10 Ottobre 2024
Religione

La profezia di Malachia e la lista degli ultimi Papi – Prima Parte – Alfonso Piscitelli

Poco ha a che fare con l’originario Malachia, santo vescovo del XII secolo, quel lungo elenco di motti – 111 per la precisione – che sono raccolti nella fortunata Prophetia Sancti Malachiae Archiepiscopi, de Summis Pontificibus e che promettono di vaticinare il carattere dei pontefici venturi fino all’ultimo successore di Pietro.

La Profezia, che riemerge come un fiume carsico nei momenti critici della storia d’Occidente o più meccanicamente quando si alza la fumata bianca di una nuova elezione in conclave, si completa con il centoundicesimo della lista, “Petrus Romanus”, dopo il quale lo pseudo-Malachia prevede la distruzione dell’Urbe e, come effetto collaterale non da poco, la deflagrazione dell’intero mondo.

Tra l’epoca del Malachia storicamente accertato e la diffusione di questa Lista intercorrono poco meno di quattro secolo. Infatti era il 1595 quando lo storico benedettino Arnoldo Wion nel compilare una storia dell’Ordine Benedettino (“Lignum Vitae”) accennava, senza particolari riferimenti bibliografici, a questa articolata profezia attribuendola al vescovo benedettino di Armagh, Malachia appunto.

La leggenda attorno a Malachia narrava che proprio recandosi a Roma, il benedettino ebbe la visione dei Papi futuri, ma la rosa dei nomi fu secretata e conservata negli archivi vaticani fino alla sua riscoperta.

Nel Seicento questo racconto post-datato ebbe grande fortuna. All’epoca, l’istituzione papale occupava un posto centrale nel mondo della controriforma e il contesto storiconon era privo di preoccupazioni apocalittiche alimentate dalla cruenta spaccatura confessionale dell’Europa e dalla pressione dei Turchi dal Mediterraneo e dai Balcani.

È interessante notare come il “Malachia” non cadeva nella tentazione di tutti i facili profeti dell’apocalisse, i quali, per aumentare il pathos attorno alla predicazione, sono spinti a preconizzare una imminente fine del mondo: tendenza che noi scettici post-moderni potremmo definire come “effetto testimoni di Geova” … Il “Malachia” al contrario parlava di tempi lunghi, di una articolata staffetta fino ad arrivare all’ultimo Papa.

Pi 2

Col passare degli anni aumentarono gli esegeti appassionati di “Malachia”, ma contestualmente al lavoro filologico sul testo aumentarono anche i dubbi sul reale estensore della lista.Ciò nonostante la fortuna del testo si estese ed anchein ambito protestante ci furono cultori  e interpreti della lista dei Papi Venturi: citiamo il luterano Teodoro Grugero che pubblicò in anni in cui già si diffondevano fermenti illuministi una “Commentatio historica de successione Pontificum Romanorum, secundum vaticinia Malachiae, a dubiis Menestrerii, Carrieri, aliorumque vindicata (Wittenberg, 1723).

 

La “Profezia di Malachia” nei nostri giorni è tornata alla ribalta dal momento che – seguendo la logica interna del testo – saremmo oggi arrivati all’ultimo rigo della Rosa di nomi. L’esoterista che si muove al di fuori dell’ambito confessionale cattolico e che ripone fiducia in questo vaticinio, potrà scorgere i segni che dimostrerebbero la “conclusione di una storia” e di un’epoca in coincidenza con l’ultimo Papa designato dallo pseudo-Malachia. Ma d’altra parte, il cristiano cattolico, confidando nella perdurante vitalità del Papato e nella evidente forza di una istituzione universalmente riconosciuta, potrà ribadire che la serie di Malachia era “un po’ troppo corta” e che la precognizione di una fine del Papato nel nostro tempo era una ingenua illusione

 

Volendo sottoporre il testo ad una analisi critica si possono peraltro distinguere nella successione di motti tre gruppi storicamente distinti:

1) alcuni motti anteriori al Seicento possono considerarsi chiaramente come “profezie post eventum”. L’estensore reale della lista – figura ben diversa dal Malachia medievale – individuava Papi del passato e ricalcava sulle loro fisionomie storiche motti che non erano profetici, ma semmai commemorativi.

2) Altri motti che riguardano il periodo a cavallo del XVII secolo possono considerarsi come “strumenti di propaganda” nella lotta tra personalità politiche-religiose che si contendevano l’elezione a Papa. In pratica la Profezia di Malachia potrebbe intendersi come uno strumento di lotta tra partiti in conclave per accreditare questa o quella figura come predestinata al Soglio. Si attribuiva a un veggente del passato la premonizione di un Papa venturo che avesse una certa fisionomia sintetizzabile in un motto e in tal modo si “tirava la volata” al candidato al soglio pontificio che più potesse assomigliare nella sua personalità al motto pre-datato.

3)  come terza categoria, vanno considerati i motti che si riferiscono a un periodo sicuramente successivo a quello della diffusione della Profezia di Malachia (e del suo eventuale utilizzo “politico”): questo è appunto il periodo che ci riguarda.

 

Fatta questa premessa si può compiere un esercizio di curiosità intellettuale e verificare se può esservi qualche coincidenza tra i motti preconizzati e la reale fisionomia dei Pontefici di età contemporanea, cercando di evitare ovviamente la tentazione di cadere in identificazioni troppo ingenue.

 

Il motto “Lumen in coelo” corrisponde nella sequenza numerica al papato di Leone XIII (1878-1903): questo papa raccolse la difficile eredità di Pio IX, sotto il quale era crollato lo Stato Pontificio e più in generale era crollato l’ordine della Restaurazione fondato sull’alleanza tra il trono e l’altare. Leone XIII aprì una nuova era nella storia della Chiesa componendo una enciclica, la Rerum Novarum, che inaugurava la cosiddetta “dottrina sociale della Chiesa”. Nello stesso tempo avvertì drammaticamente la presenza di un influsso diabolico nella vita contemporanea e dopo una sorta di esperienza mistica – a metà tra la visione e la premonizione – decise di inserire nella liturgia cattolica una invocazione a San Michele Arcangelo (poi cassata ai tempi del Concilio Vaticano II con l’avvento del Novus Ordo Missae). In base a questi dati storici e possibile ricondurre la figura di Leone XIII a quella “Luce che appare nel Cielo” di cui si fa motto? Possiamo prudentemente limitarci a dire, che per giudizio abbastanza condiviso, Leone XIII è passato alla storia come un pontefice capace di incidere nel proprio tempo in maniera positiva, superando vecchi attriti, aprendo nuove prospettive alla luce della “dottrina sociale della Chiesa” da lui promossa. A maggior ragione, in un ambito cattolico “tradizionalista”, Leone XIII appare come un paladino della lotta della Luce contro le tenebre in virtù della sua invocazione al Principe delle schiere celesti Michele e della premonizione di quel fumo diabolico che si sarebbe negli anni a venire insinuato nella stessa cittadella vaticana.

 

Il motto riferito al Papa successivo è “Ignis Ardens”. Nella terminologia cattolica ardente è un aggettivo che si attribuisce facilmente alla fede e d’altra parte l’ardore spesso si è affiancata alle repressioni degli eretici (con roghi ugualmente ardenti). Sulla base di questa ambivalenza semantica, si può azzardare una coincidenza tra l’immagine suggerita dal motto e l’azione pontificale di Pio X (al secolo Giuseppe Sarto) che al principio del XX secolo fu artefice di un classico catechismo della Chiesa Cattolica e nello stesso tempo si impegnò in una dura battaglia contro il modernismo, da lui considerato, come una vera e propria sintesi di tutte le eresie dell’età contemporanea. Vero è che siamo nel campo di identificazioni abbastanza vaghe.

 

Certo fa impressione considerare il motto del successore nella serie: “Religio depopulata”, ovvero “devastazione della religione”. Il Papa al quale si riferisce è quello che regnò durante gli avvenimenti catastrofici connessi alla I Guerra Mondiale. Benedetto XV cercò, con un vano appello, di porre fine a quel conflitto che egli definiva come “inutile strage”. In conseguenza del suo Appello inascoltato egli finì per essere considerato in Francia come “il Papa dei Tedeschi” e in Germania come il “Papa francese”. La I Guerra Mondiale – la stessa che ispirò a Spengler la monumentale opera sul “Tramonto dell’Occidente” – si tirò come conseguenza la rivoluzione bolscevica in Russia e il crollo dell’ultimo grande impero cattolico: l’Austria-Ungheria. L’esito del conflitto implicò anche l’inizio dell’insediamento ebraico in Palestina, pur così carico di valenze escatologiche e al quale Benedetto XV si oppose. Nel contesto della I Guerra Mondiale si verificarono le apparizioni della Madonna di Fatima, con la comunicazione di quei segreti che – progressivamente rivelati – andarono ad alimentare una sorta di teologia politica negli anni a seguire: 1) la visione del Mare di Fuoco, che si gonfia con la caduta in esso di tutti i dannati del mondo moderno; 2) l’esigenza di una Consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria; 3) l’immagine  finale più cupa di un vescovo vestito di bianco che sale un calvario di persecuzione.

 

Abbastanza generico il motto che dovrebbe contraddistinguere Pio XI: “Fides Intrepida”. Sicuramente una formula che potrebbe bene calzare ad ogni pontefice o quasi. Intrepido potrebbe essere considerato Pio XI nel suo contrapporsi in maniera aperta alle tre ideologie trionfanti alla sua epoca: il comunismo, il capitalismo e infine il nazismo. Pio XI fu critico nei confronti del capitalismo anglo-americano, ma soprattutto fu risoluto anticomunista. Proprio in funzione anticomunista in un primo tempo espresse apprezzamenti nei confronti di Hitler per poi ricredersi di fronte all’articolarsi dello regime totalitario e razzista: la sua esplicita condanna del razzismo di Stato nazionalsocialista è raccolta nelle parole franche dell’enciclica “Mit Brennender Sorge”.

 

Fino ad ora abbiamo analizzato una successione di Papi ai quali con una certa dose di precisione o di fantasia potrebbero essere attribuiti i motti della Profezia di Malachia; giunti a Pio XII la situazione si ribalta, perché per la prima volta in età contemporanea abbiamo un Pontefice che intenzionalmente assume su di sé il riferimento al motto indicato dal “Malachia”. Nel pieno del secondo conflitto mondiale, nel 1942, viene infatti girato un film su Pio XII in cui la figura del pontefice si delinea con i tratti di una autorità spirituale, ma anche di una “potestas” civile nel tormentato periodo in cui l’Italia assisteva alla caduta del regime fascista con l’avvicinarsi del fronte di guerra.

Papa Pacelli accetta che la distanza tra le folle e le Stanze Vaticane venga ridotta dalla pellicola cinematografica e dà il suo assenso alla realizzazione del film che si intitola significativamente “Pastor Angelicus”. Questo era appunto il motto che nella sequenza della profezia di Malachia attribuiva al papa corrispondente a Pacelli. Pio XII “non poteva non sapere” quale significativa allusione contenesse il titolo del film…

“Angelico” potrebbe essere considerato Pio XII alla luce delle notizie di visioni mistiche a lui attribuite (la visione eterica del Cristo in particolare); il titolo di Pastore sicuramente attiene a una figura regale di Papa che ebbe una chiara visione politica ed anche il coraggio di rimanere al suo posto nei giorni di caos dell’8 settembre, prevedendo la possibilità dell’elezione di un nuovo Papa nell’eventualità di un sequestro da parte dei nazisti.

 

Gli ultimi papi della lista di Malachia corrispondono a quelli della fase di transizione aperta dal Concilio Vaticano II. Transizione verso quali lidi? I Padri Conciliari furono orgogliosi di annunciare l’avvento di una “nuova primavera dello Spirito” in conseguenza del loro lavoro teologico-pastorale. L’esigua schiera di tradizionalisti anti-conciliari fu invece incline a scorgere in quel Concilio i segni di una drammatica crisi della Chiesa di Roma.

“Pastor et Nauta” è il motto che va a coincidere con il Papa, che diede origine alla svolta del Concilio Vaticano II: Giovanni XXIII, al secolo Giuseppe Roncalli. In che senso a questo sacerdote nato da umile famiglia contadina in quel di Sotto il Monte (Bergamo) si potrebbe attribuire l’epiteto di “Nauta”, marinaio? I cultori della profezia di Malachia nella endiadi Pastor et Nauta scorgono appunto l’oscillazione del personaggio tra i due poli dell’origine familiare e della destinazione. “Pastor” per le sue origini agricole-pastorali nel bergamasco, “Nauta” perché Roncalli fu nel suo cursus honorum ecclesiastico amministratore apostolico ad Istanbul, l’antica Costantinopoli che affaccia sullo stretto dei Dardanelli, poi Patriarca di Venezia, la storica città dominatrice dei mari. Una volta posto alla guida della barca di Pietro,egli volle traghettare la Chiesa di Roma nel mare aperto della modernità verso sponde diverse da quelli della tradizione controriformistica.

 

Interessante la correlazione che può suggerire uno degli ultimi motti della serie: “Flos Florum”, fiore dei fiori.  Il Papa a cui Pi 3il motto corrisponderebbe è Paolo VI, nato Giovan Battista Montini. È interessante constatare come già nel suo stemma cardinalizio si scorgono tre gigli: i fiori per eccellenza di una araldica legata al sentire cristiano. Montini divenuto Paolo VI avrebbe confermato nello stemma papale il “fior da fiore” della tradizione cristiana. Il simbolismo floreale potrebbe indurre alcuni a credere nel fatto che in questo Papa intellettuale e complesso vi fosse una assunzione consapevole del riferimento alla profezia malachiana. E tuttavia il caso più clamoroso di un richiamo ai Motti rimane quello di Pio XII con il film celebrativo “Pastor Angelicus”.

 

Malinconico è il motto che si attribuisce a Giovanni Paolo I, il Papa di una sola estate, che anzi regnò per un solo mese, la cui morte repentina suscita voluttà interpretative in tanti complottisti. Il motto recita: “De medietate Lunae”: la metà della Luna. Si è voluto scorgere in questo motto il riferimento alla estrema brevità del pontificato lucianeo. Vero è che – se per consuetudine calendariale arcaica “mese” e “ciclo lunare” coincidono – la profezia sarebbe stata perfettamente realizzata se Giovanni Paolo I avesse regnato 15 giorni o al contrario il motto si riferisse a una Luna intera e non solo alla metà di una Luna.

 

1. Continua

 

Alfonso Piscitelli

“questo articolo rappresenta l’ estratto di un capitolo dedicato alle profezie politiche in preparazione e che includerà studi su Nostradamus. Caterina Emmerik, Soloviev, Evola e Guenon, Spengler e Steiner”.

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