Io penso ricorderete che alcuni anni fa vi ho parlato in più di un articolo sulle pagine di “Ereticamente” di un’intervista davvero singolare concessa dal filosofo Massimo Cacciari al giornalista Maurizio Blondet, e da questi riportata nel libro Gli “Adelphi” della dissoluzione. Poiché essa era incentrata sul rapporto fra etica, politica e religione, gli argomenti trattati venivano a essere del massimo interesse, toccando le questioni in ogni senso fondamentali.
“Ethos, o per i latini Mos”, raccontava Cacciari all’intervistatore, “Non è affatto ciò che noi oggi intendiamo per “etico” o “morale”. Ethos non indicava comportamenti soggettivi; indicava la “dimora”, l’abitare in cui ogni uomo si trova alla nascita, la radice a cui ogni uomo appartiene. In questo senso, un greco non era più o meno “etico” per sua scelta o volontà. Egli apparteneva a un ethos. A una stirpe, a un linguaggio, a una polis. Che non era stato lui a scegliere (…).
Ogni società tradizionale ha, o meglio è, un ethos. Ogni società tradizionale, come un albero rovesciato, ha la sua radice nella legge divina, nel nomos. La legge della polis, dice Erodoto, è l’immagine di Dike [la dea della Giustizia]. Un ethos impone all’uomo valori che non è lui a scegliere, a decidere, ma a cui appartiene.
Ma in Europa questa appartenenza è entrata in crisi quasi fin dall’inizio. Per l’uomo europeo è venuto molto presto il tempo della frattura con l’ordine degli Dei, il tempo della decisione.
L’ethos era già in crisi profonda con l’Ellenismo, “cosmopolita” ossia sradicato. E duemila anni fa, l’ethos ha cessato completamente di esistere.
Il Cristianesimo è stato dirompente rispetto ad ogni ethos (…). Il Cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra (…). Il Cristianesimo si rivela essenzialmente sovversivo dell’Antichità e dei suoi valori; che esso spezza definitivamente i legami fra gli Dei e la società. L’ethos antico era una religione civile (…). Il Cristianesimo, consumando la rottura con gli dei della Città, sradica l’uomo (…). Uno stato doloroso: il Cristianesimo getta l’uomo nella libertà come un naufrago è gettato in [un] mare in tempesta
Tutta la cultura cristiana è un correre ai ripari contro la tragedia che ha provocato, una tensione disperata a riparare il pericolo che viene dalla frattura tra la Città di Dio e la città dell’Uomo”.
Un correre ai ripari che – noi sappiamo – alla lunga si è rivelato inefficace, poiché alla fine è bastato un monaco ribelle, Martin Lutero, per aprire la porta ai fenomeni patologici della modernità. Da qui l’inevitabile conclusione:
“La secolarizzazione totale che viviamo [è] figlia della sovversione originaria operata dal Cristianesimo”.
Sono concetti che non ci vengono nuovi. Questa critica al cristianesimo, il suo riconoscimento come “bolscevismo dell’antichità” e come radice della sovversione moderna fa parte per così dire del nostro DNA: certamente ricordiamo ciò che hanno detto in proposito Friedrich Nietzsche, Julius Evola, Hanns F. K. Gunther, ma il fatto che mi è sembrato davvero notevole, è che ciò venisse da un pensatore accreditato come uno dei maggiori filosofi contemporanei, un cattolico e per di più un uomo di sinistra (fu eletto sindaco di Venezia nelle liste del PD). Un’ammissione che sembrerebbe fare a pugni con ciò che ci aspetteremmo che una persona del genere dovrebbe sostenere.
Io confesso di non essere in possesso del testo di Blondet, ma di essermi servito di una redazione di questa intervista rintracciata in internet. Bene, in data 10 aprile il nostro eccellente e infaticabile Luigi Leonini ha pubblicato un post che contiene uno stralcio di quest’intervista che riporta alcune parti che nella versione che finora avevo a disposizione sono sunteggiate, e che permettono di comprendere meglio il pensiero espresso da Cacciari. Si tratta di un articolo ripreso dal sito della Arianna Editrice, Il volto luciferino dell’Occidente a cura di Claudio Prandini. (sul sito della Arianna questo testo era per la verità apparso in data 27.12.2010. Purtroppo, non è possibile riuscire a seguire tutto quanto viene pubblicato in formato cartaceo oppure on line, e una volta di più devo esprimere gratitudine al nostro Luigi per il suo lavoro davvero prezioso di ricerca di testi).
Il punto di quest’intervista, riportato in maniera sunteggiata nella versione precedentemente in mio possesso, e che permette, a mio avviso, di comprendere il senso di quest’apparente contraddizione, è questo:
“Sant’Agostino lo dice chiaramente: La Città di Dio è pellegrina in terra; ne segue che il cristiano non ha casa o è a casa dovunque. Il cristiano “non si cura” dei diversi costumi o delle diverse leggi, delle diverse istituzioni con cui la pace terrena si ottiene o si mantiene (…) il cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos, non ha più neppure una lingua sacra”.
Io direi che qui emerge con molta chiarezza il fatto che ci troviamo di fronte a due concezioni del sacro completamente diverse e incompatibili: la prima è quella tradizionale, pagana, indoeuropea che vede nell’ordine umano, nell’ethos il riflesso terreno dell’ordine divino; per essa è ammissibile una pluralità di culti a condizione del rispetto reciproco e del valore dell’ethos e delle leggi della polis per tutti, la seconda è quella abramitica (delle religioni discendenti da Abramo: ebraismo, cristianesimo, islam) tutta incentrata in modo esclusivo sul dialogo fra il credente e la sua presunta divinità, eventualmente mediata (ma la cosa non è indispensabile, si pensi al protestantesimo) dalla gerarchia dei presunti interpreti del volere divino. In questo caso, la sparizione dell’ethos, la dissoluzione dell’ordine umano è semplicemente un effetto collaterale, o addirittura una conseguenza voluta in vista dell’instaurazione manu militari di una teocrazia (come nel caso dell’islam).
Ora si vede bene che le due cose sono in assoluta antitesi, e che ad esempio il tradizionalismo cattolico è un ossimoro, una contraddizione di termini.
Il secondo punto che emerge con grande chiarezza è che quella libertà “in cui il cristianesimo getta l’uomo come un naufrago in un mare in tempesta” è soltanto temporanea e apparente, perché alla base della mentalità abramitica c’è una fondamentale intolleranza che tende a interpretare come male tutto ciò che non scaturisce direttamente dalla volontà “di Dio” o dei suoi presunti interpreti, e la storia di tutte e tre le religioni monoteistiche è venata di intolleranza, violenza, nonché odio verso quella cultura che permette all’uomo di pensare autonomamente al di fuori delle rispettive pastoie dogmatiche. Fuori dal “regno dei credenti” non ci può essere altro che il “regno del male”.
Cacciari ha l’onestà di ammettere che “Il cristiano è necessariamente sovversivo di ogni potere politico che si pretenda autonomo”.
Ma altrettanto necessariamente, se noi vogliamo rifarci alle tradizioni dei nostri avi indoeuropei, nei confronti della religione del Discorso della Montagna, non possiamo altro che opporre un rifiuto senza appello.
Una cosa interessante da vedere, è che il libro di Blondet è stato pubblicato nel 2000, e l’intervista è anteriore, del 1993, essendo passato più di un ventennio, possiamo verificare se nel frattempo alcune previsioni del filosofo abbiano avuto o meno realizzazione. Egli per esempio non ha dubbi sul fatto che il sistema economico-politico borghese frutto tardivo della sovversione cristiana, finirà per rivoltarsi anche conto il cristianesimo e la Chiesa:
“Anche contro la Chiesa [esso] non esiterà a usare la più inaudita violenza, se la Chiesa si rifiuta di diventare un semplice supporto della società borghese”.
Pericolo scampato! Nel frattempo è trascorso più di un ventennio e altri due papi sono succeduti a Karol Woytila allora regnante, sul soglio pontificio. Soprattutto con papa Bergoglio, la Chiesa si è pienamente adeguata alle richieste del mondialismo, diventando appunto “un semplice supporto della società borghese”, peccato che quelli che rimangono nelle peste sono i popoli europei di cui il sistema mondialista ha decretato la morte per declino demografico provocato, immigrazione allogena e meticciato, di cui la Chiesa cattolica si dimostra oggi fin troppo zelante complice.
All’inizio dell’intervista, Cacciari aveva esordito con una frase che aveva sconcertato Blondet: “Il papa deve smettere di fare il katéchon”. Il katéchon sarebbe secondo san Paolo (Seconda lettera ai Tessalonicesi), “ciò che trattiene”, ciò che impedisce al male, all’anticristo di manifestarsi pienamente come avverrà nei Tempi Ultimi. Bene, possiamo dire che con papa Bergoglio, Cacciari è stato pienamente accontentato.
Tempo fa, il nostro amico Joe Fallisi, sempre lucido e provocatorio, mi ha posto una questione che mi ha messo in imbarazzo. Noi sappiamo che il Reichsfuhrer delle SS Heinrich Himmler era un appassionato di esoterismo, arrivò a elevare al grado di maggiore delle SS l’occultista Otto Rahn di cui era un grande (e probabilmente esagerato) estimatore. Poco dopo il D Day distolse dal fronte dove ce n’era un disperato bisogno per contrastare l’invasione alleata, la divisione Leibstandarte spedendola nella Francia meridionale a cercare il Santo Graal, ovviamente senza risultato. Impegnò anche la società Ahnenerbe nella ricerca dell’Arca dell’Alleanza, che con le origini ariane non aveva, chiaramente, nulla a che fare (al riguardo ho appreso solo in tempi recenti, e devo ammettere che è stata una sorpresa spiacevole, che la storia raccontata da Steven Spielberg con Indiana Jones non è del tutto un’invenzione).
D’altra parte sappiamo che questa passione esoterica non era tipica del solo Himmler. Al momento dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria, una delle primissime cose di cui si occuparono i nazionalsocialisti, fu di prendere in consegna la Santa Vehme conservata a Vienna, una reliquia che sarebbe stata la punta della lancia con cui Longino avrebbe trafitto il costato di Cristo.
L’Arca dell’Alleanza sarebbe il simbolo del patto stretto da Dio con il popolo ebraico, il Santo Graal il calice dell’Ultima Cena e/o quello in cui sarebbe stato raccolto il sangue di Cristo sotto la croce, della Vehme vi ho appena detto. Tre simboli che si iscrivono appieno nella mitologia giudaico-cristiana.
Ora, la domanda provocatoria dell’amico Joe a cui non sono riuscito a dare una risposta, era: è mai possibile che nemmeno i nazionalsocialisti siano riusciti a sganciarsi del tutto dalla mentalità abramitica, cioè pensare il sacro in termini diversi da quelli della triade religiosa mediorientale ebraismo, cristianesimo, islam?
Del fascismo italiano non parliamo proprio: il concordato del 1929 l’ha condannato a far sì che il suo appello alla romanità rimanesse qualcosa di esteriore e superficiale, ha significato in pratica la rinuncia a incidere nella mentalità profonda di un’Italia sostanzialmente cattolica, rimanendo poco più di un corpo estraneo tollerato, con tutte le conseguenze che si sono poi viste.
Adesso cercherò per quanto è possibile, di dare una risposta alla domanda dell’amico Joe.
Il fatto, il fatto fondamentale è che UNA RELIGIONE NON SI INVENTA per il semplice motivo che esiste un’eterogeneità tra volontà e credenza. Per fare un esempio banale, io vorrei credere di avere un conto in banca di milioni di euro, ma so che non è così.
Le religioni storiche nascono sempre come riforma di qualcosa di preesistente: il cristianesimo come riforma dell’ebraismo, l’islam come riforma di ebraismo e cristianesimo, il buddismo come riforma dell’induismo; così pure dal tronco dell’induismo nascono il giainismo e la religione sikh.
Poiché di fatto il cristianesimo è praticamente l’unica religione rimasta in Europa, a parte piccoli gruppi esoterici, pagani o neopagani e prescindendo da alcune aree islamizzate, non si può escludere che l’intento dei nazionalsocialisti fosse, per così dire, captare l’elemento sacrale presente nel cristianesimo depurandolo da tutto quel che è abramitico, una via ma senza dubbio non la sola, nell’ambito di una ricerca ad ampio raggio che ha compreso anche la rivalutazione delle tradizioni germaniche e l’attenzione ai movimenti esoterici e neopagani.
Naturalmente, in tutto ciò si avverte la difficoltà di tracciare o riscoprire una via al sacro alternativa a quella giudaico-cristiana-abramitica: un percorso difficile ma, io penso, senza alternative. Uno stato e una società dichiaratamente atei potrebbero funzionare?
Noi abbiamo sotto gli occhi l’esperienza dell’ateismo di stato sovietico che è stato un globale fallimento, ma soprattutto io ho l’impressione che coloro che aderiscono ai movimenti ateistici o, come si dice con un eufemismo, “liberi pensatori”, fanno consistere la loro ragion d’essere nella lotta contro le istituzioni religiose. Qualora raggiungessero i loro obiettivi, l’assenza di significato nella vita implicita nella loro visione del mondo li colpirebbe in maniera devastante.
Esiste poi il discorso del legame tra religione e morale. Da questo punto di vista, dobbiamo essere onesti: questo legame è qualcosa di estrinseco, di non necessario. Una speranza soprannaturale o un timore ultraterreno non sono necessari per avere un’etica. L’uomo superiore si comporta rettamente a prescindere da ciò, perché questo è il modo di vivere conforme alla sua dignità personale e al rispetto di se stesso. Per questo aspetto ritengo pienamente valido l’insegnamento di Socrate. Tuttavia, la società non è tutta composta da uomini superiori, che anzi sono una minoranza. E’ un bene che ci sia la religione a rafforzare i dettami della morale.
Ma deve trattarsi per forza di una religione e di una morale di tipo abramitico? Direi proprio di no: Roma è diventata grande senza di esse, che quando sono arrivate sotto forma di cristianesimo ne hanno invece provocato la dissoluzione.
Si può osservare che molti atei, soprattutto della specie marxista, mentre ne respingono ovviamente l’impianto teologico, non mancano di manifestare ammirazione per la morale cristiana, come se in tutta la sua storia l’umanità non avesse mai prodotto nulla di più elevato e migliore, e in questo modo non fanno altro che confessare e rendere esplicito il legame che esiste tra il marxismo odierno e il “bolscevismo dell’antichità”.
In realtà la morale cristiana non è che una sorta di mercanteggiamento (mi comporto bene per guadagnarmi la ricompensa ultraterrena) di livello inferiore sia ha quanto ha prodotto il pensiero greco anche nel campo dell’etica, sia alla pietas romana.
Proprio in tema di etica, vorrei ricordare un episodio che mi riguarda personalmente. Io appartengo a una generazione che ha terminato gli studi molto prima che entrasse in vigore il concordato del 1982, e la religione cattolica come materia d’insegnamento non era opzionale ma si poteva eventualmente chiedere l’esenzione, cosa che i miei non fecero. Durante i cinque anni, diventati sei a causa di una ripetenza, delle superiori, per me furono discussioni continue con l’insegnante di religione, che però devo ammettere a posteriori, mi sono state utili per sviluppare il mio punto di vista.
Una volta il discorso cadde sui temi etici. Il docente aveva esposto la dottrina cristiana del perdono. Gli risposi citando Virgilio, “Parcere subiectis”, “perdonare ai vinti”. Rinunciare a vendicarsi quando si potrebbe farlo, è un atto che richiede magnanimità, ma “perdonare” a chi comunque non si sarebbe in grado di nuocere, è solo un bel gesto che non costa nulla, e quando si segue il consiglio della bibbia di “lasciare a Dio la cura della vendetta”, in fondo non si fa altro che mascherare il rancore con l’ipocrisia. E gli citai Nietzsche: “Detesto colui che si dice buono perché non ha le unghie abbastanza forti”.
“Quello che stai dicendo”, mi rispose, “E’ del tutto al di fuori della dottrina cristiana”.
“Non m’importa nulla della dottrina cristiana”, replicai a mia volta, “Ma solo se quello che sto dicendo è valido o no”.
Credo che non scorderò mai l’espressione sbigottita che gli si dipinse sul viso.
La morale cristiana è una strana bestia, un distillato di buonismo universalistico e d’ipocrisia giudaica.
Noi non ne abbiamo bisogno. Nelle difficili prove che ci attendono per il futuro, quando ci si imporrà sempre più l’esigenza di respingere l’invasione allogena mascherata da immigrazione per salvare il futuro della nostra gente, sarà sempre più di un’etica guerriera che avremo bisogno.
NOTA: Nell’illustrazione che correda questo articolo, da sinistra: una ricostruzione dell’Arca dell’Alleanza, la Santa Vehme, la punta della lancia di Longino che secondo la tradizione avrebbe trafitto il costato di Cristo (delle tre reliquie è l’unica che ci è effettivamente pervenuta), il calice di Ardagh, capolavoro dell’oreficeria medioevale irlandese spesso usato per rappresentare il Santo Graal.
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