L’ultimo libro di Giandomenico Casalino
Giandomenico Casalino da anni persegue un suo ben identificato progetto spirituale ed intellettuale. Agire, per quanto possibile nelle attuali contingenze, al fine di risvegliare il ricordo assopito di un mondo altro. Non è particolarmente gravoso constatare oggi il livello di generale insoddisfazione, di insicurezza esistenziale oltre che pratica, nel quale vivono la maggior parte dei nostri simili. Nessuno può negare che subiamo, ogni giorno di più, l’accelerarsi e l’aggravarsi della crisi. Di ciò il nostro autore è convinto più di altri. Nell’ultima sua fatica, ma più in generale in tutta la sua produzione saggistica precedente, non si limita a sviluppare la deprecatio temporis che ha riempito troppe pagine, ma propone una via di uscita dallo stato presente delle cose: abbandonare l’oblio che tutto pervade e tornare alle radici profonde della civiltà europea, quelle greco-romane. Presenta tale soluzione nel volume La spiritualità Indoeuropea di Roma e il Mediterraneo, da poco nelle librerie per la libreria Editrice Aseq (per ordini: info@aseq.it).
Il volume raccoglie la conferenza che Casalino, su invito del presidente del Rotaract Club “Roma Mediterraneo”, tenne nella Capitale il 14/03/2015. Il testo della conferenza è accompagnato da una Appendice che racchiude altri tre scritti complementari ai contenuti espressi in essa, tutti mirati ad approfondire e a chiarire il concetto di Tradizione. La loro lettura consente di entrare in modo compiuto nelle argomentazioni dell’autore. Quella di Casalino è una “invocazione dell’Idea vivente della Romanità” (p. 1). Il suo progetto è davvero ambizioso, fondato com’è sul tentativo di agire sulla dimensione interiore, profonda degli uomini del nostro tempo, che hanno avuto la ventura di ascoltarlo o che incontreranno ora le sue pagine, al fine di determinare in loro un
A questi Casalino rammenta che l’Europa produsse un modello d’Ordine, spirituale e politico, subito diffusosi in tutto l’ecumene mediterraneo, imperniato sulla visione del mondo indoeuropea. I Greci per primi si fecero teorici di una possibile vita felice, mentre i romani si posero il problema di realizzare in termini politici tale modello di felicità. Gli Elleni, creatori della Filosofia, accettarono il dato, il Cosmo, riconoscendolo quale Ordine divino, i Romani, latori di una ascesi dell’Azione, individuarono nella Legge la “natura ordinata in Cosmo” (p. 33). Il cosmo romano è Res Publica, lo Stato non è un apriori ma “proprio in forza della sua natura attivo-intensiva è creato dal Romano, mediante il rito giuridico religioso” (p. 31), attraverso due momenti il Bellum Iustum e l’ordine magico-giuridico. Per comprendere realmente tale posizione tipicamente romana è necessario procedere all’esegesi della Triade arcaica divina: Juppiter, Mars, Quirinus. Juppiter è la Mente, il Cielo luminoso degli Indoeuropei, il Dio dei Patti, lo Stato romano come Idea. Mars è l’atmosfera intermedia, inspirazione ed espirazione del Guerriero in marcia, ricorda l’autore. Pertanto, a livello di riferimenti microcosmici, se a Giove corrisponde il Capo, a Marte, farà riferimento il Petto impetuoso, ma “ancor più giù del Petto…c’è il ventre Quirino: esso è il regno, la dimensione della Donna” (p. 19). A Tale divinità pertiene la tutela dei Beni, del Sesso, della Vita. La donna domina, a Roma, è custode della sobrietà dei costumi, difende dall’eccesso e dal lusso la vita pratica degli appartenenti al nucleo familiare, cellula dello Stato.
La Mente guida e governa, Il Guerriero difende, la Donna conserva. Qui emerge la tripartizione tipicamente indoeuropea già esemplarmente presente nella Città platonica. In sua forza, il Romano sentì il dovere di agire sull’animo degli altri popoli, rispettando le loro tradizioni e costumi, ma integrandoli nella Res Publica. Tanto che questi si sentirono prima Romani e poi appartenenti alle loro etnie d’origine e, negli ultimi giorni dell’Impero, eroicamente difesero il limes, a differenza di molti “cittadini” dell’Urbe dimentichi del Mos majorum. L’ideale che li muoveva era quello di sempre: nei limiti dell’uomo tentare di essere, per quanto possibile, simili agli dei. Casalino suggerisce che, in termini di organizzazione politica, tutto ciò si tradusse in una sorta di Rivoluzione Conservatrice, centrata sulla Costituzione mista. In essa, la sovranità delle istituzioni intermedie quali i Magistrati, il Senato ed i Comizi, in cui si mostra la Sovranità del Popolo, è per così dire, garantita dal Sacro. Si formò così una circolarità aperta e dinamica in cui il Sacro, identificato con il Pubblico, permetteva l’accesso a pieno titolo nella Comunità della figura del fante-legionario-cittadino, sempre in sintonia con le deliberazioni senatoriali mirate alla custodia della Tradizione. La Sovranità popolare a Roma era sacra, un dato di fatto irrinunciabile, a differenza di ciò che sta accadendo oggi alle democrazie moderne, le quali vanno mostrando senza infingimento il loro tratto epidemico, in senso greco, ed antipopolare. Per questo la serenità si mostrava sul volto dell’autentico Romano. Come rilevarono, con sorpresa, gli ambasciatori del Sinedrio ebraico ricevuti dal Senato, i Senatori romani mostravano serenità, austerità e da essi promanava, per questo, la forza autentica dell’autorità.
Per dirla con Kerenyi, come fa Casalino, l’uomo greco-romano è uomo festivo perché capace di sospendere la “linearità profana della vita”. Solo tornando a guardare tale modello sarà possibile lasciarci alle spalle la mesta e grigia ferialità dei giorni in cui ci è toccato in sorte di vivere.