Oggi, nell’era dell’informatica e della “comunicazione totale” in cui – in teoria – qualsiasi informazione dovrebbe essere disponibile per chiunque, nel campo della conoscenza storica la gente è grandemente ignorante, senz’altro più che in recenti epoche passate di alfabetizzazione forse meno estesa, ma reale e non virtuale.
Non si tratta certamente di un caso, ma del fatto che questa ignoranza è funzionale alla sopravvivenza delle fole, delle favole su cui si fondano l’ideologia e – più basilarmente – la mentalità democratica, che troverebbero nella conoscenza storica la più bruciante smentita.
Una delle favole strettamente connesse e profondamente radicate nella mentalità democratica, è quella progressista, l’idea che la storia sarebbe globalmente ascendente, che ogni novità sarebbe, per il solo fatto di essere più recente, qualcosa di migliore di ciò che la precede, al punto che nel linguaggio ordinario, modellato dal sistema mediatico e dalla pubblicità, “nuovo” diventa ipso facto sinonimo di “migliore”, e si dà a ogni cretino l’illusione di essere più intelligente e a ogni ignorante quella di essere più colto di suo padre.
Fa eccezione l’età medioevale contro la quale si sono appuntati gli strali calunniosi degli illuministi presentandola come un’epoca buia per definizione. Un’epoca buia quella che ha riempito l’Europa di cattedrali, di castelli, di capolavori artistici di ogni sorta? Quella in cui sulla scena politica compaiono personaggi come Carlo Magno o Federico II di Svevia? Quella che ci ha dato capolavori della letteratura come la Divina Commedia? Che conosce la civiltà feudale e quella comunale?
Un fatto che pochi sanno: anche il movimento umanistico-rinascimentale si svolge in gran parte entro i limiti cronologici del Medioevo, e Lorenzo il Magnifico che ne è stato il grande promotore, muore nel 1492, qualche mese prima della scoperta dell’America.
“Secoli bui” vanno ritenuti solo quelli immediatamente successivi alla caduta dell’impero romano e al caos che ne è inevitabilmente conseguito.
Comunque, con l’eccezione dell’età medioevale, per la mentalità corrente la storia appare come uno sviluppo ascendente, le “Magnifiche sorti, e progressive” che, non molti lo ricordano, già Leopardi citava in senso ironico.
La fola progressista ha una doppia funzione: in passato è servita soprattutto ad attaccare le strutture politiche, sociali, culturali dell’Europa tradizionale, oggi ha una funzione consolatoria, serve a non farci percepire l’abisso che la modernità sta spalancando sotto i nostri piedi, sebbene i sintomi ci siano tutti: le ricorrenti crisi economiche, l’esaurimento delle risorse essenziali, la distruzione dell’ambiente naturale, le migrazioni di popolazioni che si riversano dal Terzo Mondo sulle aree “del benessere”, e non basta certo chiamarli “risorse” per esorcizzare i problemi.
La storia ci mostra esempi di regresso della civiltà che sono una diretta confutazione dell’idea progressista e della consolante convinzione che “alla fine tutto andrà per il meglio”, che è in ultima analisi un cloroformio che il potere ci elargisce a piene dosi.
In data 19 gennaio, il nostro Luigi Leonini ha postato un pezzo: “Il collasso della società mediterranea nell’Età del Bronzo”, a sua volta tratto da un post di Massimiliano Rupalti del 13.1, che è la traduzione in italiano dell’introduzione del libro “1177 b. C., The Year Civilization collapsed” (“1177 avanti Cristo, l’anno in cui la civiltà collassò”) di Eric H. Cline.
La fine dell’Età del Bronzo è stata uno dei momenti più crepuscolari di regresso della civiltà umana, almeno per quanto riguarda l’area mediterranea, difatti leggiamo:
“Abbiamo prove archeologiche di una civiltà brillante e prosperosa: palazzi, opere d’arte, commercio, metallurgia ed altro. Ma abbiamo anche prove che questa civiltà ha avuto una fine violenta: ci sono tracce di incendi che hanno distrutto palazzi e città, ci sono prove di siccità e carestie ed alcune popolazioni che vivono nella regione, gli Ittiti per esempio, sono per sempre scomparsi dalla storia”.
Le cause di questa catastrofe improvvisa costituiscono tuttora un imbarazzante enigma per gli archeologi. E’ verosimile che più che di un solo motivo si sia trattato di una serie di concause interagenti. Eric H. Cline in ogni caso ipotizza come causa principale l’esaurimento o la penuria di quello che era allora l’equivalente di una risorsa energetica fondamentale. Il bronzo era allora il metallo maggiormente in uso, per la produzione di ogni cosa: dalle armi agli strumenti di lavoro quotidiani, alle statue degli dei, e con ogni probabilità era una risorsa assolutamente centrale nell’economia di quella civiltà, ma noi sappiamo che il bronzo è una lega di rame e stagno.
Ora, mentre il rame si ritrova con relativa abbondanza nell’area mediterranea, lo stagno vi è raro, e doveva essere importato da luoghi lontani come le Isole Britanniche. Una perturbazione della filiera di questa risorsa dovuta a motivi politici come guerre, migrazioni di popolazioni, o magari a una spedizione fallita per un qualsiasi motivo, sarebbe bastata a mettere in crisi questa civiltà, letteralmente attaccata a un filo.
Ora, è difficile non vedere l’analogia con la situazione nella quale noi stessi ci troviamo. Analogamente all’antico mondo mediterraneo, la civiltà cosiddetta occidentale dipende interamente da una risorsa importata la cui penuria ne provocherebbe rapidamente il collasso: il petrolio, ed è strano come tutti noi siamo generalmente inconsapevoli della spada di Damocle che abbiamo sulla testa.
Tuttavia, vi possono essere state altre concause. Il nostro Luigi, nel suo lavoro di ricerca e diffusione di testi importanti, in questi anni si è dimostrato eccezionale, ma è stato sempre estremamente parco di interventi personali che però, quando ci sono, dimostrano una comprensione delle cose che merita di essere tenuta in attenta considerazione.
In questo caso, mi sembra si sia limitato a una modifica del titolo del post di Massimiliano Rupalti, che diventa: “Effetto risorse: il collasso della civiltà mediterranea nell’Età del Bronzo”.
“Effetto risorse”, ci si può riferire sia alla penuria di risorse materiali come lo stagno per gli antichi Mediterranei e il petrolio come potrebbe succedere per noi, sia a quelle che sono chiamate “risorse” nel falsissimo lessico “politicamente corretto” di sinistra, cioè gli invasori detti anche e altrettanto falsamente “migranti”, che oggi ci apportano parassitismo sociale, delinquenza, malattie, degrado, problemi di ordine pubblico e via dicendo, e che la sinistra e la Chiesa coccolano a nostre spese nella speranza di procurarsi un elettorato e un “gregge” alternativo, mentre i nostri giovani non trovano lavoro, e i nostri anziani sono costretti a sopravvivere, quando ci riescono, con pensioni da fame.
Che invasioni di nuove popolazioni abbiano contribuito al declino della civiltà mediterranea dell’Età del Bronzo, è altamente probabile, e nel caso della civiltà minoica spazzata via dall’invasione achea, è del tutto certo. Qui c’è un’altra fola progressista, democratica, “politicamente corretta” da sfatare, la presunzione che le migrazioni di popoli diversi in aree già densamente abitate da popolazioni native, rappresenti un apporto positivo. Le società multietniche sono rare nella storia (la società ellenistica o quella romana del periodo della tarda decadenza dell’impero), sono intrinsecamente instabili e portano regolarmente al crollo delle civiltà.
Una recente scoperta viene a distruggere implacabilmente un’altra delle favole in totale contrasto con la realtà dei fatti su cui si basa la mentalità di sinistra, e questa volta è riportata non su un sito dell’estrema destra, ma su “Le scienze”.
Un’altra delle favole su cui si fonda l’ideologia democratica, è che l’uomo sarebbe fondamentalmente pacifico e collaborativo con i propri simili. L’aggressività, la violenza, la guerra sarebbero il frutto di rapporti sociali distorti nelle società organizzate, a cominciare dall’introduzione della proprietà privata, e che gli ovviamente buoni selvaggi vivrebbero in una condizione edenica alla quale pure noi civilizzati potremmo tornare con una brusca cesura “rivoluzionaria” rispetto al tempo presente, insomma tutto lo sciocchezzaio messo a punto da J. J. Rousseau, e passato da quest’ultimo attraverso Marx fino alla sinistra attuale (tralasciamo il fatto che si tratta di una riverniciatura del millenarismo cristiano a riprova, una volta di più, della stretta parentela tra marxismo e cristianesimo).
Bene, tutto questo è falso, e la riprova ci è fornita dai resti emersi dal sito di Natatuk in Kenia, un sito che si trova sulle rive di quel lago Turkana ben noto per il rinvenimento di fossili paleoantropologici. Ne parla l’edizione on line de “Le scienze” del 20 gennaio. L’articolo, non firmato, s’intitola “La guerra più antica ha 10.000 anni”.
In realtà, quello di Natatuk non sembrerebbe essere il più antico episodio bellico conosciuto, sarebbe più recente di quello avvenuto in Nubia le cui tracce sono venute alla luce nel 1964 con lo spostamento dei templi di Abu Simbel che rischiavano di essere sommersi in seguito alla costruzione della diga di Assuan. L’articolo pubblicato in proposito da identità.com indica il sito del ritrovamento, che si trova oltre il confine sudanese, come Jebel Sahaba, ma mi è stato fatto rilevare che potrebbe trattarsi di una deformazione di “Gebel Sahara”. (E’ interessante notare che questi resti umani sono rimasti per più di trent’anni in un magazzino senza essere studiati, ma i risultati sono stati pubblicati soltanto nel 2014, dopo altri vent’anni. Mezzo secolo di oblio, come se i ricercatori fossero stati consapevoli di aver fatto una scoperta pericolosa che poteva mettere a rischio le loro carriere).
Tuttavia, la scoperta di Natatuk è forse più importante di quella nubiana per vari motivi: inanzi tutto perché qui abbiamo le tracce di uno scontro tra cacciatori-raccoglitori nomadi, cioè proprio quelli che nelle farneticazioni della sinistra dovrebbero essere i “selvaggi” rousseauianamente “buoni”.
Quelli che invece troviamo, sono i segni di una violenza estremamente brutale.
“A 30 chilometri dal lago Turkana, in Kenya, sono state trovate ossa fossili di un gruppo di cacciatori-raccoglitori preistorici in quella che rappresenta la prima testimonianza storica scientificamente datata di un conflitto definibile come guerra. (…). Dagli scavi di Natatuk, scoperto nel 2012, sono emersi i resti di 27 individui, 21 adulti e 6 bambini, che furono vittime di un massacro perpetrato circa 10.000 anni fa.
Dei dodici scheletri pressoché completi, dieci mostrano infatti chiari segni di morte violenta: traumi cranici e agli zigomi dovuti a una forte percussione con un corpo contundente, proiettili di pietra penetrati nella scatola cranica o nel torace, segni di lesioni da frecce al collo, e mani, ginocchia e costole spezzate.
Molti degli scheletri sono stati trovati a faccia in giù, e quattro sono stati rinvenuti in una posizione che indica che molto probabilmente le mani erano state legate; fra questi vi era anche lo scheletro di una donna nelle ultime fasi della gravidanza, alla quale erano state spezzate le ginocchia.
I corpi non erano stati sepolti, ma erano caduti nelle acque poco profonde di quella che all’epoca doveva essere una bassa laguna, dove sono poi stati coperti e conservati dai sedimenti”.
Tutto questo vi ricorda nulla? Non è solo la favola della guerra come prodotto delle società organizzate e della proprietà privata a uscirne distrutta, vediamo che va a pezzi un’altra leggenda cara alla sinistra, quella che i comportamenti incivili e violenti che dimostrano gli africani, ci invasori che costoro ci costringono ad accogliere come “profughi” e “rifugiati” sarebbero il prodotto di “situazioni di disagio” secondo il loro ipocrita linguaggio buonista. Allora, si tratta di un disagio che dura almeno da dieci millenni. Questa donna incinta torturata e massacrata ci ricorda il destino delle donne di Colonia, delle nostre donne dell’Italia centrale settant’anni fa, delle loro nipoti che oggi, anche in assenza di un disastro bellico i loro uomini drogati di buonismo sinistrorso sembrano incapaci di difendere (ricordiamo che l’80% degli stupri che avviene oggi in Italia è opera dei cosiddetti immigrati, in schiacciante maggioranza africani).
E non scordiamoci neppure che un quarto circa delle vittime di quell’antico massacro erano bambini. La verità pura e semplice è che la ripugnanza a infierire sugli inermi, il rispetto cavalleresco verso i deboli e gli indifesi, prima ancora di essere ratificato da qualsiasi morale, fa parte del retaggio istintivo dell’uomo caucasico indoeuropeo, ed è assente in altre culture ed etnie. La crudeltà degli orientali è un luogo comune, ma bisogna essere del tutto ciechi per immaginare che i neri siano anche lontanamente capaci di una maggiore umanità.
Le lezioni della storia sono chiare ed evidenti a ogni livello, quanto prima capiremo che l’ideologia democratica, cristiana e marxista è, prima ancora che una totale falsità, solo un veleno per appannare la nostra vista e intorpidire le nostre reazioni di difesa, e cominceremo a darci da fare per difendere il futuro della nostra gente, tanto meglio sarà.
Nell’immagine: a sinistra, il libro di Cline, a destra, resti umani ritrovati a Natatuk.
2 Comments