10 Ottobre 2024
Filosofia

La Filosofia e i suoi equivoci – Antonio Filippini

Alla fine anche certi filosofi hanno dovuto ammettere la bontà di quel principio che afferma che: “Un qualsiasi principio o potere creativo permane sempre trascendente e incondizionato rispetto a ciò che crea o manifesta, pena cessare di essere “principio” e di essere “creativo” “. Solo che non si è voluto trarne le logiche conclusioni finali, fermandosi all’Essere.

L’Ente è certamente più necessitato dell’Essere, ma lo stesso Essere, come prima determinazione, non è affatto immune da necessità, né è al capolinea, né è il principio primo, è solo al vertice della Realtà Manifesta, al di là della quale c’è la Realtà Non Manifesta e il suo conseguente Non Essere. Queste ultime due formulazioni negative hanno creato enorme confusione nei filosofi, che interpretano la Realtà Non Manifesta come una realtà virtuale e fittizia, e il Non Essere sarebbe il Nulla che si contrappone al Tutto-Essere. Si è anche visto il non essere della natura contrapposto all’essere dell’io, riducendo sempre tutto o all’Io o all’Essere, che sono i tipici limiti estremi del pensiero filosofico, oltre i quali il filosofo non sa né può andare.

La metafisica tradizionale è ricorsa a formulazioni negative perché definire significa limitare e delimitare, perciò si è trovato disdicevole porre dei limiti a ciò che per sua stessa natura è di là da ogni limite, poiché Incondizionato e Infinito. Il Non Essere ci dice semplicemente che si tratta di una valenza che è di là dallo stesso Essere e quindi non è soggetta alle sue stesse necessità; invece di definire ciò che non può essere definito, si definiscono i limiti a cui quel principio non è soggetto.

Per il Kremmerz ogni Ente è un’Idea e ogni Idea è un Ente; l’Ente è per sua stessa natura necessitato, quindi non si capisce come possa esistere un’Idea assoluta che, come tale, implicherebbe l’assenza di necessità, oltre all’assurdo logico che possa esistere un’Idea senza un soggetto che la elabori, che per questo deve essere superiore a quella, altrimenti come potrebbe elaborarla? Lo stesso mito della filosofia idealista è piuttosto fasullo, poiché soggettivo. Per me esiste solo ciò che sono in grado di comprendere, ciò che non sono in grado di comprendere, è inesistente. In questo modo la propria condizione esistenziale e il proprio grado di comprensione del momento sono stati trasformati in punti di riferimento assoluti, mentre essi sono relativi e mutevoli. La formulazione doveva essere più impersonale: è suscettibile di esistere (non obbligatorio!) tutto quanto può essere pensato, (indipendentemente da chi è che pensa); la cosa che esiste in sé è perfettamente comprensibile all’Essere che è (poiché è una sua banale proiezione analogica diretta); là dove il filosofo prende come riferimento il mentale, ignorando che l’Essere comprende anche il mentale ma la sua radice più profonda è ben oltre e ben al di là del mentale e dellostesso psichico.

L’intera filosofia soffre dei limiti, derivanti dal suo procedere logico e razionale basato sul pensiero formale, e su elaborazioni concettuali e sistemiche, che fanno si che il suo campo d’azione sia lo psichico, quando non il semplice mentale, al di là del quale niente è dato come esistente. Lo “Spirito” citato da questo o quell’autore, è solo una bella parola, quando non un pregiudizio, che dimostra che costoro non hanno la benché minima idea di che cosa sia questo “spirito”. Così questi filosofi finiscono per dare ragione al Guenon, che accusava il pensiero filosofico e anche religioso occidentale di essersi ridotto al dualismo corpo-anima, con il conseguente misconoscimento della vera natura della metafisica. Il pregiudizio “metafisico” dei filosofi è decisamente duro a morire, lo stesso Di Vona, trattando del Guenon, fa degli evidenti sforzi per far rientrare il suo pensiero nella semplice filosofia, sia pure di tipo “scolastico”. Si continua a credere che la metafisica sia una semplice corrente di pensiero della filosofia, mentre è tutto il contrario: è l’intera filosofia che è una semplice branca secondaria della metafisica, la quale comincia dove finisce la filosofia, ovvio quindi che per la filosofia, la metafisica, quella vera, è inesistente!

 

La differenza tra il pensiero filosofico e il pensiero metafisico secondo il Guenon

(passi tratti dal libro: “Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, cap. ottavo)

“…. Non è un caso che la nascita di tali teorie morali si verifichi soprattutto in epoche di decadenza intellettuale, poiché questa è correlativa all’espansione del sentimentalismo, e perché dandosi così a speculazioni illusorie si conserva per lo meno l’apparenza del pensiero, che manca.

Un fenomeno del genere si produsse specialmente presso i greci, quando, con Aristotele, la loro intellettualità ebbe dato tutto quello che poteva dare: poi tutto fu subordinato al punto di vista morale ….. Lo stesso carattere si riscontra nell’epoca attuale, in cui il “moralismo” diventa invadente, ma questa volta a causa del processo degenerativo del pensiero religioso, come ben dimostra il caso del Protestantesimo; ed è naturale che popoli dalla mentalità esclusivamente pratica, la cui civiltà è soltanto materiale, cerchino di soddisfare le loro aspirazioni sentimentali con il falso misticismo, che ha una delle sue espressioni nella morale filosofica.”

“Oltre i vari rami ben definiti della filosofia, esistono nel pensiero filosofico elementi piuttosto mal definiti, il cui legame non è costituito da nessuna caratteristica propria della loro natura, ma soltanto dal fatto di essere raggruppati in una stessa concezione sistematica. Per questa ragione è opportuno distinguere la metafisica anche dai sistemi filosofici, dopo averla separata dalle differenti scienze chiamate filosofiche; una delle ragioni più comuni dell’esistenza di tali sistemi filosofici, è la pretesa all’originalità intellettuale; tale individualismo è evidentemente contrario allo spirito tradizionale e incompatibile con qualsiasi concezione di reale valore metafisico. La metafisica pura esclude il sistema in modo essenziale, perché qualsiasi sistema ha le caratteristiche di una concezione chiusa e limitata, questo è incompatibile con l’universalità della metafisica; inoltre, il sistema filosofico è sempre il sistema di qualcuno, è una costruzione il cui valore è esclusivamente individuale. Per di più tutti i sistemi sono necessariamente fondati su premesse speciali e relative, ed essi sono lo sviluppo di semplici ipotesi, mentre la metafisica, che è caratterizzata da certezza assoluta, non ammette nulla di ipotetico. I sistemi possono certo contenere qualche verità relativa a qualche determinato punto, ma è in quanto sistemi che essi sono illegittimi, ed è alla forma sistematica in sé che è imputabile la radicale falsità di tali concezioni prese nel loro insieme.”

A ragione Leibnitz diceva che “ogni sistema è vero per quel che afferma e falso per ciò che nega”, che vale a dire che esso è tanto più falso per quanto è maggiormente ristretto o maggiormente sistematico, poiché tale concezione nega inevitabilmente ciò che è incapace di contenere; però questo può essere esteso al Leibnitz stesso, nella misura in cui le sue concezioni si presentano come sistema. Tutto quanto nel Leibnitz ha un contenuto metafisico, è in realtà tratto dalla scolastica e spesso snaturato e mal compreso. Quanto alla verità di ciò che un sistema afferma, si deve intendere solamente che un sistema è vero nella misura in cui resta aperto su possibilità meno limitate, ma porta con sé la condanna del sistema in quanto tale.La metafisica, al di fuori e al di là di ogni relatività, le quali appartengono tutte all’ordine individuale, sfugge con ciò stesso ad ogni tentativo di rinchiuderla in un sistema, così come non si lascia rinchiudere in nessuna formula. La pseudo-metafisica è tutto quanto nei sistemi filosofici si presenta con pretese metafisiche completamente ingiustificate, a causa della stessa forma sistematica, la quale basta da sola a privare le considerazioni di questo genere di ogni valore reale.

Alcuni dei problemi che il pensiero filosofico si pone appaiono privi, non soltanto d’importanza, ma addirittura di ogni significato; si tratta di tutta una congerie di questioni che si reggono su equivoci o su confusioni di angoli visuali, questioni che devono la loro esistenza al solo fatto di essere state mal poste e che non si aveva alcuna ragione di porsi; in molti casi basterebbe mettere a fuoco l’enunciato perché tali questioni scomparissero, ma la filosofia ha, al contrario, il massimo interesse a conservarle perché essa è soprattutto di equivoci che vive.”

“Esistono anche altre questioni riferentesi ai più diversi ordini d’idee che si potrebbe aver ragione di porsi, ma la cui enunciazione esatta comporterebbe la soluzione pressoché immediata, essendo la loro difficoltà molto più verbale che reale; anche se fra queste questioni ve n’è qualcuna la cui natura sarebbe tale da poterle conferire un certo valore metafisico, esso va perduto interamente con la sua inclusione in un sistema, poiché una questione di natura metafisica deve essere riconosciuta tale e trattata e presa in esame in modo metafisico.Una stessa questione può essere trattata tanto da un angolo visuale metafisico, quanto da qualunque altro punto di vista; le considerazioni che la maggior parte dei filosofi hanno creduto bene di fare intorno a ogni sorta di cose, possono essere più o meno interessanti in sé, ma non hanno niente di metafisico.”

Ha carattere veramente metafisico soltanto ciò che è assolutamente stabile, permanente, indipendente da ogni contingenza, particolarmente da quelle storiche; è metafisico ciò che non muta, ed è l’universalità propria della metafisica a originare la sua unità essenziale, che esclude la molteplicità dei sistemi filosofici così come esclude quelli dei dogmi religiosi ed è la causa della sua immutabilità profonda.La metafisica non ha alcun rapporto con tutte quelle concezioni che, come l’idealismo, il panteismo, lo spiritualismo, il materialismo, sono segnate dal carattere sistematico del pensiero filosofico occidentale; tant’è vero che una delle manie più comuni agli orientalisti è proprio di volere a ogni costo far rientrare i! pensiero orientale in questi schemi ristretti.”

 

La metafisica secondo Raphael (tratto da “essenza e scopo dello Yoga”)

“Si può notare che quella filosofia (soprattutto moderna e oc­cidentale) che contesta all’uomo la capacità di scoprire l’Asso­luto, non fa che trasferire nel mondo dell’esperienza sensibile il carattere di assolutezza. Il metafisico va per la strada diritta della consapevolezza in­tegrale e della reintegrazione conoscitiva nell’Essere assoluto, da cui tutto promana ed emana. Più che interessarsi del mondo fe­nomenico e strutturale, più che guardare come è fatto l'”oggetto-universo”, le sue leggi e i suoi fenomeni magici e deformanti, più che conquistare una potenza formale, egli si dirige all’Essere Assoluto aprincipiale, o Non-Essere, all’indifferenziato, all’inef­fabile, all’inconoscibile (per i sensi). La metafisica si interessa di ciò che è “al di là della fisi­ca”, della natura, delle forme grossolane, sottili e causali, del sostanziale, dell’Uno stesso principiale, del Dio-persona; di là dall’oggettivo e dal soggettivo, di là da ogni possibile pola­rità. Ciò implica che la metafisica tratta dell’Assoluto, della costante, dell’infinito, del Non-Essere in quanto puro e unico Essere, dell’incondizionato, dell’Uno-senza-secondo (advaita). La metafisica, così, va al di là del fisico, dello psichico e del­lo spirituale. Tutto ciò che ha attinenza con l’individuale, e quin­di con il generale, si riferisce alla scienza; tutto ciò che ha at­tinenza con l’universale, con l’unità trascendentale, con la tota­lità, si riferisce alla metafisica. Se la metafisica è ricerca dell’Assoluto o della Realtà sen­za secondo, allora non può essere schematizzata, concettualizzata o fatta rientrare in certi quadri mentali individuali. L’As­soluto, o la Realtà suprema, non può essere circoscritto, rappre­sentato o portato sul piano di un relativismo empirico, né può costituire proprietà esclusiva di un individuo o di un popolo.”

“Occorre un certo tipo d’intendere, non di ordine sensoriale e considerare che ciò che è universale, assoluto, aformale non può essere trasposto in una prospettiva dialettica particolare, né in una concettualità razionale dogmatica. Il sentiero metafisico si pone sul piano dell’intelligenza informale dal quale la sfera emozionale è completamente esclusa. Questo tipo di yoga è quello del puro intuire le cose o apparenze, va al di là di ogni fenomenologia, di ogni ragione comune, di ogni tipo di religione, di morale sociale mutevole e dì esperienze sensoriali, essendo tutte queste cose frutto di un conoscibile mediato. Le verità metafisiche non possono essere racchiuse in schemi, concetti o costrutti mentali analitici, perché trascendono ogni esperienza fisica.”

 

La causa e l’effetto. I filosofi parlano spesso di “causa prima”, affermano la necessità di una causa iniziale, questo è ovvio, ma non si rendono conto che questa causa sarà sì prima, ma però è una causa e come tale è un “Principio secondo”, commettendo così l’errore di mettere all’apice di tutto un Principio secondo. La vera metafisica, come pure l’esoterismo e in parte anche la teologia, trattano solo del “Principio primo” (ciò che sta oltre l’Essere e il determinato), mentre il campo d’azione della filosofia è costituito dai “Principi secondi”, quindi la vera metafisica non può essere contenuta nella filosofia. L’Essere, L’Anima, l’Uomo, lo Psichico, la Causa, l’Attivo, il Movimento, l’Energia, non possono essere messi sul trono perché sono tutti Principi secondi.

Ciò che si è definito “rigido determinismo cabalistico” che caratterizza una certa correnteesoterica di pensiero, è appunto la conseguenza dell’aver messo sul trono un “Principio secondo” che come tale è soggetto a necessità, da qui la costante esaltazione della necessità fatta da certi autori, come se questa fosse un qualcosa di positivo, mentre la necessità è una costrizione, un obbligo. Perché un Principio primo dovrebbe essere soggetto a necessità? Difatti non può, è solo un Principio secondo che è soggetto a necessità! Si è già visto che la causa del proprio riflesso nello specchio non è il “ciò che si è”, ma solamente l’azione del collocarsi davanti allo specchio, l’Essere è comunque, indipendentemente che si specchi o no. Invece un certo magismo alla Kremmerz, o un certo filosofismo contemporaneo, o un certo assolutismo alla Hegel, sostiene che l’Essere può “essere” solo specchiandosi, cioè producendo un riflesso, manifestandosi (in un certo ordine di realtà), ma manifestare equivale ad apparire, ciò che appare non è, è solo un’apparenza dell’Essere, un suo semplice vestito o simbolo, e questo è appunto il senso del riflesso, così è definito reale solo tutto quanto è manifestato, incarnato, materializzato, percepito dai sensi ecc. e tutto sfocia in un fatale immanentismo.

Negare il rapporto conseguenziale di causa ed effetto è un’assurdità logica, perché una causa che non producesse un effetto non si potrebbe nemmeno chiamare così, è intimamente connaturato alla causa il produrre un effetto. Si può solo dire che una causa non è nata da sola, né è in grado di autopartorirsi, è stata prodotta da un Principio primo che come tale ha la libertà di agire o di non agire, di produrre una causa o di non produrla. Qui si vede che questo “Principio primo” usufruisce di una libertà che al Principio secondo non è concessa.

 

Certe correnti sataniche moderne negano appunto il rapporto conseguenziale di causa ed effetto, nel senso che se il “bene” crede in tale rapporto e si identifica con esso, allora il “male” sarà tutto il contrario. Questo negare il rapporto di causa ed effetto ha fatali conseguenze pratiche, anche di tipo politico, difatti coloro che sono caratterizzati da simile filosofia si ritengono autorizzati a proclamare liberamente il falso e l’errore, nonché ad abbandonarsi a tutta una serie di atrocità e di ignominie senza per questo doverne pagare le conseguenze, pretendono di farlo in via del tutto gratuita e senza alcuna responsabilità da parte loro. Vedendo che lì per lì possono permettersi di tutto senza che intervenga un Dio giudice severo a punirli, credono che non ci sia alcuna giustizia, cosmica o divina che sia. Ciò che in realtà è accaduto è molto più semplice da comprendere: gli errori, essendo stati commessi nel tempo, hanno bisogno del tempo per manifestare i loro effetti; quando poi il tempo sgrana il suo rosario, se ne vedono delle belle: imperi che tramontano, civiltà che scompaiono, Ere che finiscono e pianeti che saltano! Un altro fattore ignorato è la “soluzione di continuità”. Finché la causa permane nel “senza soluzione di continuità”, certi effetti non possono essere distaccati e materializzati, ma lo saranno senz’altro se tale causa subisce uno “stacco”, una “soluzione di continuità”. Appunto per questo la “fine dei tempi” è un evento molto temuto. La “fine dei tempi” è un evento che può riguardare un’Era geologica o storica, un ciclo di civiltà, un periodo storico o perfino un semplice ciclo ideologico che subisce uno “stacco”, e allora il dinamismo o il ciclo uscente dovrà subire il “giudizio finale”, nel senso che dovrà subire su di sé le conseguenze del suo agire e scontrarsi con le reattività antagoniste suscitate col suo agire maldestro e erroneo. Con questo “stacco” qualcosa si è rovesciato e così facendo ha rispedito al mittente il “pacco” delle sue azioni; dovrebbe essere superfluo aggiungere che il nascere e il morire sono due “stacchi” che per questo renderanno operativi certi effetti maturati.

 

La mentalità permissiva e disinibita: un attacco diretto alla consapevolezza umana.

Gli esseri umani vanno ormai suddivisi in due categorie ben precise: da una parte ci siamo noi, che affermiamo che il pensare, il parlare, l’agire, sono cause che per questo produrranno degli effetti, perciò si deve essere sempre massimamente consapevoli e responsabili dei propri pensieri, delle proprie parole e delle proprie azioni. Sul fronte opposto ci sono loro, i permissivi e i disinibiti, nella loro doppia veste liberal borghese e social comunista, i quali sostengono che il pensare, il parlare e l’agire non sono cause e perciò non produrranno alcun effetto, quindi si ritengono liberi di pensare a vanvera, di parlare a vanvera e di agire a vanvera, tanto chi se ne frega! Dal loro punto di vista hanno perfino ragione, difatti se il mio pensare o parlare o agire non è causa e perciò non produrrà alcun effetto, per quale motivo io dovrei fare dei sacrifici, impormi una disciplina e un contegno, controllare ed essere consapevole dei miei pensieri, delle mie parole e delle mie azioni, tutto questo diventa cosa priva di senso, si va fatalmente incontro allo sbracamento completo e alla deresponsabilizzazione totale, si tratta di un attacco diretto alla consapevolezza umana, su simili basi essa non può sopravvivere a lungo, poiché consapevolezza e responsabilità marciano sempre appaiate e se si attacca la responsabilità, anche la consapevolezza verrà meno. Costoro pensano che si possa essere coscienti gratis e permanere consapevoli senza alcun sforzo, che tali fattori siano stati acquisiti una volta per tutte; se invece si pensa che noi siamo esseri decaduti, nel senso che non siamo padroni della nostra essenza prima, né siamo ancora riusciti a traslare la nostra coscienza in tale essenza, allora la nostra consapevolezza poggia in realtà su travi piuttosto ballerine, non è il caso di mettersi a fare i “disinibiti”, pena la propria sopravvivenza come esseri coscienti e consapevoli.

Il “disinibimento sessuale” è una mascheratura ipocrita, il vero disinibimento che interessa a costoro è quello esistenziale, vale a dire, la negazione del rapporto di causa ed effetto, cioè la negazione della consapevolezza e della responsabilità umane.

Domanda legittima: se i direttori di giornali e di telegiornali e il loro codazzo di utili idioti credessero davvero nel rapporto di causa ed effetto e quindi nelle conseguenze del loro agire, potrebbero davvero continuare a comportarsi come si comportano? Ciò che è implicito e sottinteso nel loro modo d’agire è appunto l’irresponsabilità delle loro azioni, la negazione del rapporto di causa ed effetto. Su di loro incombe un’alternativa poco piacevole: o ingenui e ignoranti e quindi irresponsabili, o perfettamente coscienti delle conseguenze delle loro azioni, e allora criminali! Nell’un caso come nell’altro andrebbero allontanati dal posto che occupano e da qualsiasi altro posto che richieda responsabilità, verso gli altri e anche verso se stessi.

 

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