Ci risiamo. Ancora una volta a contare i morti, e a chiederci quanti avrebbero potuto salvarsi se i fondi pubblici fossero stati spesi in modo più intelligente ed onesto. E, ancòra una volta, a chiederci dove trovare i soldi per ricostruire e, soprattutto, per prevenire futuri disastri.
Certo, il Vispo Tereso ha dichiarato che “i soldi ci sono” e che i paesi distrutti saranno ricostruiti “pietra su pietra”. Ma oramai non gli crede più neanche la Fata Turchina. I soldi non ci sono, come risulta evidente dalla cifra ridicola stanziata dal governo per le prime esigenze: 50 milioni. Una miseria, se si pensa che in pochi giorni con i “2 euro solidali” si sono già raccolti 12 milioni.
I soldi non ci sono, dunque. Il Pifferaio dell’Arno fa affidamento sui contributi dell’Unione Europea. Che ci saranno certamente; ma che saranno, appunto, dei “contributi”, cioè delle aggiunte ad altre più consistenti somme che – si presume – dovrebbero già essere state stanziate dal governo italiano. In realtà, il Pascolatore di Bufale Toscane spera soltanto di potere fare altri debiti (a maggio il nostro debito pubblico ha toccato un nuovo record: 2.242 miliardi). È per questo che invoca, già da prima del terremoto, la “flessibilità”. Flessibilità – giova ricordare – che non significa cancellazione degli obblighi o dei debiti, ma semplice dilazione, rinvio, possibilità di “allargarsi” quest’anno, per essere costretti poi a “rientrare” rocambolescamente fra uno o due anni.
Ma il Bomba ha fretta. Non gli interessa aggiustare i conti dell’Italia (anche perché non sono aggiustabili), ma ha assoluta necessità di guadagnare tempo: deve arrivare indenne al referendum, non per vincere (cosa impossibile) ma per evitare di straperdere. Ciò gli consentirebbe di rimangiarsi senza troppi danni la promessa di dimettersi o, almeno, di mantenere il potere per interposta persona, tramite il fido Delrio. E questo fino alla scadenza naturale della legislatura (2018), sperando nell’imponderabile per tentare la missione impossibile di una vittoria nelle urne.
In questo suo accidentato percorso di guerra, il Serafico Cinguettatore Fiorentino si è trovato improvvisamente fra i piedi i conti (salatissimi) del terremoto nell’Italia Centrale. E non tanto per i soldi occorrenti per una costosa e complessa ricostruzione, forse recuperabili con qualcuno dei soliti giochi di prestigio contabili; quanto, piuttosto, per il fatto che gli esperti hanno sentenziato che buona parte dell’Italia Centrale è a rischio terremoto, e che – se si vogliono contenere danni e lutti futuri – bisogna por mano, da subito, ad una massiccia opera di messa in sicurezza, il più possibile rapida. Costi? Secondo quanto si legge in rete, attorno a 10 miliardi all’anno, per un minimo di 10 anni. Ma così, a naso, mi sembra una previsione alquanto ottimistica.
Ottimismo o pessimismo a parte – comunque – dove trovare cifre del genere? È a questo punto che ogni calcolo va a farsi benedire. Perché è a questo punto che vien fuori tutta la diabolica complessità del meccanismo finanziario che sta strangolando gli Stati – tutti gli Stati, anche i più ricchi – a beneficio di duecento famiglie (o giù di lì) cui è stato regalato il potere di creare denaro e di prestarlo agli Stati. I quali Stati (ripeto: anche i più ricchi) invece di stampare il proprio denaro, devono farselo prestare dai “mercati” privati, costruendo così il proprio “debito pubblico”. Tanto per rendere l’idea, la somma dei debiti complessivi di tutti gli Stati (debiti pubblici + debiti privati) è grande tre volte il PIL del mondo intero; si veda in proposito l’articolo di Fabio Pavesi sul “Sole 24 Ore” del 19 luglio 2015. In altre parole: tutti i paesi dell’orbe terraqueo devono a un pugno di privati (proprietari delle grandi banche planetarie e, attraverso un sistema di scatole cinesi, di quasi tutte le “banche centrali” del globo)… devono a un pugno di privati – dicevo – una somma pari a tre volte la ricchezza creata in un anno dalle economie del mondo intero.
La qualcosa comporta che gli Stati non dispongano più di denaro proprio, ma possano reperirlo soltanto attraverso due canali: attraverso l’imposizione fiscale, destinata perciò a crescere oltre ogni immaginabile limite; e – quando non vi siano più soldi da spremere ai contribuenti – contraendo ulteriori debiti, con le banche centrali o con altri soggetti finanziari internazionali. E, questo, anche per far fronte ai doveri elementari di ogni Stato: difesa nazionale, pubblica sicurezza, sanità, previdenza, istruzione e tutti gli altri còmpiti istituzionali: compreso quello – e torniamo al punto di partenza di questa non oziosa conversazione – della necessaria opera di prevenzione dai rischi sismici (ma anche da quelli idro-geologici) che interessano il territorio nazionale.
Ecco perché – a prescindere dai miseri giochetti di potere e dal piccolo cabotaggio elettorale – per l’Italia (e non solo per l’Italia) la salvezza potrà arrivare soltanto da una nuova classe politica che abbia il coraggio di intraprendere la più difficile delle riforme: il ritorno alla sovranità monetaria dello Stato, il ritorno alla possibilità di creare la nostra moneta e di spenderla per gli interessi del nostro popolo, rifiutando di sottostare al ricatto degli usurai.
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