12 Ottobre 2024
Esoterismo Filosofia

L’Ermetismo: un percorso nei secoli – Umberto Bianchi

Nel mio girovagare tra le librerie romane, mi è recentemente capitato di metter gli occhi su un testo delle edizioni Mediterranee, “Hegel e la Tradizione Ermetica”, scritto da certo John Alexander Magee, insegnante e ricercatore universitario anglosassone. Tesi portante del libro, la decisiva influenza sul pensiero di Hegel di una delle più importanti correnti esoteriche del pensiero occidentale, quale l’Ermetismo, non senza apporti da parte dell’Alchimia, contraddicendo, in parte, la classica vulgata che vede in Hegel un acrimonioso e quanto mai pedante sostenitore e prosecutore di quel razionalismo che, nei vari Cartesio, Jeulinx, Malebranche e compagnia, ha i propri nobili natali. Con un lavoro di accurata dissezione delle opere di Hegel, il Magee mette a comparazione la metodologia ed i principi che, a suo dire, ispirano l’opera omnia del grande pensatore teutonico, con la ricca e tortuosa filiera del pensiero esoterico occidentale (esaminato, come abbiamo già rilevato, nella sua accezione più ermetica, sic!), arrivando, pertanto, alle conclusioni a cui abbiamo poc’anzi accennato, ovverosia all’idea che il pensiero occidentale, nella sua odierna configurazione, razionalista, illuminista, scientista ed economicista, abbia molti più debiti di quel che si potrebbe credere, con quelle oscure correnti. Considerata l’importanza di Hegel sul pensiero e, conseguentemente, sugli eventi occidentali, non ci si può, in questa sede, esimere dallo svolgere alcune approfondite osservazioni a riguardo. Non è difatti, la prima volta, che determinate espressioni del pensiero, quale per l’appunto quella esoterica, vengano citate o inserite a sproposito, determinando pericolose confusioni terminologiche e concettuali. Stesso discorso vale per determinate dottrine, quale appunto, quella ermetica, troppo spesso soggette a caciaronesche ed affrettate interpretazioni. Per “esoterismo”, si intende anzitutto, una modalità di pensiero, ovverosia quello concernente una conoscenza nascosta rivelata per simboli, il più delle volte attinente alla sfera più oscura ed iniziatica di una determinata dottrina, e non ad una specifica dottrina, oscurantista, spiritista o magica che dir si voglia, consistenti queste ultime, semmai, in aspetti secondari di questa, che essa possa o meno essere “esoterica”. Detto questo, ora ci possiamo chiedere se l’Ermetismo, nella sua accezione storica, possa essere inquadrato quale vera e propria dottrina esoterica.

Alle origini di una dottrina

Cominciamo con il dire che, ufficialmente, i natali dell’Ermetismo si pongono approssimativamente attorno al II sec. DC. ma, in verità, al pari di altre consimili, questa dottrina è un tipico prodotto delle istanze filosofiche e culturali rappresentate da quel grande momento di sintesi rappresentato dall’Ellenismo. L’espansione a livello universale della civiltà e della cultura ellenica, determinata dalle conquiste alessandrine, darà luogo all’incontro tra quest’ultima e le varie culture dell’arco del Mediterraneo e del Vicino Oriente, determinando delle vere e proprie forme di sintesi e sincretismo culturale e religioso, tutti coniugati all’insegna della misteriosofia. Il perché di questa impostazione è presto detto: l’eredità di Alessandro Magno con la suddivisione del suo immenso impero in Stati a carattere universalistico, governati dai Diadochi Greci (e pertanto inizialmente estranei alle culture locali, come nel caso dei Tolomei in Egitto, tanto per fare un esempio…) rappresenta un po’ la fine della Polis/Città Stato e della sua concezione di osmosi tra la sfera individuale del cittadino e quella pubblica sino ad allora, per l’appunto rappresentata da quest’ultima. Il cittadino dello stato ellenistico si sente disperso ed atomizzato, all’interno di un contesto che gli è spesso estraneo e finisce, pertanto, per rivolgere la propria attenzione a forme di religiosità o di credo filosofico a carattere salvifico, in grado, cioè, di garantirne la sopravvivenza dell’anima nella dimensione di quell’ “aldilà” che, sino a quel momento, era stato relegato al ruolo di “Ade”, vero e proprio Regno delle Ombre e che, invece, ora finirà con l’assumere un ruolo centrale in molte misteriosofie, non senza lo svolgimento di un percorso iniziatico, in grado di operare quella elevazione dell’anima del miste in direzione della sostanza divina sino ad arrivare, in taluni casi, a delle vere e proprie forme di teurgia, ovvero all’identificazione del miste con la sfera divina o, quanto meno, ad un attivo rapporto di interrelazione “alla pari” con quest’ultima. Pertanto l’intero contesto del pensiero filosofico e religioso, finisce con l’assumere , molto spesso, una valenza di vero e proprio salvifico “consolamentum” , rivolto alla sfera interiore dell’individuo. L’Ermetismo, nella fattispecie, ci sembra essere più vicino a quest’ultima ipotesi.

Per inciso, quanto sin qui detto non significa che il mondo classico pre-ellenistico, non fosse caratterizzato da dottrine a carattere esoterico od iniziatico che dir si voglia. Tutt’altro. Basterebbe citare i Misteri Eleusini, l’Orfismo o il Pitagorismo, solo per citare qualche esempio. E’ che, venendo la sfera religiosa vissuta in una maniera più diretta ed immediata, arrivando addirittura a privilegiare un rapporto diretto con la sfera civica, il lato misterico era dato per scontato, perché parte costituente di un determinato corpus, costituito anche e principalmente da un aspetto più propriamente “essoterico” e divulgativo. Tornando all’Ermetismo, la data ufficiale di nascita di questa dottrina viene generalmente collocata attorno al II sec. D.C. ma, proprio in virtù di quanto sin qui detto, le sue esatte origini si collocano nel contesto che abbiamo or ora tratteggiato. Per Ermetismo si intende una dottrina imperniata sulla sintesi tra la figura greca di Hermes/Mercurio e l’egiziano Toth, dio della Morte. Mercurio è divinità psicopompa, il suo accompagnare le anime nell’Oltretomba si accompagna ad una valenza salvifica, espressa dall’immagine del suo caduceo. In lui pertanto Vita e Morte, Disfacimento e Vigoria sono intimamente connessi, al pari di Toth il suo paredro egizio, divintà ermopolitana, sapienziale, ordinatore dei mondi, la cui valenza di “sole morto”/luna, gli conferisce un ruolo fondamentale accanto ad Osiride nel Duat/Oltretomba, nell’effettuare quella “psicostasia” o giudizio delle anime dei defunti. Anch’egli finisce, pertanto, con l’assumere la doppia valenza di una sapienza, rivolta alla sfera celeste ed a quella infera al medesimo tempo. Una sapienza che può farsi percorso salvifico per il miste, riguardando sia la sfera spirituale che quella meramente fisica di quest’ultimo.

Le Influenze dottrinali

Ritornando al contesto delle influenze che l’ambito ellenistico e tardo-antico, trasmisero all’Ermetismo, non si può qui non menzionare il ruolo fondamentale giuocato da Gnosi e Neoplatonismo. Fondamentale è, a questo proposito, il ruolo giuocato da quella particolare impostazione dottrinale che accompagna ambedue queste narrazioni del tardo platonismo, rappresentata da quel concetto di “emanazionismo” che finirà con il permeare l’intero contesto tardo-antico. Alla base di questo concetto sta l’idea platonica di una dimensione terrena intesa quale imperfetto “riflesso” dell’algido Mondo delle Idee. Nella sua successiva fase neoplatonica, viene messa in risalto l’idea di una dimensione terrena frutto dell’emanazione di un Uno immobile ed indifferente, in questo coadiuvato da un negativo intermediario divino, rappresentato dalla figura del Demiurgo nel ruolo di materiale creatore del mondo, così come riportato dalla originale narrazione platonica. Se, come abbiamo già visto, quello dell’emanazione risulta essere il motivo base di ambedue le narrazioni, neoplatonica e gnostica, finisce nel contempo per divenirne anche un motivo di discrimine, proprio perché finisce con l’essere da ambedue interpretato in modo affatto differente. Se per il Neoplatonismo, l’idea di un principio Primo da cui il creato intero è “emanato”, non è di per sé negativo, anzi; nelle varie espressioni della narrazione neoplatonica, questo principio finisce con l’assumere una valenza di magico incantamento, legato com’è all’idea che l’universo intero sia in tutti suoi aspetti strettamente collegato ed interrelato al Principio Primo. La stessa impostazione nella Gnosi è, invece, concepita in un’accezione totalmente negativa. Il creato è sì espressione di un’emanazione del Principio Primo, intesa però come una forma di progressiva degradazione che porta ineluttabilmente a quella materia bruta, che costituisce la base dell’universo e da cui l’essere umano può liberarsi solamente ricercando e sfruttando quelle scintille di materia divina sparse nel creato e che ne costituiranno la base per iniziare un lungo percorso di risalita verso il Principio Primo, in un afflato tendente alla progressiva liberazione dalla materia. Il radicale dualismo gnostico andrà poi accentuandosi nel Manicheismo e nel suo ancor più profondo disprezzo per la materia. All’interno dello stesso ambito gnostico, sorgeranno nel primo Evo Medio sette quali Pauliciani, Bogomili e Catari, in ispecial modo, che dimostreranno disprezzo per l’istituzione della famiglia e della riproduzione si et si. Al pari del Neoplatonismo, anche la Gnosi concepisce (di riflesso, sic!) l’universo intero come un reticolo di interrelazioni tra l’alto ed il basso. La Gnosi, al pari del Neoplatonismo finiranno con l’influenzare decisamente sia il paganesimo che l’emergente cristianesimo, non senza toccare l’ebraismo, arrivando sinanco all’Islam, (in ispecial modo, per quanto riguarda la sua versione sciita).

L’influenza che Gnosi e Neoplatonismo eserciteranno sull’Occidente sarà notevole e lascerà un’eredità che, ad oggi, è difficilmente quantificabile ma che, a voler essere concisi, può esser riassunta in due filoni. Da una parte quel processo di “astrattizzazione” del divino che finisce con il relegare quest’ultimo ad una dimensione, per così dire, “noumenica”, eterea, determinando nei secoli quel vuoto spirituale che, in Occidente, spalancherà la strada all’avvento della Tecno Economia Globale. Dall’altra sia la Gnosi attraverso i suoi autori, da Basilide a Valentino, da Bardesane a Marcione che il Neoplatonismo con Plotino, Giamblico e Proclo, eserciteranno un’influenza in un senso decisamente emanazionista e misteriosofico, dando luogo a delle vere e proprie forme di eterodossia ed eresia sia all’interno delle tre grandi religioni monoteiste che anche al di fuori di esse, nello stesso ambito del tardo paganesimo esercitando, in seguito, una silenziosa, ma rilevante influenza, su molti aspetti del pensiero occidentale a venire. Ritornando alle tre religioni monoteiste, per quanto riguarda il Cristianesimo, ci basti citare l’esempio della matrice gnostica delle sette bogomile, pauliciane, catare e  templari dell’Evo Medio. La stessa influenza gnostico-neoplatonica può essere riscontarta sia per quanto attiene l’Islam (nelle sue varianti sciite, con l’Imamologia iranica, che in quelle sunnite con la dottrina Sufi) sia per quanto attiene il contesto ebraico dall’Evo Medio in poi, tramite la dottrina cabalistica. Possiamo pertanto dire che l’Ermetismo può, a pieno diritto, esser collocato in un ambito che oscillante tra l’impostazione gnostica e quella neoplatonica. Qui, l’idea di una principiale emanazione si accompagna al principio di una stretta interrelazione tra la sfera celeste e quella infera del mondo materiale, conformemente al principio “in basso come in alto”. Pertanto sta all’iniziato saper cogliere quegli aspetti del mondo numinoso presenti nella dimensione terrena, al fine di effettuare un percorso che lo porti progressivamente verso la perfezione sia interiore che (cosa che distacca l’Ermetismo dal paradigma gnostico) esteriore, fisica, in virtù di quell’aspetto taumaturgico di cui Hermes/Mercurio e lo stesso egizio Toth si fanno latori.

Nascita e natura dell’Ermetismo.

Come abbiamo avuto già modo dire, la data ufficiale dell’Ermetismo va collocata in un arco di tempo che va dal I secolo a.C. circa sino al III secolo, attraverso la formazione e la pubblicazione divarie raccolte di scritti, composto dai testi di vari autori tardo antichi. Tra le più famose di queste raccolte spiccano il “Corpus Hermeticum” che, al pari della più famosa “Tabula Smaragdina”, (il cui miracoloso ritrovamento si sussurra essersi verificato in Egitto, prima dell’era cristiana, su una lastra di smeraldo, successivamente tradotta dall’arabo al latino nel 1250), fu inizialmente attribuito allo stesso Ermete Trismegisto ed è, ad oggi, composto di 17 scritti redatti in greco; un diciottesimo, invece, consiste in un trattato in latino dal titolo Asclepius, oltre ad  una serie di scritti, inseriti nelle opere di Stobeo (V secolo). La varietà degli autori e dei loro scritti propende a favore non tanto di una unitaria dottrina filosofica, quanto piuttosto di un corpus di conoscenze che, coerentemente con il clima di sintesi e sincretismo tipico dell’Ellenismo, oltre a risentire primariamente dell’influenza di Gnosi e Neoplatonismo, avrebbe risentito anche dell’ apporto culturale dello Stoicismo, della religiosità iranica e di altre forme di religiosità vicino-orientali, impostando la propria dottrina sull’idea di quella già citata, stretta interconnessione tra il microcosmo individuale ed il macrocosmo celeste, regolata dall’alternarsi dei  principi di simpatia ed antipatia. L’Ermetismo si fa dunque, veicolo in grado di addivenire alla conoscenza ed alla comprensione di questi oscuri meccanismi magico-astrologici, grazie alla quale l’uomo può effettuare quella catarsi in grado di risollevarlo dalla oscura condizione di materialità in cui si trova gettato sin dai primordi. E questo anche grazie alla ricerca di quelle tracce di divino o “vestigia” presenti nel mondo materiale, ma che solo alcuni, anzi pochi iniziati, hanno la facoltà di rinvenire al fine di raggiungere quella catarsi che sempre più (anche attraverso un continuo processo di reincarnazione delle anime…sic!) li avvicinerà alla sfera divina. Non solo. Quella valenza taumaturgica che caratterizza l’Ermetismo, ne porta all’accostamento ad altre due fondamentali pratiche che, in questo periodo, in Occidente conosceranno un’ulteriore fase di fortuna: l’Alchimia e l’Astrologia. Senza entrare in ulteriori dettagli, possiamo dire che al pari dell’ Ermetismo, Alchimia ed Astrologia, attraverso procedimenti apparentemente meccanici nella loro banale naturalezza, animati da scopi dalla parvenza materiale, quale la trasmutazione del vile metallo in oro, o l’osservazione degli astri, puntano (in ispecial modo nel caso dell’Alchimia, sic!) alla trasformazione dell’animo dell’individuo, da una sfera meramente umana, ad una di sovrumana perfettibilità. Anche qui, l’uomo è in correlazione con il macrocosmo, ancora una volta, il mondo materiale si fa veicolo ed opportunità per l’elevazione di quest’ultimo. Tutte queste discipline conosceranno alterne fortune, dall’Evo Medio sino alla Rinascenza, sino a doversi confrontare con i marosi della Modernità, quasi a sparire, salvo poi riapparire in forme e modalità del tutto inusitate.

La reale natura dell’Ermetismo

Tutte le spiegazioni sin qui date, servono a contestualizzare la materia, al fine di prepararci alla questione nodale del pensiero ermetico, ovverosia su quale debba essere la natura dell’ “elevazione” dell’uomo verso la celeste dimensione. Se di puro e semplice “consolamentum” debba trattarsi o, invece, di qualcosa di molto più dirompente. Per dare una risposta a questo quesito, bisogna andare a cogliere un aspetto misconosciuto o, comunque, non sufficientemente sottolineato del triangolo di pensiero Gnostico-Ermetico-Neoplatonico. Tutte e tre queste dottrine, rientrano, in un modo o nell’altro, nell’ambito di quell’antica pratica chiamata teurgia, consistente nella possibilità per il miste di interagire in un rapporto quasi paritario con l’elemento divino, sino ad arrivare ad orientarne le decisioni. Nel caso dell’Ermetismo e dei suoi correlati, questo elemento assume una veste del tutto peculiare. Qui l’enunciato-base è rappresentato dall’idea che Dio o l’Uno che dir si voglia, abbia bisogno di creare il mondo (e di conseguenza l’uomo) per prendere coscienza di se stesso (quella “autoctisi” di gentiliana memoria, sic!). Pertanto, attraverso il proprio processo di incarnazione, Dio raggiunge la propria perfezione, pervenendo alla piena coscienza di sé e facendo, pertanto, coincidere la propria coscienza con quella di quell’uomo che, quasi in un metafisico giuoco di specchi, finisce con l’avvicinarglisi pericolosamente, finendo con il far coincidere la propria individualità con quella divina. E’ quanto, in un modo o nell’altro, l’Ermetismo va proclamando in modo più o meno velato od aperto, a seconda del contesto in cui si trova ad interagire. Tutti i grandi protagonisti del pensiero ermetico con accenti e toni via via differenti, si fanno portatori di un pensiero che se, inizialmente, può esser scambiato per una semplice riflessione di natura teosofica, dalla matrice quasi fideistica, finisce invece con il disvelare la propria natura eterodossa, sconfinando nell’emanazionismo di stampo gnostico o neoplatonico, sino ad arrivare a quella mai sopita tentazione di far coincidere l’uomo, l’iniziato, con lo stesso Dio. E così se l’Evo Medio, (dominato da una parte dall’aristotelismo dall’altra da eresie di matrice gnostica…) certe cose le sussurra, la Rinascenza, con la sua riscoperta della grecità e del Neoplatonismo, certe cose le afferma apertamente, forte di una virulenta riscoperta di quell’antropocentrismo che, della classicità greca, fu imprescindibile elemento. E qui iniziano i primi problemi.

L’Ermetismo tra Modernità e Tradizione

Tornando a quanto già precedentemente accennato, L’Ermetismo, nel suo palesarsi, non si presenterà come vera e propria dottrina unitaria, o quanto meno, se anche partirà da una impostazione inizialmente unitaria, forse proprio a causa del proprio occultamento nei bui secoli dell’Evo Medio, finirà con l’assumere la valenza di una modalità di pensiero che accomunerà a sé autori ed impostazioni spesso differenti, andando ad intersecarsi e ad influenzare le altre nuove forme di pensiero che andranno via via presentandosi, non senza, però, esserne a sua volta influenzato ed, alfine, pericolosamente snaturato.

Se per autori dell’Evo Medio come Ildegarda di Bingen, Ruggero Bacone, Meister Eckhart, Raimondo Lullo ed altri, l’impostazione ermetica si inserisce a pieno titolo in un ambito di riflessione “teosofica”, per altri, a partire da Nicola Cusano, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola o Giordano Bruno, invece, l’Ermetismo si contestualizza in quel contesto di ritorno alla centralità dell’individuo, che trova nella riflessione filosofica il proprio asse portante. Invece per autori quali Agrippa di Nettesheim, Paracelso, Robert Fludd, John Dee, Comenius ed altri ancora, l’anima ermetica si incarna in un ambito di pensiero puramente “magico”, irrazionale, che trova in un contesto alchemico o astrologico, le proprie più vivide espressioni. Diciamo pure che l’Ermetismo, nelle sue mille espressioni, pur facendosi latore di tesi ardite ed “eretiche”,  dovrebbe restare in qualche modo fedele ad una primigenia impostazione di pensiero “tradizionale”, che vedrebbe le varie tesi esposte, correlate all’idea di un percorso di perfezionamento interiore dell’individuo, nell’ambito di una stretta ed inscindibile relazione armonia con l’elemento divino che permea di sè l’universo intero. Ma, con l’avanzare della Modernità questa istanza va assumendo la valenza di uno smisurato ed arrogante individualismo antropocentrico, dato dalla costitutiva ambiguità del pensiero occidentale in tutte le sue espressioni e di cui il razionalismo cartesiano al pari dello “scientia est potentia” di Francesco Bacone, rappresenteranno quelle tra le più classiche ed eclatanti espressioni.

L’Ermetismo ed il pensiero di Hegel

E qui veniamo al problema dell’essenza del pensiero di Hegel e del testo di Magee. Al pari di Kant, Hegel è quello

hegel che, senza mezzi termini, potrebbe esser definito quale autore-crocevia, poiché si pone a cavallo tra due diverse impostazioni epocali di pensiero. Ambedue i filosofi possono essere definiti due grandi ri-ordinatori e coordinatori del pensiero occidentale, sia pur sotto ottiche differenti. Hegel vivendo la tormentata genesi della Modernità, attraverso eventi epocali quali la Rivoluzione Francese e le guerre napoleoniche, aspira alla creazione di una Filosofia vista quale “mathesis universalis”, in grado di fermare e dare un ordine all’irruenza del Divenire nella Storia. L’idealismo hegeliano si fa forte dell’idea di un procedimento di dialettica logica trifasico che, attraverso i momenti di Tesi, Antitesi e Sintesi è visto quale momento cardine, in grado di dare ordine e senso ad un mondo, che trova il proprio inveramento in quella perfetta armonia tra la dimensione del Pensiero Individuale e quella del Pensiero Assoluto che, nel proprio epocale svolgersi e manifestarsi vanno coincidendo ed intersecandosi, alla guisa di due sovrapposti piani circolari, a questo portati dalle proprie rispettive, perenni, rotazioni. In questo Hegel fa sicuramente proprie, in modo disinvolto, le categorie del pensiero ermetico. L’idea di un Dio che per prender coscienza di sé, ha bisogno di creare il mondo, finendo con l’incarnarvisi in esso (così come accade con il Cristianesimo) è, in questo, significativo. Altrettanto significativi possono essere considerati i riferimenti a tutta una simbologia esoterica di matrice alchemica ed ermetica. Riferimenti questi, sicuramente”di spessore”, ma non determinanti, al fine di conferire ad Hegel, con apodittica certezza una matrice ermetica, almeno nel senso più classico del termine. Altrettanto sicuro ed inoppugnabile il fatto che Hegel abbia in qualche modo risentito delle circostanti influenze culturali, rappresentate dal milieu pietista svevo e dal contesto massonico-rosicruciano, oltre alla vicinanza culturale (e fisica) con Fichte, Schelling, Holderlin, Novalis ed altri autori facenti parte invece del vasto arcipelago romantico e delle sue espressioni magico-idealiste. Altrettanto vero, però, che nel suo interfacciarsi con la grande famiglia del pensiero Ermetico, Hegel ne recepisce appieno quello spirito più tardo, influenzato dalle istanze della sorgente Modernità, tutte egualmente improntate, come abbiamo già visto, ad un’immagine degenerata ed egotista di quest’ultimo, per cui coincidendo ambedue le sfere, quella umana e quella divina, l’uomo si fa Dio, improntando in modo materialista ed economicista, l’intera realtà. Lo stesso configurarsi dei gruppi esoterici, all’alba dell’Illuminismo, andrà proprio palesandosi in tal senso. Oltre a personaggi del mondo della cultura, a prender parte alle nascenti realtà esoteriche, rosicrucianesimo e massoneria in primis, sempre più saranno esponenti della nobiltà, del mondo del commercio e dello stesso clero (sia protestante che cattolico, sic!), andandosi così a determinare delle vere e proprie oligarchie, legate ad interessi via via sempre più lontani da quelli che avrebbero dovuto essere i motivi scatenanti del fenomeno,inizialmente improntato ad una ricerca nelle più profonde sfere dell’umana spiritualità. Altro fondamentale aspetto, è rappresentato dalla non irrilevante influenza dell’impostazione culturale e religiosa monoteista, qui esplicitata dalle sue varianti gnostico cabalistiche che andranno ad integrarsi pienamente alle istanze di matrice veterotestamentaria, alla base della sorgente civiltà illuminista e mercantilista. Un’influenza che, in particolare, si farà sentire attraverso gli scritti del noto cabalista Isaac Luria, non senza dimenticare, però, il costante manifestarsi di questo sapere attraverso i secoli, a partire da un Pico della Mirandola sino ad arrivare ad uno Jakob Bohme, i cui scritti suscitarono in Hegel un certo interesse che andò ad intrecciarsi con quello per gli scritti di Oetinger, altro rilevante esponente del pensiero esoterico germanico, di ambito protestante. Tutti questi interessi, sono strettamente legati all’idea della realizzazione di quella “Chiesa Occulta” a carattere universalistico, nella veste di sapere occulto “globale, quale unica espressione di fede in grado di accomunare i saperi del mondo intero e che, del Globalismo, costituisce la fondamentale base ideologica. Non solo. Conformemente allo spirito utopista, intriso di monoteistico finalismo metafisico, Hegel aspira a fare della propria filosofia, la narrazione finale che condurrà l’umanità tutta, ad una globale elevazione e presa di coscienza, anticipando, in tal modo, le istanze che stanno sempre alla base della Globalizzazione, basate su un principio di livellamento ed omologazione a livello planetario. E, james-alexander-mageetanto per dare un colpo finale alla tesi di Magee, il principale assunto di Hegel è concentrato in una frase che dovrebbe dircela lunga a riguardo: “Tutto ciò che è reale è razionale, Tutto ciò che è razionale è reale”, imprimendo una forte chiusura a qualsiasi possibilità di apertura a quella concezione misterica della realtà, che sta alla base di qualunque forma di pensiero esoterico o iniziatico che dir si voglia. Hegel, come abbiamo visto, vivrà e studierà a stretto gomito con Fichte ed altri rappresentanti del Romanticismo germanico. “En kai Pan/Uno e Tutto”, ovverosia Unità nella Molteplicità e Molteplicità nell’Unità, compenetrazione ed osmosi di opposti che finiscono con il coincidere in un’unica onnipervadente realtà. Con la differenza che, ad un certo punto, i suoi compagni di strada romantici, inizieranno a “deviare” in direzione di un irrazionalismo etnocentrico, da cui prenderà le mosse quella grande riscoperta del mito delle origini indoeuropee che, attraverso i successivi studi di Bopp, Grimm, etc., relegheranno la Bibbia, la Cabala e via discorrendo, (sino ad allora considerati quali momenti-principiali per la conoscenza del mondo) ad un ruolo secondario, rispetto alle singole tradizioni primordiali di riferimento. Hegel, invece, nel rimanere profondamente legato al contesto monoteista e veterotestamentario, vivrà dei forti contrasti con lo stesso Fichte e, successivamente, con Schopenauer e con tutta una serie di autori di cui non condividerà l’irrazionalismo, rimarcando, in tal modo, la propria differenza con Kant che, invece, farà della realtà un “noumeno”, ovverosia un qualcosa di indefinibile ed inconoscibile, dando la stura alle successive “deviazioni” della filosofia occidentale, in chiave irrazionalista.

Natura ambivalente dell’hegelismo

Questo non significa, però, che Hegel sia completamente legato al carro del razionalismo illuminista e successivamente positivista, come, dopo quanto detto, si sarebbe tentati a credere. Cominciamo con il dire che Hegel fa proprie le modalità del pensiero esoterico, quali simboli, contesti di pensiero, etc., per reinterpretarli, però, ad “usum delphini”, ovverosia, in chiave propria. La valenza di “mathesis universalis”, a cui abbiamo già accennato, che Hegel vuole conferire alla propria narrazione filosofica, troverà sicuramente in Feuerbach e Marx, (tanto per citare due, tra i molti suoi successivi interpreti), dei disincantati allievi, proclivi ad un antropocentrico materialismo, di cui lo stesso filosofo germanico è indicato essere il principale ispiratore. Ma Hegel rimane, giuocoforza, inserito nell’ambito della tematica dell’ambiguità e della doppiezza del pensiero occidentale di cui, anch’egli è parte in causa. E’ vero. L’ “autoctisi” hegeliana può essere interpretata in senso astratto, materialistico, al pari della sua “scientia” dialettica. Ma, in tutto questo, riaffiora un lato oscuro che porta il pensiero hegeliano a deviare verso lidi altri, da quelli dell’algida razionalità illuminista. L’Assoluto, l’Infinito, Dio, hanno bisogno di creare il mondo e, sinanco l’Uomo per prendere coscienza di sé, anzi, trovando nell’Uomo colui che, attraverso la propria elevazione al di sopra della Natura Naturans, darà a Dio la riconferma del proprio esser-ci, della propria ipseità. L’Uomo, finisce così, con il farsi Dio, sostanza assoluta, facendo dipendere la reificazione dell’intero creato dalla propria mente, inaugurando la Modernità all’insegna di un paradosso senza soluzione: se, dunque dalla mente di questi può dipendere l’intera realtà, quale mondo può determinare una mente avida e corrotta? Siamo di fronte ad una forma di perversa teurgia alla rovescia o semplicemente ad una metafora filosofica sul significato e sulla fisiologia della civiltà occidentale? Hegel, fa da battistrada a quello che sarà il volontarismo superomista degli Stirner e dei Nietzsche del 19°secolo? Oppure, attraverso la modalità di una narrazione filosofica che vuole spalancare all’intero genere umano la possibilità di una elevazione delle coscienze, coincidente con la sfera del Pensiero Assoluto e, pertanto, con quella di una assoluta felicità e completezza, vuole addivenire allo stadio finale di quel pensiero utopista occidentale che aveva preso le proprie mosse dai Millenaristi del 13° secolo, attraverso i vari Tommaso Moro, Giovacchino da Fiore, Tommaso Campanella, sino ai vari Fourier e Babeuf?

In conclusione

E qui la risposta non può essere univoca. Proprio in nome di quella ambiguità, di quella endemica “doppiezza” connaturata al pensiero occidentale, si può dire che, al di là delle elaborazioni dei vari Feuerbach e Marx, Hegel può esser, al medesimo tempo, inteso sotto tutti i punti di vista che abbiamo annoverato ed, al contempo, sotto nessuno di questi. Pertanto, riassumendo. In quanto riordinatore del pensiero occidentale, al pari di Immanuel Kant, nel farsi latore di una serie di complesse tematiche, Hegel non può, “sic et simpliciter”, esser incasellato ed inquadrato in modo apodittico, a parere di chi scrive, sotto un unico denominatore. Quanto detto, ci riconferma l’immagine di un pensiero occidentale che va assumendo una valenza di vero e proprio “magnum mysterium”, in grado di far convivere accanto al più algido razionalismo positivista ed al più fervido ed illuminato utopismo progressista, un lato di oscura irrazionalità, che fuoriesce da un cupo Abisso senza fondo, da un Chaòs primordiale in cui tutto è in potenza e da cui, l’Uomo, in virtù di un rapporto simbiotico con quest’ultimo, può trarre elementi in grado di prefigurare la realtà a proprio piacimento…

E, nel rivolgerci nuovamente alle Origini, Hermes è divinità psicopompa, messaggero, dio dei ladri, ma anche divino garante dell’umana “salus”, e padre putativo di Ulisse, a cui trasmette il dono di un ingegno multiforme che non si manifesta solo attraverso l’arte della guerra. L’inganno, l’abilità narrativa, le arti manuali, una inestinguibile curiosità al limite della “hybrys”, qui non sono più intese quali turpi bassezze, bensì quali divine capacità, in grado di fare dell’uomo , un “ubermensch/superuomo” ante litteram, in grado di elevarsi verso quella dimensione dell’ “altrove”, tanto vicina, eppure irraggiungibile, nella sua veste di vero e proprio inestinguibile propellente per quel viaggio senza fine che, dell’Occidente, quello autentico, costituisce, l’autentica natura….

UMBERTO BIANCHI

2 Comments

  • Vittorio Corazza 12 Novembre 2016

    Mah, ho letto l’articolo di Umberto e mi pare francamente in contrasto con quanto descritto nella proposizione di “Ereticamente”.
    Faccio un po’ fatica a capire, anche perché è la prima volta che leggo qualcosa in questo sito, comunque da una parte si fa sfoggio evidente di letture intense di “libri” di vario genere e tutte interessanti e condivisibili, almeno per quanto riguarda la cultura personale, la quale, arricchendoci, dovrebbe aprire gli occhi sui fenomeni del mondo, in realtà però sappiamo che la “conoscenza” altro non è che la scoperta di “ignoranza”. Ma poi leggo che “la visione del mondo non si basa sui libri”, e su cosa allora, forse si torna ai presocratici che trasmettevano la sapienza “oralmente”? Quale sarebbe poi la certezza che questo tipo di trasmissione non sia ogni volta mistificato dalla trasmittente seguente, non avendo traccia alcuna del precedente racconto? Per quanto riguarda il carattere generale dell’articolo, pur interessante, la risposta stà sempre nel voler escludere l’avvento del cristianesimo come fondante della nostra civiltà. I problemi di oggi, derivano dal fatto che la parola di Cristo è stata dimenticata, (già da qualche tempo) il che è uno dei grandi problemi dell’uomo contemporaneo, che ha perso la memoria. La verità non la sa ne Plotino, ne Heghel, ne Fichte, (cioè nessuno) stà davanti a noi in ogni momento e la impariamo nei primi anni della nostra vita, forse a quello alludeva il buon Friedrick quando diceva che l’esser bambini ci farà superare l’uomo (quello che lui conosceva ovviamente), ma lo aveva detto 1900 anni prima un tale Gesù di Nazareth…a meno che, il significato non stia proprio nell’ammissione che, anche l’ostentazione di siffatta “cultura”, non porta in realtà alla comprensione di niente e che perciò, la “verità” vada ricercata “in interiore homine”, il che porrebbe nuovamente il messagio cristiano, quale unica soluzione alle nostre perturbanti domande. (ammesso e sperando che ci sia qualcuno che ancora se ne ponga)
    Quindi chiedo umilmente delucidazioni in merito, grazie.

  • Vittorio Corazza 12 Novembre 2016

    Mah, ho letto l’articolo di Umberto e mi pare francamente in contrasto con quanto descritto nella proposizione di “Ereticamente”.
    Faccio un po’ fatica a capire, anche perché è la prima volta che leggo qualcosa in questo sito, comunque da una parte si fa sfoggio evidente di letture intense di “libri” di vario genere e tutte interessanti e condivisibili, almeno per quanto riguarda la cultura personale, la quale, arricchendoci, dovrebbe aprire gli occhi sui fenomeni del mondo, in realtà però sappiamo che la “conoscenza” altro non è che la scoperta di “ignoranza”. Ma poi leggo che “la visione del mondo non si basa sui libri”, e su cosa allora, forse si torna ai presocratici che trasmettevano la sapienza “oralmente”? Quale sarebbe poi la certezza che questo tipo di trasmissione non sia ogni volta mistificato dalla trasmittente seguente, non avendo traccia alcuna del precedente racconto? Per quanto riguarda il carattere generale dell’articolo, pur interessante, la risposta stà sempre nel voler escludere l’avvento del cristianesimo come fondante della nostra civiltà. I problemi di oggi, derivano dal fatto che la parola di Cristo è stata dimenticata, (già da qualche tempo) il che è uno dei grandi problemi dell’uomo contemporaneo, che ha perso la memoria. La verità non la sa ne Plotino, ne Heghel, ne Fichte, (cioè nessuno) stà davanti a noi in ogni momento e la impariamo nei primi anni della nostra vita, forse a quello alludeva il buon Friedrick quando diceva che l’esser bambini ci farà superare l’uomo (quello che lui conosceva ovviamente), ma lo aveva detto 1900 anni prima un tale Gesù di Nazareth…a meno che, il significato non stia proprio nell’ammissione che, anche l’ostentazione di siffatta “cultura”, non porta in realtà alla comprensione di niente e che perciò, la “verità” vada ricercata “in interiore homine”, il che porrebbe nuovamente il messagio cristiano, quale unica soluzione alle nostre perturbanti domande. (ammesso e sperando che ci sia qualcuno che ancora se ne ponga)
    Quindi chiedo umilmente delucidazioni in merito, grazie.

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