Questa volta parleremo di un filone della narrativa fantastica il cui nome a molti di voi non suonerà familiare, sebbene sia probabile che abbiate letto opere rientranti in questo genere: ucronia. Questo termine è, come è facile comprendere, un calco della parola “utopia”. Come quest’ultima deriva dal greco e, mentre quella designa realtà ideali che non esistono in nessun luogo (ou-topos, “nessun luogo”), questa indica situazioni storiche che si sarebbero potute realizzare, ma di fatto non si sono mai verificate (ou-cronos, “nessun tempo”). In pratica, una serie di tentativi di rispondere alla domanda “cosa sarebbe accaduto se…?
Ucronia o – potremmo dire – storia alternativa, a patto di non con confondere questa espressione che si riferisce a un campo letterario fantastico, con l’opera di quegli storici, appunto “alternativi” che oggi cercano di smuovere e di contestare i dogmi della “storia ufficiale” imposta come ortodossia assai pericolosa da mettere in discussione, negli ultimi settant’anni, e tuttavia come vedremo, anche questo campo puramente immaginativo offre parecchie e inaspettate sorprese.
Una di esse è probabilmente il fatto che la parola e il concetto di ucronia sono nati prima della fantascienza come genere codificato. La parola è stata coniata dal filosofo francese Charles Renouvier (1815 – 1903) che nel 1857 pubblicò il saggio Uchronìe che recava come sottotitolo Tableau hìstorìque apocrypne des rivolutions de l’Empìre romain e dela formatìon d’une Federation européenne, che disegnava i lineamenti di una storia apocrifa d’Europa nella quale a Marco Aurelio non succedeva sul trono imperiale romano Commodo ma Avidio Cassio, e per conseguenza lo stoicismo finiva per prendere il ruolo storico assunto dal cristianesimo, con conseguenze su tutta la storia successiva (en passant si può anche notare che il passaggio dell’impero romano dalle mani del saggio Marco Aurelio a quelle del dissoluto ed inetto figlio Commodo è stato in genere visto dagli storici come un momento critico della storia romana, e di ciò si ha un’eco anche in un film hollywoodiano come Il gladiatore ) .
Il rapporto fra l’ucronia e la fantascienza è piuttosto tortuoso, esso si rifà alla teoria del multiverso o degli “universi paralleli”, secondo la quale il nostro universo, la linea spazio-temporale in cui abbiamo la sorte di vivere, non è che una a lato di infinite altre, e che tutto ciò che non è logicamente impossibile, debba in qualche modo esistere su piani di esistenza diversi dal nostro. A ciò si aggiunge l’ipotesi cara alla fantascienza dei viaggi nel tempo; se fosse possibile tornare indietro nel tempo, la storia che conosciamo potrebbe essere cambiata. Ne è un esempio, fra i diversi possibili, il romanzo di Ward Moore Anniversario fatale, dove l’intervento casuale di un viaggiatore del tempo causa la vittoria sudista nella battaglia di Gettysburg, e ribalta l’esito della guerra civile americana.
Secondo alcuni puristi, l’ucronia non rientrerebbe nella fantascienza, perché quest’ultima dovrebbe trattare di realtà non attuali ma storicamente possibili, mentre l’ucronia per definizione si occupa di ciò che non è accaduto.
Si comprende però che, al di là delle giustificazioni teoriche, quello che veramente conta è il piacere di immaginare una storia e un mondo diversi da quelli che conosciamo.
La storia è ricca di eventi cruciali che se si fossero verificati in maniera diversa da cui si sono svolti, avrebbero portato a un mondo diverso da quello che conosciamo. Le “variazioni sul tema” apparse (forse impropriamente) nelle collane dei romanzi di fantascienza ne costituiscono un elenco piuttosto sorprendente e significativo. Abbiamo ad esempio la vittoria del sud nella guerra civile americana, Anniversario fatale di Ward Moore, poi una serie di romanzi di Orson Scott Card il primo dei quali è Il settimo figlio, dove si immagina che le colonie americane non si siano mai ribellate all’Inghilterra, non si siano formati gli Stati Uniti e le tribù americane native non siano state portate all’estinzione. Ancora la precoce scomparsa (per assassinio) della regina Elisabetta I e per conseguenza la riuscita invasione dell’Inghilterra da parte dell’Invencible armada spagnola, con tutte le conseguenze sulla storia europea che possiamo immaginare in Pavana di Keith Roberts, la vittoria inglese nella guerra dei Cent’Anni in Lord Darcy di Randall Garrett, che ha portato la Francia e l’Inghilterra a diventare un’unica nazione, e addirittura in Roger Two Hawks di Philip Jose Farmer apprendiamo che gli antenati degli Indoeuropei, invece di dirigersi a ovest, si sono diretti verso est dalle loro sedi nell’Asia centrale, hanno oltrepassato lo stretto di Bering e popolato le Americhe invece del Vecchio Mondo.
Tuttavia l’evento a cui gli scrittori che si sono dedicati all’ucronia hanno dedicato la maggiore attenzione, non è nessuno di questi, ma la seconda guerra mondiale, e le ipotesi del mondo che sarebbe potuto nascere da una sua diversa conclusione, e di certo non c’è motivo di stupirsene, perché ben poche volte nella storia, il suo svolgimento è giunto a un punto nodale come negli anni fra il 1939 e il 1945.
Romanzi che sono diventati dei classici che descrivono un mondo in cui la Germania ha vinto la seconda guerra mondiale, sono La svastica sul sole di Philip K. Dick, Weinachtabend di Keith Roberts (lo stesso autore di Pavana, evidentemente si tratta di uno scrittore a suo agio con le tematiche ucroniche) e Fatherland di Robert Harris (quest’ultimo autore non viene dai ranghi della fantascienza, ma è un giallista). Un gioco letterario particolarmente complesso è Il signore della svastica di Norman Spinrad: questo, oltre che il titolo del libro, si immagina sia il titolo di un testo immaginario, un romanzo nel romanzo in cui si annuncia il trionfo della Germania e della razza ariana sotto il segno della svastica, che Spinrad ipotizza scritto in un mondo dove non c’è stata la prima guerra mondiale, da un artista austriaco emigrato negli Stati Uniti, tale Adolf Hitler.
Fra questi, in particolare il romanzo di Dick La svastica sul sole, è considerato il capolavoro del genere ucronico e uno dei pilastri della letteratura fantascientifica. Il titolo originale è The Man in the high Castle (“L’uomo nell’alto castello”, letteralmente), e l’illustrazione che correda questo articolo, dove vediamo una statua della libertà con una fascia con l’aquila del Terzo Reich e che invece di reggere la fiaccola fa il saluto romano, è il manifesto di una recente serie televisiva ispirata a questo romanzo.
Io vorrei ricordare che lo scopo che mi sono prefisso con questa serie di articoli non è una trattazione della narrativa fantastica in generale, ma un suo esame secondo una precisa ottica politica, e da questo punto di vista questo genere di romanzi ci dice piuttosto poco, tranne per il fatto che la possibilità di una conclusione diversa da quel che è storicamente avvenuto, della seconda guerra mondiale, è un’idea che continua a ossessionare, a non lasciare sonni troppo tranquilli a chi continua a ostentare la convinzione di essere stato dalla parte “del bene”, ma per il resto domina quasi sempre la convinzione che la parte uscita soccombente dal secondo conflitto mondiale rappresentasse l’epitome della barbarie e dell’atrocità.
Tuttavia qui occorre fare una differenza fondamentale. In molti settori del fantastico, la posizione degli autori di lingua italiana sembra ridotta a un ruolo perlopiù imitativo della produzione anglosassone, ma proprio nell’ucronia si riconosce nella produzione di casa nostra un “piglio” molto diverso rispetto a quel che ci arriva da oltre oceano.
L’ucronia “made in USA” assolve tutto sommato una funzione consolatoria, gli autori in ultima analisi si propongono di dimostrare che qualsiasi altra serie di avvenimenti si fosse affermata ai grandi snodi storici, dalla scoperta dell’America alla ribellione delle colonie conto la Corona inglese, all’esito della seconda guerra mondiale, avrebbe portato a una situazione peggiore dell’attuale, che in definitiva “viviamo nel migliore dei mondi possibili”, e non ci spetteremmo qualcosa di diverso vista l’imperversante ideologia del “destino manifesto”, e la convinzione tale da essere ai loro occhi un luogo comune, di essere assisi al vertice del potere mondiale.
Il nostro punto di vista come italiani è, cosa del tutto ovvia, radicalmente diverso. Noi non possiamo dimenticare di avere alle spalle una storia completamente diversa e ben più sfortunata che dall’epoca di Roma e del dominio dell’ecumene allora conosciuto, ci ha portato a quindici secoli di assenza dello stato nazionale, di divisioni e dominazioni straniere, poi il nostro risorgimento incompleto e in parte regredito con la sconfitta nella seconda guerra mondiale, fino alla situazione non certo esaltante di oggi. Contrariamente a quella americana, l’ucronia di autore italiano ci spiega che se certe circostanze storiche fossero state diverse, avremmo potuto avere miglior fortuna.
Il dibattito sul colore politico della fantascienza ho travagliato la fantascienza italiana a partire dal 1978, da un articolo del giornalista Remo Guerrini sull’argomento apparso sulla rivista “Robot”, articolo il cui succo si può ridurre a una sorta di divieto a indagare l’universo fantastico-fantascientifico con strumenti critici diversi da quelli del materialismo storico e dialettico, una sorta di scomunica che andava a colpire in maniera particolare Gianfranco De Turris e Sebastiano Fusco (mentre, che io sappia, da parte di critici o autori “di Area” nessuno si è mai sognato di erigere un tabù simmetrico, sarà perché “loro” sono democratici e noi no). Ora, a prescindere da tutte le farneticazioni e i deliri ideologici a cui ciò diede la stura, è chiaro che gli autori hanno diversi orientamenti politici che si riflettono in quello che scrivono.
Da questo punto di vista, io direi che è possibile fare riferimento a una serie di dati molto interessanti: innanzi tutto, gli autori italiani del fantastico e della fantascienza, il più delle volte quando testimoniano un’appartenenza politica, mostrano di essere o “compagni” o appartenenti all’Area. In altre parole, è proprio la fascia “moderata”, numericamente maggioritaria, dalla sinistra renziana ai liberal-conservatori a non essere o a essere pochissimo rappresentata, forse perché le persone che si sentono appagate dal “qui e ora” tendono poco a essere inclinate al fantastico.
In secondo luogo, sembra esistere una vera e propria “suddivisione di competenze”, mentre “a sinistra” si inclina per la fantapolitica “classica”, nell’Area sembra prevalere l’interesse per l’ucronia.
Se noi andiamo a vedere la produzione fantapolitica degli autori “compagni”, magari bravi e apprezzabili quando affrontano altri argomenti, i dati che emergono sono una mancanza di fantasia coniugata con una visione del tutto distorta della realtà: generalmente non si discostano da uno schema “classico”, un qualche genere di golpe, e poi poliziotti e “fascisti” che insieme provvedono a liquidare i “compagni” stessi, il tutto abbondantemente condito di retorica partigiana, ricordi del nonno che combatteva i tedeschi standosene rintanato in montagna. Non si sa veramente se mettersi a ridere o a piangere. Ma costoro dov’erano ai tempi della radicalizzazione dello scontro politico negli anni ’70, forse su Marte? Non è forse vero che tutte le volte che c’è stato un tafferuglio politico erano sempre i camerati a essere arrestati e a portarsi carichi pendenti per anni, anche quando erano aggrediti e si erano difesi da una teppa venti volte superiore? Quanti “compagni” sono caduti vittime di aggressioni come quelle che sono costate la vita a Mikis Mantakas, a Sergio Ramelli, ai ragazzi di via Acca Larenzia, ai fratelli Mattei?
Generalmente, mentre soprattutto dopo la caduta dell’Unione Sovietica sembra proprio che ai “compagni” non sia rimasto altro argomento che la nostra demonizzazione, nella produzione degli autori “nostri” non solo non si trova un tale rimestamento di rancori, ma la prospettiva è molto più ampia e i temi prevalenti sono quelli dell’ucronia oltre che della fantasy.
Qui però entriamo in un campo delicato. Si potrebbero citare diversi romanzi nei quali ad esempio si immagina che non sia avvenuta la caduta dell’impero romano, o l’esito della seconda guerra mondiale non sia stato quello che conosciamo, e in conseguenza di ciò possiamo immaginare un’Italia assurta al rango di potenza planetaria, e quasi sempre gli autori sono politicamente vicini alle nostre posizioni, ma sappiamo anche che a rivelarlo non si fa loro un buon servizio, perché dobbiamo fare i conti col fatto che la “libertà di opinione” garantita dalla democrazia è genuina quanto la mela che fu offerta a Biancaneve.
Sarà più prudente limitarsi a fare riferimento a due antologie nelle quali i temi dell’ucronia sono trattati in misura ricorrente, e i cui curatori non hanno problemi a riconoscersi nell’Area (anche se altrettanto non si può dire di ogni singolo autore e di ogni singolo racconto), Il sonno della ragione non genera mostri del 2002 a cura di Errico Passaro e Se l’Italia del 2005 a cura di Gianfranco De Turris.
L’antologia curata da Errico Passaro ha la forma di un fascicolo che costituisce il n. 6/2002 (novembre/dicembre 2002) della rivista “Percorsi di cultura politica” dell’Editoriale Pantheon. Il titolo dell’antologia fa riferimento alla celeberrima frase di Goya, ed è dettato da una evidente polemica anti – illuminista, e si tratta chiaramente di una pubblicazione “di Area”, uno dei tentativi più scoperti di “dire la nostra” in un campo in cui la sinistra ha battuto la grancassa con gran fragore nonostante la povertà dei contenuti di coloro che si sono lasciati ipnotizzare dall’ideologia marxista.
L’impressione che si ricava, è che il lavoro di Passaro abbia fatto da apripista a quello di De Turris. La cosa curiosa che si scopre confrontando i due testi, è che dei dieci autori presenti ne Il sonno della ragione, sette – compreso il sottoscritto – si ritrovano in Se l’Italia (ovviamente, con altri racconti), più uno, lo stesso De Turris che qui non è presente come autore ma come curatore del volume della Vallecchi, e credo sarebbe difficile citare una prova più evidente della continuità delle due iniziative, a parte il fatto che quest’ultimo volume si è anche inserito in un tentativo di rilancio della un tempo prestigiosa casa editrice fiorentina.
Leggendo queste opere, si ha un’impressione forte di come la storia che abbiamo alle spalle avrebbe potuto imboccare percorsi diversi e per noi più fortunati, dall’evitamento del crollo dell’impero romano, alla rinascita di uno stato nazionale italiano quattro-cinque secoli prima dell’età risorgimentale (grazie a un balzo tecnologico se l’opera di Leonardo Da Vinci fosse stata adeguatamente compresa, ipotizza qualcuno, se l’azione politica di Cesare Borgia avesse avuto successo, suppone qualcun altro, se il regno svevo dell’Italia meridionale non fosse stato disfatto dall’invasione angioina, si presume ancora), se la prima guerra mondiale non fosse stata così lunga e inutilmente distruttiva, se il secondo conflitto avesse avuto un altro esito.
Io credo che mi perdonerete se per una volta parlerò del mio personale contributo a questo genere narrativo, ma è in questo settore che si vede meglio che altrove la continuità fra il Fabio Calabrese autore di narrativa fantastica e il Fabio Calabrese scrittore politico. Te li ricordi quei giorni, il mio racconto presente nell’antologia di Errico Passaro, è forse il più esplicito quanto a concezione politica che abbia mai scritto. La trama della narrazione è molto lineare: in un’Italia di un mondo alternativo dove Aldo Moro scampato all’agguato delle Brigate Rosse ha compiuto il compromesso storico e portato i comunisti al potere, dove non è avvenuta la caduta dell’Unione Sovietica (anche perché in Polonia i comunisti hanno fucilato un certo cardinale Woytila), uno dei “nostri” rifugiatosi all’estero torna in patria per vendicarsi, di fronte all’amara constatazione che la vendetta è l’extrema ratio che rimane quando è impossibile ottenere giustizia.
Un’idea che ho sempre trovato ricca d’interesse: Roma, lo stato romano avrebbe mancato la sua missione sacra di costituire un imperium mondiale, ma sarebbe stata condannata al disfacimento dopo un millennio di dominio, perché le sue origini sono contaminate dalla maledizione del fratricidio. Cosa di più stimolante che immaginare una storia alternativa in cui questo delitto non sia avvenuto e l’impero romano sia nei secoli non solo sopravvissuto ma si sia trasformato in uno stato planetario? Scrissi un racconto sull’argomento, Il tempo di Giano che nel 1998 fu tra i finalisti del Premio “Città di San Marino” e l’anno dopo fu pubblicato nell’antologia Le ali dell’impero dell’editrice “Il cerchio” di Rimini. Qualche anno più tardi, mi consultò Gianfranco De Turris che stava allestendo l’antologia per conto della Vallecchi, con il programma di presentare una “storia alternativa dell’Italia da Romolo a Berlusconi”. Il tempo di Giano, imperniato sulla vicenda di Romolo e Remo, avrebbe fatto al caso, ma c’era un problema: nell’antologia doveva comparire solo materiale inedito. Scrissi un secondo racconto, Primavera sacra, basato sulla stessa idea ma con una trama diversa, ed è proprio il testo che apre l’antologia della Vallecchi. Nel 2016, le Edizioni Scudo di Bologna mi hanno pubblicato un’antologia di heroic fantasy, Primavera sacra e altri incantesimi, dove questo è precisamente il racconto “eponimo” (a spaccare il capello in quattro, non sarebbe heroic fantasy, ma certamente è vicino a quest’ultimo genere che non alla fantascienza con robot e astronavi).
Un’altra incursione dello stesso genere nel dominio dell’ucronia la feci con il racconto Il risveglio della spada, racconto che nel 2002 ottenne un buon piazzamento al Premio Silmaril della Società Tolkieniana Italiana, classificandosi al terzo posto, e poi nel 2012 diede il nome all’omonima antologia pubblicatami anch’essa dalle Edizioni Scudo. La storia è questa: un “viaggiatore” torna indietro nel tempo per far fallire la rivoluzione inglese del 1640, prima e punto d’inizio di tutte le rivoluzioni che hanno progressivamente distrutto l’ordine tradizionale europeo (La spada che alla fine si risveglia, altra non è che la mitica Excalibur). Questo è un piccolo stralcio.
“Vi sono degli uomini animati da una moralità così rigida da non arretrare di fronte a nessun delitto. Vogliono la libertà, e per averla non si faranno scrupolo a toglierla a tutti gli altri. Vogliono rimodellare la convivenza umana secondo le loro idee e i loro gusti, e per farlo sono pronti a spazzare via chiunque gli si opponga, distruggeranno la vita di milioni di uomini, trasformeranno la storia in un fiume di sangue; oggi si chiamano covenanter, domani si chiameranno giacobini, e poi ancora bolscevichi. Vostra maestà è incappata in un mostro, ma il momento migliore per schiacciare un serpente è quando è ancora nell’uovo, ora!”
Direi che è difficile essere più espliciti di così.