Di Fabio Calabrese
Per chi non avesse letto la prima parte di questo scritto, una brevissima ripetizione. Fra le varie definizioni ciceroniane della storia: magistra vitae, testis temporum, c’è anche quella di opus maxime rhetoricum, cioè che la narrazione storica è soprattutto un lavoro di propaganda. Oggi si parla di revisionismo soprattutto relativamente ai temi della seconda guerra mondiale e della leggenda olocaustica, ma è tutta la storia che ci viene raccontata, dalle remote origini preistoriche al tempo presente, a essere falsata per motivi propagandistici.
In una vasta parte dei miei scritti precedenti abbiamo visto le falsificazioni che avvolgono e annebbiano la tematica delle origini per renderla conforme ai dogmi dell’ortodossia democratica, nella prima parte di questo scritto, abbiamo visto insieme le falsificazioni che riguardano il modo in cui ci viene raccontata l’antichità. Stavolta ci occupiamo invece dell’Età di Mezzo.
Sicuramente, nella prima parte non ho fatto un lavoro esaustivo, cosa che mi pare impossibile data la tematica, e altrettanto di sicuro non sarà possibile farlo neppure ora, ma quello che importa è mettere dei paletti e confutare i più diffusi luoghi comuni propagandistici. Abbiamo visto quanto sia falsa l’immagine della romanità disegnata dalla cinematografia hollywoodiana e quanto siano risibili le pretese degli USA, GROSSA più che grande potenza planetaria, di paragonare se stessi e la loro politica con l’impero romano. Anche nel mare magnum della medievalistica sarà impossibile essere esaustivi, ma fisseremo la nostra attenzione su alcune questioni relativamente circoscritte.
Di nuovo, non avrò la pretesa di sostituirmi ai testi di storia, ma piuttosto di esaminare attraverso quali lenti (deformanti e ideologiche) i contemporanei leggono l’Età di Mezzo, come abbiamo già visto per l’antichità.
Sul Medioevo si discute, si può dire, da cinque secoli, e sulla base perlopiù di atteggiamenti totalizzanti: bianco o nero, tutto o niente. Spregiato dagli illuministi, è stato esaltato dai romantici, e via dicendo, come se un millennio di storia umana potesse consistere soltanto di positività o di negatività. La storia di questo millennio ha conosciuto momenti terribili, come quelli delle incursioni e invasioni barbariche (e – cosa che oggi si tende a nascondere – le peggiori, le più devastanti non sono state quelle germaniche, ma quelle mussulmane: saracene, barbaresche, ottomane, la ripetuta aggressione islamica contro l’Europa che oggi si ripresenta in un’altra forma, ma questo l’ipocrita political correctness democratica impone di non dirlo) o le epidemie di peste, ma abbiamo avuto pure la civiltà comunale, la fioritura artistica romanica e gotica, il rinascimento.
Il rinascimento, si perché esso ha avuto il suo centro propulsivo nella Firenze medicea di Lorenzo il Magnifico. Lorenzo si spegne nel 1492, qualche mese prima della scoperta dell’America, e cronologicamente la sua vita rientra per intero nell’Età di Mezzo.
Leggendo le opere degli storici più accreditati ci rendiamo conto, non senza sorpresa, di quanto fossero in gamba, “moderni”, assai più di quanto avremmo pensato, questi uomini medievali, che hanno inventato praticamente tutto nel campo della moneta, del sistema bancario, della finanza, del fisco, dell’organizzazione sociale, delle istituzioni civili, dell’organizzazione del sapere e dell’istruzione mediante la creazione delle università, e per non parlare delle conoscenze tecniche che tendiamo abbondantemente a sottovalutare. D’altra parte, basti pensare al fatto che senza precise conoscenze tecniche non sarebbe stato possibile erigere capolavori architettonici come le cattedrali gotiche. Certo, noi oggi siamo in grado di erigere edifici più grandi e più alti, ma che in fin dei conti non sono che orridi parallelepipedi di cemento. Forse abbiamo girato il binocolo dalla parte sbagliata, ed è la modernità di cui siamo tanto fieri, a essere molto meno creativa e “progredita” di quel che abbiamo immaginato o ci è stato dato a intendere.
Basti pensare al fatto che noi, senza rendercene conto, facciamo rivivere il medioevo tutte le volte che compiliamo un assegno, che è stato inventato dai cavalieri templari.
Ho espresso già altre volte il concetto che la civiltà dell’Europa medievale è stata una civiltà vigorosa NONOSTANTE la cristianizzazione, e la franchezza della mia affermazione mi è stata aspramente rimproverata ad esempio da Nicola Cospito, ma non vedo alcun motivo di modificarla. Immaginatevi se al momento di respingere le invasioni islamiche i nostri antenati si fossero lasciati persuadere dal cosmopolitismo cristiano e/o dalla morale del porgere l’altra guancia. Siamo sinceri: lo spirito di Poitiers e di Lepanto è quello dei vangeli o quello già incarnato da Leonida alle Termopili? E non è uno spirito di cui oggi abbiamo terribilmente bisogno senza lasciarci fuorviare dal buonismo sedativo di
papa Bergoglio e sodali?
papa Bergoglio e sodali?
Si potrebbe anche andare oltre, e affermare che il papato, che non aveva affatto una posizione egemone nei primi secoli del cristianesimo, sia stato il verme nella mela della civiltà medievale, che le continue lotte con l’impero: lotta per le investiture, poi la lunghissima guerra civile strisciante fra guelfi e ghibellini, lotte dettate da un desiderio di potere politico che nulla aveva di spirituale, sono state determinanti nel provocare l’instabilità, la decadenza e l’eclissi della civiltà medievale.
Ho più volte rilevato il fatto che sebbene, almeno in Italia la “ricerca” storica e l’insegnamento accademico e scolastico della storia a tutti i livelli siano un appannaggio pressoché esclusivo di “docenti” d’impostazione marxista, l’aspetto “cristiano” che impronta tutta la nostra storiografia non viene perlopiù rilevato e nemmeno sospettato. Non credo che sia sbagliato ritenere ciò una prova del fatto che il cosiddetto “socialismo scientifico” in realtà di scientifico non ha un bel nulla, e che il marxismo stesso rientra in ultima analisi nell’alveo del cristianesimo, non è che una sorta di cristianesimo laicizzato. Il bolscevismo dell’antichità dà la mano a quello di oggi.
Questo si vede bene non solo nell’impostazione generale, ma anche nei dettagli. Non è curioso, ad esempio, che anche storici dalla vantata impostazione laica accettino quella strana convenzione secondo la quale un sovrano dei regni romano-barbarici seguiti alla caduta dell’impero romano d’occidente diventa il “primo re” del suo popolo all’atto della conversione al cristianesimo e del battesimo, quando prima era semplicemente un “capotribù”, magari mentre siede su un trono che i suoi antenati occupavano già da secoli. Cosa c’è dietro questa singolarità?
Dietro c’è soprattutto l’immensa arroganza della Chiesa medievale, oltre ai paraocchi degli storici moderni (anche – e soprattutto, direi – di scuola marxista). Dobbiamo considerare che la Chiesa cattolica si riteneva a tutti gli effetti la rappresentante esclusiva di Dio in Terra, ed in quanto tale rivendicava il diritto di amministrare, spiritualmente e materialmente ogni cosa esistente sulla Terra, che solo con il battesimo ed alla precisa condizione di mantenersi devoto seguace della Chiesa stessa, l’uomo riceveva personalità giuridica (un’espressione ancora oggi in uso come “i cristiani e le bestie”, la dice lunga al riguardo), che per conseguenza, ciò che appartiene a un pagano è una res nullius di cui la Chiesa può liberamente disporre, e che perciò può dare in concessione (sempre revocabile) al momento del battesimo a chi l’ha fin allora sempre posseduta. Noi vediamo un’eco di questa concezione nell’atteggiamento degli storici che si occupano dell’alto Medio Evo: capita che quello che prima era un “capotribù” viene promosso a “re” al momento del battesimo, diventa addirittura il primo sovrano ed il fondatore della propria dinastia anche se era salito su un trono che i suoi antenati detenevano già da secoli. E’ successo con Clodoveo re dei Franchi, è successo anche, ad esempio con Stefano I d’Ungheria, divenuto dopo essersi convertito, “primo re” di una nazione che i suoi antenati governavano da secoli.
Allo stesso modo, poiché ciò che appartiene a dei non cristiani è res nullius, la Chiesa si riteneva libera di farne dono a chi volesse, così ad esempio, fu “fatto” re di Sicilia il normanno Roberto il Guiscardo molto prima che questi togliesse l’isola ai saraceni, e la successiva conquista non fu affatto una conquista, un’usurpazione, una rapina: un uomo sarà pure libero di sbarazzarsi delle “bestie” che infestano la sua proprietà. E’ da notare che nello stesso modo furono “date” ai Normanni le terre dell’Italia meridionale che appartenevano agli “eretici” bizantini, dal che si arguisce che la condizione per essere ritenuto “cristiano” e quindi realmente “uomo” non è credere in Cristo, ma ubbidire al papa.
Assieme alla “grazia del battesimo” la Chiesa si riserva sempre il diritto di revocare la proprietà di un uomo su ciò che possiede, od almeno di sospenderla, ed è questo il motivo per il quale la scomunica (letteralmente “esclusione dalla comunità” dei credenti) o anatema (termine che ha lo stesso significato e viene dal greco ana – temno, “tagliare via”) era un’arma così potente nelle mani della Chiesa medievale, temuta in particolare dai sovrani, perché faceva venire meno il giuramento di fedeltà dei feudatari, che di solito non aspettavano di avere altro che il pretesto per ribellarsi, in modo da conseguire maggiore autonomia e potere.
Appunto in ragione delle scomuniche inflitte all’imperatore Federico II ed a suo figlio Manfredi, la Chiesa si ritenne in diritto di trasferire nel 1266 il regno di Sicilia dalla casa di Svevia a quella d’Angiò, ed è da notare il particolare che merita di essere ricordato ad imperitura vergogna di questi sedicenti rappresentanti terreni della divinità, che il corpo di Manfredi, caduto alla testa dei suoi uomini nella battaglia di Benevento, e sepolto dai suoi soldati, fu fatto disseppellire e buttare fra i rifiuti dalle autorità ecclesiastiche: “una bestia” non aveva il diritto alla sepoltura.
Una questione che rimane pesantemente sul tavolo, è quella della nazionalità. E’ vero che, come ha variamente e ripetutamente sostenuto la storiografia marxista, gli uomini dell’Età di Mezzo non avessero alcuna idea di
nazione e di nazionalità, che essa è stata una creazione dei pensatori e poeti romantici dell’ottocento?
nazione e di nazionalità, che essa è stata una creazione dei pensatori e poeti romantici dell’ottocento?
Non ci si può stancare di ribadire quanto questo concetto, oltre che falso, sia intrinsecamente pericoloso, per così dire, ad alta nocività. Al cosmopolitismo cristiano viene a unirsi l’avversione per l’idea nazionale tipica del marxismo che, per enfatizzare la divisione delle società umane in strati verticali costituiti dalle classi sociali, sminuisce sistematicamente quella orizzontale rappresentata da nazioni ed etnie, ma forse oggi ancor più deleteria e pericolosa è quella che oggi fa perno sulla democrazia made in Usa, si diffonde in Europa soprattutto per servilismo imitativo nei confronti degli “States”, di quello che non è tanto un gigante dai piedi d’argilla quanto un dinosauro al cui corpo enorme e alla cui forza terrificante corrisponde una quantità di materia grigia davvero esigua. Secondo i dettami dell’american-democrazia, sarebbe lo stato a fondare la comunità nazionale, non la nazione ad esistere di per sé come fatto primario, la sostanza a cui la forma statale dovrebbe adeguarsi (da ciò la pretesa, per fare riferimento alla politica attuale, che i Serbi di Bosnia vadano considerati bosniaci e non serbi, o che i Russi della Crimea e dell’Ucraina orientale vadano considerati ucraini e non russi). Per l’Italia, quindi ad esempio non si potrebbe parlare di nazione italiana fino al 1861 con la rinascita – bene o male – di uno stato nazionale, tanto meno, quindi, nell’Età di Mezzo.
Cristianesimo, marxismo, democrazia. Nel mondo cosiddetto occidentale è ben difficile trovare qualcuno che non aderisca almeno a una di queste tre ideologie (e il cristianesimo va considerato un’ideologia piuttosto che una religione: religioni sono il paganesimo, l’induismo, il buddismo, lo scintoismo, il taoismo e il confucianesimo; l’ebraismo, il cristianesimo, l’islam, le cosiddette religioni abramitiche sono piuttosto ideologie con una base religiosa che le rende esclusiviste e tendenzialmente tiranniche), o anche a una combinazione di due di esse o tutte e tre. Eppure ciò che esse conducono – non solo in campo storiografico – non è che una diuturna lotta contro l’evidenza.
Ripensiamo a queste celeberrime parole del nostro maggiore poeta, che sembra non abbiano mai perso di attualità:
“Ahi, serva Italia di dolore ostello,
Nave sanza nocchiero in gran tempesta,
Non donna di province, ma bordello”.
Dante, che lamentava le divisioni della nostra Penisola e la mancanza di uno stato nazionale non era – se non erro – un poeta romantico dell’ottocento.
Dante Alighieri non è un caso isolato. Ricordiamo l’appassionata ode All’Italia di Francesco Petrarca, Niccolò Machiavelli che scrive Il principe per suggerire a un futuro ardimentoso signore le strategie per porre fine al caos italiano e realizzare un futuro stato nazionale, e Michelangelo Buonarroti che all’indomani della caduta di Firenze e dell’ultima resistenza alla dominazione spagnola in Italia, scrive i versi ispirati alla statua della Notte nelle Cappelle Medicee:
“Grato m’è il sonno, e più l’esser di sasso
Infin che il danno e la vergogna dura.
Non mi svegliar, deh, parla basso”.
Con Machiavelli e Michelangelo siamo ormai fuori dal medioevo, ma ancora molto lontani dal romanticismo ottocentesco.
Che in Italia l’unità nazionale in qualche modo sopravvissuta alla caduta dell’impero romano d’occidente, sia andata perduta con l’invasione longobarda che ha lasciato la Penisola divisa tra Longobardi e Bizantini, che nel vuoto creatosi dalla mancanza di un potere politico unitario, si siano formati il potere del papato e lo stato della Chiesa, che la presenza di questo dominio ecclesiastico sia stato la causa principale dell’impossibilità di riunificare la Penisola per quindici secoli, sono cose note, talmente note da essere diventate paradossalmente invisibili.
Un fatto che non può essere seriamente contestato, è che nei primi secoli del cristianesimo, il vescovo di Roma era semplicemente il vescovo di Roma. Anche se avente sede nella capitale dell’impero, la dioc
esi romana non aveva nessuna speciale rilevanza, anche perché coloro che ne facevano parte, prima di Costantino, erano una minoranza esigua della popolazione che non poteva davvero reggere il confronto con la popolose comunità cristiane di Alessandria e di Antiochia. La presenza a Roma dell’apostolo Pietro è una leggenda non suffragata da alcuna prova storica, e le liste più antiche dei vescovi romani, non ancora promossi retroattivamente a pontefici, cominciano con san Lino. Solo in un’epoca successiva vi fu aggiunto Pietro, e Lino divenne retrospettivamente il secondo papa. Fu il vuoto creato in Italia e in occidente dalla politica costantiniana a permettere ai vescovi romani di costruirsi un potere politico, e fu questo potere politico che permise loro di rivendicare la supremazia spirituale su tutta la cristianità.
esi romana non aveva nessuna speciale rilevanza, anche perché coloro che ne facevano parte, prima di Costantino, erano una minoranza esigua della popolazione che non poteva davvero reggere il confronto con la popolose comunità cristiane di Alessandria e di Antiochia. La presenza a Roma dell’apostolo Pietro è una leggenda non suffragata da alcuna prova storica, e le liste più antiche dei vescovi romani, non ancora promossi retroattivamente a pontefici, cominciano con san Lino. Solo in un’epoca successiva vi fu aggiunto Pietro, e Lino divenne retrospettivamente il secondo papa. Fu il vuoto creato in Italia e in occidente dalla politica costantiniana a permettere ai vescovi romani di costruirsi un potere politico, e fu questo potere politico che permise loro di rivendicare la supremazia spirituale su tutta la cristianità.
Nel vuoto lasciato in occidente dall’operazione costantiniana, la Chiesa e il papato hanno cominciato a esercitare una funzione di surroga, di sostituzione del potere politico mancante, come si vede bene nell’episodio, vero o leggendario che sia, di papa Leone I che si muove per fermare Attila in luogo del debole imperatore ravennate. Il confine fra la sostituzione, la “supplenza” e l’usurpazione, è però estremamente sottile, perché è proprio questa tradizione di ingerenza in cose che con la religione non hanno nulla a che fare iniziata allora, che impedisce al potere civile di riprendere forza e credibilità.
Se guardiamo all’Italia di oggi, vediamo che ancora adesso, su una serie di questioni che vanno dalla lotta alla criminalità organizzata ai problemi sociali, i nostri concittadini una risposta se l’aspettano piuttosto dalla Chiesa che non da uno stato in cui in definitiva nessuno crede, ma se in Italia nessuna costruzione statale riesce credibile, a meno di non operare con l’energia del fascismo, che però fu costretto anch’esso al concordato del 1929, questo lo si deve a due millenni di diseducazione civile, è una vera profezia che si auto-adempie.
La storia del modo in cui il potere politico de facto del papato si trasformò in un’entità statale formalmente riconosciuta, è davvero edificante. Ciò avvenne in epoca longobarda con la cosiddetta donazione di Sutri, con cui il re longobardo Liutprando avrebbe donato al papa il castello di Sutri, appunto, e alcune altre terre. In realtà non fu esattamente una “donazione” e le cose andarono in maniera un pochino diversa. Questo sovrano che fra tutti i re longobardi fu forse il più vicino a essere un vero e proprio re d’Italia, cercava di stabilire una convivenza pacifica con gli altri poteri esistenti nella Penisola, e decise di restituire ai precedenti proprietari queste terre che i suoi uomini avevano occupato. Gli fu fatto credere che appartenessero alla Chiesa, mentre in realtà erano possessi bizantini. In pratica, lo stato della Chiesa nacque da una truffa.
Una truffa di maggiore gravità e dalle conseguenze più pesanti, fu un’altra celebre “donazione”, la cosiddetta donazione di Costantino.
La notte di natale dell’anno 800, papa Leone III, appena assolto in base alla propria parola da un’accusa di corruzione – tanto per fondare una tradizione destinata a rimanere nei secoli – e convinto che il pastorale “di Pietro” fosse la bacchetta di Merlino, decise di compiere un’operazione di magia, trasformare il re dei Franchi Carlo Magno in un imperatore romano.
La translatio imperii, il trasferimento dell’ “imperium romanum” dai Latini ai Germani, era destinata ad avere conseguenze gravissime: per gli Italiani avrebbe significato un millennio di frammentazione, di assenza dello stato nazionale, di servaggio allo straniero, ed era in ogni senso un gravissimo furto, perché l’ “imperium romanum” con tutto ciò che esso continuava a significare, era stato e rimaneva una creazione della gente latino-italica, e la Chiesa non aveva alcun diritto di disporne a proprio piacimento.
Per giustificare questo arbitrio, si inventò un documento, un falso clamoroso, la cosiddetta donazione di Costantino, che si pretese fosse il testamento dettato da quest’imperatore sul letto di morte, con cui quest’ultimo avrebbe ceduto al papa il dominio sull’impero d’occidente. Solo in età rinascimentale l’umanista Lorenzo Valla dimostrerà che questo documento era un falso, perché redatto in un latino medievale che non poteva essere in uso all’epoca di Costantino.
Raggiro, furto e falsificazione (per non dimenticarsi della corruzione dalla cui accusa papa Leone III fu assolto da Carlo Magno in base alla propria dichiarazione d’innocenza). Come ha detto qualcuno, “cominciamo bene!”.
Che il papato sia stato nel corso dei secoli la disgrazia dell’Italia, senza la forza per unire la Penisola ma abbastanza forte per impedire che qualcun altro lo facesse, non è cosa che scopro io adesso, l’aveva già messo in rilievo Niccolò Machiavelli con un’analisi che a cinque secoli di distanza resta impeccabile.
Quando le forze di cui disponevano in loco erano insufficienti a mantenere l’Italia disgregata, i papi sono sempre stati pronti a richiamare nuovi invasori e dominatori stranieri: i Franchi di Carlo Magno contro i Longobardi, gli Angioini contro la casa di Svevia, l’Austria e la Francia di Napoleone III contro la Repubblica Romana e il movimento risorgimentale, tutto pur di mantenere in vita il loro miserabile staterello pontificio.
L’invasione angioina del 1266, voluta dal papa per stroncare per sempre la casa di Svevia, ebbe effetti particolarmente devastanti di cui subiamo ancora oggi le conseguenze.
Fino ad allora, il nostro meridione era la parte più avanzata della Penisola, favorito dagli scambi commerciali e culturali con Bisanzio e con il mondo islamico che allora era più progredito dell’Europa. I Normanni e poi gli Svevi vi avevano creato un moderno stato accentrato. Come lo stato solido ed accentrato creato in Inghilterra dal normanno Guglielmo il Conquistatore sarebbe divenuto una delle maggiori potenze d’Europa, il regno normanno-svevo dell’Italia meridionale che presentava con quest’ultimo delle forti analogie, era incamminato sulla strada di un’analoga importanza politica e floridezza. Le Tavole Melfitane promulgate dall’imperatore Federico II ne furono il coronamento giuridico; con esse s’introdiceva, se non proprio una costituzione moderna, una legislazione uniforme che era di quanto più avanzato esistesse allora in Europa.
La fioritura artistica testimoniata ancora oggi dal duomo di Palermo e da quello di Monreale è una prova di questa stagione eccezionale del nostro meridione, così come lo è il fatto che fu alla corte palermitana che cominciò, con Cielo d’Alcamo e Jacopo da Lentini a nascere la letteratura in lingua italiana, od anche il fatto che la più antica scuola europea considerata di livello universitario sia stata la scuola di medicina di Salerno, istituita sempre da Federico II, grande sovrano illuminato, se mai ve ne furono prima del XVIII secolo.
L’invasione angioina chiamata dalla Chiesa precipitò il nostro meridione in un baratro da cui non è più uscito Al seguito di Carlo d’Angiò arrivò una masnada di avventurieri francesi pronti a trasformarsi in un ceto baronale avido e distruttivo come uno sciame di cavallette, che trapiantò di colpo nel nostro meridione che fino ad allora ne era stato praticamente esente, gli aspetti più retrivi ed ormai anacronistici del feudalesimo.
Ecco cosa scrive al riguardo lo storico Scipione Guarracino:
“Se il feudalesimo aveva avuto capacità ricostruttive nell’Europa delle grandi pianure cerealicole, trapiantato nel difficile ambiente mediterraneo ebbe solo effetti disgregatori. La nobiltà feudale venuta al seguito di Carlo d’Angiò, dopo la prima ondata dei baroni normanni duecento anni prima, spezzò definitivamente le possibilità dell’urbanesimo meridionale, che potevano essere solo quelle dell’iniziativa commerciale forte e dinamica. Sotto Carlo d’Angiò il surplus delle ristrette pianure fertili fu avviato verso i consumi delle città del centro-nord, mentre i privilegi e i monopoli mercantili concessi ai toscani trasformarono rapidamente l’intero regno in una “economia dominata”. Nel XIII secolo e in un ambiente inadatto il feudalesimo era ormai solo causa di decadenza, mentre la sua funzione era già terminata da un pezzo nell’Europa settentrionale. La nobiltà del Mezzogiorno italiano, di un paese cioè costretto a essere povero, sarebbe in futuro la più parassitaria, la più passiva che si possa immaginare”.
Avevo già un’altra volta citato questo brano memorabile in un articolo precedente, e un individuo che non ha mai voluto rivelare la sua identità ma è uso a firmarsi con tre consonanti che non voglio fargli ora il piacere di nominare, mi ha contestato il fatto che esso proviene da un testo per la scuola superiore. Contestare l’autorità della fonte SENZA avere nulla da replicare sul contenuto, significa davvero attaccarsi a un cavillo. L’avesse detto anche il bottegaio sotto casa, quello che conta è se esso corrisponde o meno a verità, e che questa sia la verità storica, è indubbio. La persistente arretratezza del nostro meridione è un “regalo” che dobbiamo all’intromissione politica della Chiesa.
Gli Italiani sono un popolo cattolico, e se lo sono, allora o sono un popolo di masochisti, o cosa che mi sembra francamente più credibile, non conoscono la loro storia.
La terza parte di questo saggio la dedicheremo a esplorare alcuni aspetti della modernità, senza naturalmente la pretesa di essere esaustivi, e anche qui le sorprese non mancheranno, e vedremo che la storia è spesso molto diversa da come ci viene raccontata.
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