È oltremodo scandaloso, nonchè sintomatico della totale perdita di memoria storica da parte dell’uomo europeo, il fatto che un libro come la cosiddetta “bibbia”, sia vetero che neo “testamentaria”, proveniente dalla Giudea ed avente per oggetto esclusivamente i fatti e le vicissitudini, la cultura e le tradizioni di un piccolo popolo medio-orientale come gli Ebrei, comprese le dissociazioni eretiche da esso come la credenza galilea, sia da considerarsi il libro “sacro” dell’Occidente ed addirittura la “fonte” della nostra Tradizione, il “luogo” dei nostri Valori, della nostra visione del mondo, la “tavola” pedagogica su cui e con cui formare i nostri figli, il mezzo espressivo della nostra religiosità come atteggiamento nei confronti del Divino. La nostra Tradizione non ha libri sacri, non ha avuto bisogno e non ha bisogno di scrivere e di codificare ciò che per essa è evidente, gioioso e libero riconoscere: gli Dei e il Mondo.
Ciò non di meno, se vogliamo ritrovare noi stessi (bene ormai perduto) ed il nostro modo di vedere il Mondo, di ordinarlo e di amare in esso e con esso gli Dei (sue Forme), il nostro sentire più autentico, sia la Giustizia che lo Stato come Imperium, come istituzione sacra, legittimata dall’Alto ed avente il fine di elevare l’uomo verso il Divino; se vogliamo tentare di ritrovare l’unità, di cultura e vita, e di queste con la religio, con la nostra spiritualità più alta, aprendoci (di nuovo) al Mondo e alla Vita, allora tutto ciò, cioè la nostra Tradizione come Valori e Principii fondati sul Sacro, la nostra paidéia, come il nostro mos majorum, la nostra stessa coscienza, che per viltà non ascoltiamo, sono scolpite ab aeterno nell’opera somma di Omero e di Virgilio!
L’Iliade, l’Odissea, e l’ Eneide: sono questi i libri Sacri della nostra Tradizione, poichè sono i libri della nostra stirpe! E sono Sacri nel modo e nel significato indoeuropeo di esserlo e non come accade nelle religioni orientali: monoteistiche, settarie e dogmatiche perchè fondate sul “libro” e perciò intolleranti.
In Omero e Virgilio vi è la libera e spontanea espressione della spiritualità e della religiosità, dell’epistéme del Bello e del Bene, della paidèia e del mos majorum, della nostra Tradizione Elleno-Romana. Noi stessi, la natura profonda del nostro essere, sono nella spiritualità di Omero e Virgilio, in quel modo di vedere il mondo. Vi è da aggiungere che l’intera Sapienza del mondo classico proviene certamente dagli Dei: gli eternamente Beati hanno rivelato ad Omero e Virgilio, Esiodo e Platone, Aristotele e Fidia, Plotino e Lisia, tutto il loro sapere; e questi uomini non erano tutti consacrati a dei Numi? E il carattere sacro dell’intera cultura greco-romana non è forse assicurato da Apollo-Helios, suo patrono e Nume della Luce e della Verità? Tanto che tale cultura, come forma interna, carattere innato sia dell’Elleno che del Romano, da sviluppare con la paidéia ed il mos majorum, è tutt’uno con la religione. Che non è devozionismo fideistico, ma conoscenza del Divino e ritualità cultuale per attuarlo.
I vari aspetti della Welthanschauung classica scaturiscono dalla necessità, da nessuno imposta bensì razzialmente sentita, di esprimere più pienamente l’Idea, la Visione del Divino nonchè il sentimento religioso. Poesia epica, lirica e drammatica, filosofia, retorica e storia, arte, politica e diritto sono unite indissolubilmente agli Dei Olimpii, anzi non sono possibili senza di loro. Non vi è la distinzione (introdotta dal cristianesimo) tra lettere sacre e lettere profane, poichè non vi è separazione tra vita civile e vita religiosa come non vi è alcuna forma né sociale né spirituale di dualismo.
Tale è il nostro patrimonio che, nel contempo, abbiamo perduto, abbandonandolo al significato astratto, borghese, calcolante ed anemico di cultura, scisso cioè dalla Vita: si insegnano ancora la poesia di Omero e di Virgilio, come la Filosofia di Platone (anche perchè tutto ciò che si è detto dopo di Lui, non è altro che un insieme di postille alla Sua sapienza…) e l’armonia e l’equilibrio dell’arte classica; ma, con diabolica sottigliezza, già nel IV sec. d.C., da parte della superstitio galilea che aveva preso il sopravvento, si iniziò ad insinuare, per poi imporre, che tutto poteva essere accettato della Tradizione Classica ma non la spiritualità, non la sua Visione del Divino, non i suoi Dei, indissolubilmente uniti alla Res Publica nel suo ordine giuridico-religioso, non, quindi, la sua Anima, realtà ormai “acquisite” con le lettere “sacre” cristiane; restando, pertanto, come oggetto di pedagogia le “morte lettere”, quelle profane, sarebbe a dire il contenuto di quella spocchiosa erudizione, da vuota crisalide, dei “dotti ignoranti”, che ancora oggi si osa definire “cultura” e “formazione classica”!
Il compito dei veri tradizionalisti romani, a questo punto, è nello stesso tempo immane e semplice: immane poichè è necessario negare radicalmente questa finzione che sta alla base della deformazione culturale dell’Occidente, essendo d’altronde causa medesima della sua rovina; semplice, dal momento che, per colui che vive nello Spirito la Tradizione Classica, quelle “lettere”, ad onta della pretesa galilea, lungi dall’essere “morte”, sono Parole Viventi, aventi la forza di aprire gli occhi della mente, permettendo la visione di un Mondo che non è “passato” bensì Eterno! La prova, se ce ne fosse bisogno, di quanto sia veridico tutto ciò, sta nel fatto che, sempre, quando l’Europa ed in particolare l’Italia si sono destati dal lungo “fideistico” sonno, perchè lo hanno voluto in quanto è stato riacquisito il Sapere, è come se si fossero destati gli stessi Omero e Virgilio, Platone e Aristotele nonchè l’intera Romanità, permettendo all’Europa medesima di essere se stessa, mediante quelle Parole Viventi, in un terribile e luminoso Ritorno dell’Eterno.