gratuita, sadica, appunto, e radicale disprezzo dell’umanità altrui. Nulla di strano, se al materialismo più assoluto si unisce la cupidigia economia e la demoniaca passione per il godimento più triviale, che, in ogni civiltà diversa dalla nostra, la cultura cerca di deviare in forme di sublimazione.
La cultura, appunto. In casa del prode Freddy non si è trovato neppure un libro, i mascalzoni canavesani che hanno ucciso la povera professoressa erano prigionieri, l’uno degli stereotipi narcisisti del culto del corpo, e di una bellezza incline al travestimento femminile, al continuo cambio di “look”, l’altro all’attrazione fatale omosex per il giovane amico. Quanto ai due giovani romani, pare che i loro profili Facebook mostrino simbologie sataniche ed aspetti di esibizionismo già al limite della patologia, con tratti assai simili a quelli della pagina di Gabriele De Filippi. Facebook è una costante di questi eventi, contenitore e pubblico confessionale di esibizionismo di massa, volgarità assortite, luoghi comuni, pericolose “amicizie” virtuali, e quell’insopportabile “mi piace” “non mi piace”, che è il corrispettivo del pollice verso degli spettacoli romani.
Proprio la dimensione della virtualità ci sembra la cifra, e la novità profonda, di comportamenti come quelli di cui trattiamo. In particolare nell’efferato delitto romano, pare di distinguere l’elemento dell’indistinzione tra realtà vera e mondo virtuale: che effetto fa la morte, tanto volte mostrata nei telefilm e sperimentata nei videogiochi, quando appare nella sua vera immagine, quella di un corpo inerte che, dopo le torture, si piega su se stesso nell’ultimo respiro, e poi si irrigidisce nel cadavere? I ragazzi qualunque, solo un po’ omosessuali, Foffo e Prato, non devono essersi granché impressionati, all’inizio, schiavi delle droghe e dei postumi del baccanale, e si sono addormentati. Poi sono crollati, ed uno sembra aver tentato il suicidio: forse voleva provare su stesso l’emozione estrema. Certo, la mancata percezione della realtà, da parte dell’iperindividualista chino sulla tastiera dello smartphone, o svagato ascoltare di musica in cuffia, o ancora, protagonista di sballi infiniti, diventa criminogena dopo aver attraversato la fase dell’autismo e quella dell’oblio del reale.
E intano si filmano, si fotografano, e alimentano le reti sociali, unico universo da loro frequentato, e scrivono frasi banali in un linguaggio sempre più elementare, scialbo, sempre meno elaborato, fino alla dittatura dei 140 caratteri dei cinguettii di Twitter. Non ci si può sottrarre, mentre ci si sottrae sempre più al principio di realtà, e, naturalmente, a quello di responsabilità. Il padre di uno dei due torturatori romani è già comparso in TV per trovare attenuanti al figliolo che, povero caro, aveva perso una zia! Ma sono certamente al lavoro, oltre agli avvocati, che fanno il mestiere loro, battaglioni di sociologi della mutua, di cultori dell’antipsichiatria, e la sterminata mandria di quelli che “la colpa è della società”. Sì, la colpa è della società, che non veicola più principi condivisi o valori morali, e, che più ancora, proibisce la riprovazione sociale, la ripugnanza che in ogni tempo e luogo colpirebbe persone e fatti della specie, ma la responsabilità è di chi compie atti e fatti precisi, efferati, luridi.
Specie oggi, che tutti sono maturi, liberi, dotati di intelletto, possessori di titoli di studio, informati ed indipendenti. Se possediamo (ancora) un cervello, abbiamo la responsabilità di usarlo, e di dire no al male. Ma dimenticavo, il male non c’è, è soggettivo, relativo, meno ancora esiste il Male. I più, ormai, non ricevono più un briciolo di educazione spirituale e morale, i genitori non sono troppo diversi. Ai loro rampolli danno tutto, in denaro e merci, poco in presenza, nulla in insegnamento, e per l’esempio, meglio sorvolare.
In compenso, il pensiero corrente ha vietato severamente lo scarico della violenza. Specie i giovani maschi, hanno sempre praticato giochi un po’ duri, scherzi ribaldi, si sono scambiati pugni e ceffoni, hanno fatto il militare, che è insieme scarico ed addestramento ad una disciplina almeno esteriore. Oggi, le educatrici – sono sempre, purtroppo, donne, come osservava una femminista storica come la compianta Ida Magli, ragliano di pace, tremano al primo buffetto, mentre non è neppure più permesso andare allo stadio e urlare cori. Tra gli ultrà dello sport c’è un certo numero di teppisti ed alcuni delinquenti, ma i più sono giovani uomini e ragazze che hanno bisogno di uno sfogo che sappia di appartenenza, che preveda una bandiera. Sono diventati proscritti, mentre stanno sugli altari gli organizzatori di “eventi gay” ed i cretinetti di tutte le età di Maria De Filippi. Professione: tronista, ex del Grande Fratello, velina.
Non è poi strano se ci si prostituisce con indifferenza, anche rispetto al sesso di chi paga, per una ricarica telefonica, uno straccio firmato, i soldi per lo sballo. L’asticella va sempre più in alto, ed il reato grave, la violenza, il delitto, sono in agguato. Sempre, si perde la dignità, il rispetto di sé che non sia l’orgoglio per il “look”. Qualcuno dei più loschi arriva a marchiare le prede sessuali conquistate: bestiame, proprietà, magari solo per una notte od una breve relazione senza profondità.
Non sono più immorali, ma amorali, nessuno ha parlato loro di ciò che si fa e di ciò che è negativo e degrada. Per trasgredire, occorre pur sempre un modello da abbattere. Sepolto il timor di Dio, giustamente non temono l’opinione altrui e neppure il castigo. Intuiscono che, comunque, pagheranno un conto modestissimo, sproporzionato al male commesso. Sono i figli, ormai i nipoti, della società liberata e progressista, assiologicamente neutrale, che significa solo indifferente all’etica, alla morale. Senza padri, ignoranti della vita, devoti solo al piccolo sapere strumentale della scuola e dell’università (grande invenzione la laurea a punti – i crediti!), sono e resteranno selvaggi con telefonino, come li definì Maurizio Blondet nel titolo di un suo libro. Che cosa si può chiedere ad un selvaggio, che, tuttavia, si crede sapiente, moderno e progredito?
Ricordiamo Max Stirner, che già nell’Ottocento glorificò un egoismo volto al piacere, squalificando il dovere, lo Stato, la famiglia, ma anche la razionalità e la società. Ma dovremmo citare un Jeremy Bentham, quello che parlava di utilità personale come bene massimo, e contemporaneamente progettava il controllo globale attraverso il sistema che chiamò Panopticon. Hanno fatto di meglio, spoliticizzando le generazioni, precipitandole nell’indifferenza a tutto ciò che non sia consumo, denaro, piacere, libero dispiegamento dell’energia sessuale. L’esito sono i De Filippi, i Sorgato, i Foffo, i Prato, più numerosi dei Maso e delle Erika che ci sgomentavano solo ieri, e sono liberi, mentre chi è morto giace. C’è una nuova banalità nel male, di livello più basso e praticato a livello di massa rispetto ai tempi di Hannah Arendt. E’ un male banale perché non ha più neppure quel nome, e desta attenzione solo fino al successivo episodio, più turpe, più sanguinoso, più torbido. Tanto, non è successo a noi, siamo ancora immuni e lontani, siamo, soprattutto, abituati a tutto. Possiamo sempre dire che sono dei pazzi, dei fanatici, delle mele marce.
Ma non è buon segno adattarsi a tutto, digerire ogni sasso. Il filosofo indiano Jiddu Krishnamurti ci ha lasciato una frase illuminante, su cui invitiamo a riflettere: “Non è un segno di buona salute mentale, essere bene adattati ad una società malata”.
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