Nel capitolo precedente abbiamo parlato della differenza sostanziale tra l’«Io» specifico, individuale e soggettivo che è jīvātman riflesso di ātman. Mentre il «Sè» è ātman che se è associato alla manifestazione formale è jīvātman invece se è associato alla manifestazione informale è Īśvara.
Ātman è inoltre identificato con Brahma stesso. Per realizzare questa condizione si ricorre alla pratica dello Yoga, atta a liberare jīvātman dal dualismo Io\manas individuale della condizione avidyā (l’ignoranza metafisica). L’effetto di avidyā è quello di sopprimere la vera realtà mostrandoci qualcos’altro al suo posto. In effetti, non è altro che la māyā che rompe l’Unità originaria di ciò che è reale. Questa ignoranza vela il nostro vero sé e la verità del mondo, non per mancanza di erudizione ma per ignoranza in merito a satya (verità\realtà). Questo stato ci mantiene prigionieri nel saṃsāra. «A coloro che nel saṃsāra sono afflitti dai cocenti dolori e dalle sofferenze provocati dal triplice fiore (afflizioni psicofisiche; afflizioni che provengono dalla sfera riflettrice; afflizioni provocate dai nostri simili), a coloro che nell’arido e tenebroso deserto dell’illusione vagano in cerca di acqua pura, viene offerto questo glorioso messaggio di Śaṅkara. Coloro che lo sperimenteranno saranno liberati e godranno il vivificante oceano di nettare del Brahmā, L’Uno – senza – secondo» [1]
Il Vêdânta sostiene che la distruzione di esso dovrebbe essere l’unico obiettivo che significherebbe automaticamente realizzazione del «Sè» (ātman). Śaṅkara nel suo commento sui Brahmasūtra, «A causa di un’assenza di discriminazione, continua un comportamento umano naturale sotto forma di ‘Io sono questo’ o ‘Questo è mio‘». Per unirla con Brahmā una volta che avidyā viene distrutta e sostituita da vidyā (Conoscenza) rendendo così identici jīvātman (l’anima individuale) e Paramatman (anima cosmica) che è Brahmā\Ātman.
Per tale motivo si dice che Brahma risiede nel centro dell’essere umano rappresentato dal cuore inteso come dimora di Brahma: «In questa dimora di Brahmā (Brahma-pura)», «vi è un piccolo loto, una dimora nella quale vi è una piccola cavità (dahara), occupata dall’Etere (Ākāśa); se si ricerca Ciò che risiede in questo luogo, Lo si conoscerà» [2]
Ākāśa serve come supporto mentre dahara per localizzare il «Sè» nell’essere umano come descritto in questo passo: «Questo ātman , che sta nel cuore, è più piccolo di un chicco di riso, più piccolo di un chicco d’orzo, più piccolo di un chicco di mostarda, più piccolo di un chicco di miglio; più piccolo del germe racchiuso in un chicco di miglio; questo ātman , che sta nel cuore, è anche più grande della terra, più grande dell’atmosfera, più grande del cielo, più grande di tutti questi mondi insieme» [3]
Questa realizzazione come dice Śaṅkara : “la produzione di un risultato non preesistente” l’unione anche se non realizzata esiste come «potenza fantasma» che si sviluppa nell’individuo durante il processo di «liberazione» chiamato mokṣa superando i molteplici stati dell’essere acquistando sempre maggior coscienza e consapevolezza della vera realtà che è solo in ātman. Śruti la conoscenza udita al principio dei tempi trasmessa solo oralmente dalla casta sacerdotale dei brahmani.
Questo corpo di conoscenze sacre, di origine divina trasmesso tramite Ṛṣi che vuol dire saggio, sapiente o veggente; sono i saggi ai quali vennero rivelati i Veda. Questi santi secondo la Tradizione erano sette sacerdoti con i quali Manu compì il primo sacrificio. Secondo il mito purāṇico, Vaivasvata Manu, conosciuto anche come Satyavrata, stava compiendo le sue abluzioni quando il pesciolino Matsyu nuotò tra le sue mani e, supplicandolo di salvarlo, gli preannunciò che lo avrebbe salvato dall’imminente Diluvio universale. Manu pose il pesciolino in una giara, ma Matsyu crebbe più grande di questa, così lo mise in una vasca sempre più grande, infine lo liberò nell’oceano, riconoscendo in lui la presenza di Viṣṇu. Matsyu gli spiegò quindi come sopravvivere al Diluvio universale intimandogli di costruire una grande barca e di porre in essa i semi delle piante, degli animali e i Saptaṛṣi (Ṛṣi). Quando il Diluvio avvenne come predetto da Matsyu, la grande barca di Manu vagava senza meta finché usando come corda Śeṣa-nāga, il Serpente cosmico, legò la nave al corno di Matsyu, e questi lo condusse alle pendici di un monte nel frattempo emerso dal Diluvio. Il Bhāgavata Purāṇa aggiunge che durante questo Diluvio, il demone Hayagrīva si impossessò dei Veda, nascondendosi in fondo all’oceano, ma Manu, con l’aiuto di Matsya, recupero i sacri testi. Le Śruti sono l’autorità principale della Tradizione Ārya.
E le Smṛti scritture sacre post – vediche secondarie che costituiscono l’apparato teorico per la corretta interpretazione dei Veda. Sotto forma di sūtra, concernono le sei scienze ausiliarie, ovvero fonetica, rituale, grammatica, etimologia, metrica e astronomia, quest’ultima di epoca più recente. Al corpvs dottrinario appartengono anche i Dharmaśastra, ovvero i libri della legge divina sul dharma. Tramandati di generazione in generazione che, a differenza della Śruti, si dice sia stata prodotta da esseri umani. Sono le due forze «teoretiche» di individuazione del «Sè» nell’essere umano. Successivamente tramite lo Yoga si passa alla pratica contemplativa. Quindi dobbiamo porci aldilà dell’individualità considerarla illusoria e suscettibile al suo ordine riconoscendola essenzialmente dipendente da Ātman che svanisce una volta raggiunto la mokṣa. Considerato in questa maniera Brahma è chiamato Puruṣa che designa l’ «Uomo Cosmico».
SCHEMA RIASSUNTIVO
Avidyā \Io
Individualità
Fisico = Ākāśa
Psichico = Jīvātmā
Vidyā \Sè
Infinito
Metafisico = Paramatman
[1] Vivekacūḍāmaṇi, 580
[2] Chāndogya Upaniṣad, 8° Prapathaka, 1° Khanda, shruti 1
[3] Chāndogya Upaniṣad, 3° Prapathaka, 14° khanda, shruti 3