Il governo Gentiloni è andato in scena a reti unificate, tra i lustrini e le paillettes dei dibattiti televisivi, i fiumi di parole della meglio intellighenzia nazionale schierata a gettone, e dosi industriali della nuova retorica americana e giovanilistica da simpatici amiconi “goodfellas”, simboleggiata da un Renzi finto allegro che abbraccia il suo prestanome e successore (testa di turco, si dice in alcuni ambienti), consegnandogli non la ridicola campanella, ma la felpa con su scritto Amatrice. Almeno in quello, lo stile Salvini è al governo. I terremotati sfruttati intanto tremano, e non solo per l’inverno.
No, non conoscono la vergogna. Loro e, soprattutto il loro mandanti internazionali. Il dominus di casa nostra, Giorgio Napolitano, che manteniamo dal 1953 ed è affiliato dal 1978 ai circoli di potere più riservati del pianeta, ha piazzato ancora le proprie pedine, come la volitiva Anna Finocchiaro al centro del cratere governativo, e può contare sulla devozione generale di costoro. Specie della signorina Maria Etruria Boschi, la fatina delle riforme abortite, incredibilmente ancora in sella come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che vorrebbe dire portavoce, ombra e angelo custode in conto terzi del presidente. Già, il conte Gentiloni Silveri, patrizio marchigiano con feudo in Filottrano, Ancona. Dopo la scapestrata giovinezza tra i mazzieri di Mario Capanna, il cui servizio d’ordine era capeggiato dal Santo Gino Strada, patrono e padrone di Emergency, la ONG più buona che ci sia, venne la pensosa maturità prima con l’ambientalismo e poi a sfogliare Margherite. Adesso, alle soglie della vecchiaia, assurge alla carica di capo del governo, sia pure per conto terzi.
Forse hanno ragione gli americani: tutti ce la possono fare, specialmente se lavorano da anni per la perdita di sovranità del loro Paese a favore di Unione Europea e potentati internazionali (Gentiloni dixit) e se, soprattutto, si trovano al posto giusto proprio al momento giusto. Non conoscono vergogna, davvero. Hanno perduto rovinosamente la loro scommessa politica, ma non cedono. Non vuolsi così là dove si puote ciò che si vuole. Eh, sì, perché la posta in palio della riforma costituzionale abbattuta dal voto popolare non era certo il nuovo Senato o la goffa bandierina della diminuzione del costo della politica (il costo del regime si può abbattere, ma a patto di abbattere il regime), bensì la costituzionalizzazione del primato del diritto dell’Unione Europea e degli altri centri di potere transnazionale.
D’istinto, guardando la faccia di Renzi, Buffalmacco tornato Calandrino, gli italiani hanno detto no. Torna alla mente una vecchia fortunata pubblicità che recitava “A scatola chiusa si compra solo Arrigoni”, ovvero quella certa marca di tonno che “vuol dire fiducia”. Si sono rialzati in piedi quasi in tempo reale, ed abbiamo quindi il piacere di vedere Angelino Alfano promosso ministro degli Esteri. Ha svolto egregiamente il suo sporco lavoro di traghettatore di africani sino alle vetrine di ogni supermercato e negozio di città grandi e piccole, può fare danni anche a livello internazionale. Rimane al posto suo donna Roberta Pinotti da Genova Sampierdarena, ministro della Difesa molto popolare tra gli ammiragli – la giovinezza trascorsa in divisa da giovane esploratrice girl scout significherà pure qualcosa – che mette a disposizione la nostra Marina da guerra temuta in tutto il mondo e ben conosciuta dagli scafisti di tutte le obbedienze – a partire da quelli delle Organizzazioni Non Governative.
Perde il posto solo la povera professoressa Giannini, conosciuta per la sedicente “buona scuola” – decisamente, il nostro è un Paese ridicolo – e per un incauto topless balneare. Premio alla tardona che non si rassegna, ma deve lasciare il posto, forse per un regolamento di conti trasversale con il suo vecchio mentore Monti, ultimamente non tanto popolare al Nazzareno e dintorni. E’ sostituita da una senatrice, la signora Fedeli – nomen omen – dall’inquietante aspetto da combattente “de sinistra” degli anni Settanta.
Resistono quasi tutti gli altri, soprattutto il professore Padoan, proconsole e plenipotenziario degli gnomi di Bruxelles e Francoforte, qualcuno deve pur fare il lavoro di “governance”, mentre gli altri giocano col potere. C’è anche una splendida “new entry”, Marco Minniti ministro dell’Interno, D’Alema conta ancora, eccome, e ribadisce attraverso il suo sodale il controllo sugli apparati più riservati del potere. Vedremo se Minniti farà peggio di Alfano in materia di immigrazione. Tutto è possibile, ma sembra improbabile, quella è gente più strutturata dell’agrigentino in carriera, regalo postumo di Silvio Berlusconi a tutti noi.
Intanto, incombe una drammatica crisi bancaria, di cui giornali e televisione parlano molto meno del giusto, e si capisce perché. La ricchezza globale degli italiani è scesa in un anno di altre decine di miliardi, uno su quattro è a rischio povertà. L’occupazione non cresce, nonostante le contorsioni statistiche e finiti gli effetti di droghe passeggere come il Jobs Act, le famiglie monoreddito fanno ormai parte della grande platea del nuovo proletariato. Monte dei Paschi- un vergogna tutta italiana e molto “sinistra” -, Banca di Vicenza, Carige, persino Unicredit sono in bilico. Probabilmente il disegno è proprio quello di consegnare l’ultimo mazzo di chiavi in mano nostra alla Troika o addirittura al famigerato MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, nome soave, rassicurante dell‘ infernale fondo monetario europeo che dirigerà gli affari nostri con poteri assoluti e pienamente legali. Tutto deve essere legale, ricordava un criminale al suo vice ordinando un assassinio, in un libro di Bertolt Brecht.
Presumibilmente, il governo Gentiloni, o Gentilrenzi, o Napolitoni, nasce proprio per esportare più o meno legalmente l’ultimo pezzo di sovranità nazionale, consegnandola a quei poteri che gli italiani, nonostante tutti i bombardamenti mediatici, hanno imparato a detestare. Un nuovo patto Gentiloni, un secolo dopo; il primo segnò il rientro ufficiale nella politica nazionale dei cattolici, il secondo potrebbe rappresentare l’atto finale di svendita dello Stato e della nazione italiana.
Tutto sommato, ce lo meritiamo: siamo un popolo che ha creduto a tutto ed a tutti. Votammo, quarant’anni fa, al 35 per cento il PCI con Breznev vivo e potente ed i missili sovietici puntati sul Bel Paese. Abbiamo creduto in Di Pietro e in Mani Pulite, la gigantesca operazione che ha spazzato via, con una classe politica, la ricchezza industriale e finanziaria frutto di un’Italia che sapeva lavorare. Abbiamo creduto persino in Berlusconi, salvo abbandonarlo con disprezzo nel 2011, quando l’assalto internazionale nei suoi confronti era l’attacco alle poche iniziative giuste da lui intraprese, come gli accordi energetici con Putin e Gheddafi. Abbiamo puntato tutto anche su Matteo Renzi, il venditore di auto usate passato da Rignano sull’Arno a chiamare per nome Angela Merkel e alle cene di gala con Obama con buffoni di corte al seguito, ed abbiamo perduto, una volta ancora.
Loro non conoscono vergogna, davvero. L’onesto Iago, il banchiere Verdini non voterà la fiducia al governo (forse….) in quanto non ha avuto un ministero per uno dei suoi famigli famelici appartenenti ad una di quelle compagnie di ventura parlamentari che cambiano nome e casacca ad ogni stormir di fronde: Gattamelata e Giovanni dalle Bande Nere. Silvio, tra un ricovero e l’altro in cardiologia, contratta non si sa che cosa, ma certamente nulla che sia nell’interesse degli italiani. La cosiddetta sinistra dorme il sonno di chi ha abbandonato i poveri per patrocinare stranieri, femministe ritardatarie e disturbati sessuali.
Il resto, non pervenuto, a meno di non prendere sul serio i tweet tonitruanti di Salvini e le sue felpe o il sovranismo borgataro di Giorgia Meloni, afflitta purtroppo da un seguito imbarazzante, qualche centurione romano in crisi d’astinenza da potere, l’eterno La Russia detentore del pin della cassa improbabile come rivoluzionario quanto Gentiloni come difensore della Patria. Finiremo in mano a Beppe Grillo, forse moriremo dal ridere, magari sarà meno peggio dell’inedia cui ci condannano valvassori, valvassini e gentiloni al potere.
Non è un bel modo di uscire di scena, tuttavia. E’ la tragedia di un popolo diventato ridicolo da quando ha cessato di indignarsi, di vergognarsi e di amare se stesso. Forse aveva ragione Pannella: fece molto meno danno a Montecitorio Ilona Staller, dimostrando che tra quegli scranni poteva davvero starci chiunque. Tuttavia, il vecchio, trapassato comune senso del pudore non l’ha abolito Cicciolina, ma la compagnia di giro che, in conto terzi e con lauta provvigione, tiene in mano l’Italia da decenni. Sono, legittimamente, non solo legalmente, i rappresentanti non di una nazione, ma di un gregge, un monte dei paschi che non conosce più rossore e vergogna. Fermate l’Italia, in tanti vogliamo scendere.
ROBERTO PECCHIOLI
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