Sull’ultimo numero del mensile “Storia in Rete”, rivista spesso controcorrente e attenta ai temi dell’identità nazionale italiana, è presente uno “speciale” sul dramma delle Foibe e dai sempre più insistenti tentativi da sinistra – purtroppo talvolta con l’aiuto istituzionale e accademico – di “giustificare” o addirittura negare questa nostra tragedia tardivamente riconosciuta. Ringraziamo quindi Emanuele Mastrangelo e lo staff di “Storia in Rete” per l’autorizzazione a pubblicare questo stralcio dell’articolo di Lorenzo Salimbeni, una vera e propria serie di FAQ delle falsità negazioniste delle “solite note” Cernigoi e Kersevan e accoliti, e come smentirle.
Andrea Lombardi
GIU’ LE MANI DALLE FOIBE
di Lorenzo Salimbeni
Torna il revisionismo giustificazionista del solito gruppetto di «vigilantes» dell’antifascismo.
L’obbiettivo è sempre quello di sminuire il dramma delle Foibe e dell’Esodo. Gli argomenti sono noti: la repressione fascista, l’arroganza del nazionalismo italiano e poi i morti, pochi, per lo più fascisti e in numero simile a quanto registrato in altre parti. In fondo si era alla II della Seconda guerra mondiale… Anche i metodi non sono nuovi: attacchi ad una fantomatica propaganda «neofascista», vecchi testi e dati ormai superati ma spacciati come le Tavole della Legge, contestualizzazioni «decontestualizzate». Il tutto condito da astio anti-italiano, un silenzio tombale sulle atrocità titine, un fastidio snob, molto ideologico e molto alla moda per tutto quanto è Patria. Ecco una replica, punto su punto, alle tesi di chi vuole cancellare uno dei grandi drammi italiani del Novecento.
[…]
Quando e perché
Sostiene la Bourbaki [nome di un collettivo negazionista antifa molto attivo sulla questione Foibe e crimini partigiani]: Nella presadi controllo del territorio da partedella popolazione locale (sia slovena e croata che italiana), ci furono
Ricondurre la prima ondata di uccisioni nelle foibe istriane (avvenute contemporaneamente alle fucilazioni di italiani consumatesi a Spalatoe in altre località della Dalmazia) adun episodio di «jacquerie» è una tesiormai superata: l’opera postuma di Elio Apih «Le Foibe giuliane» (Leg,Gorizia 2010, a cura di RobertoSpazzali) ha corroborato la chiavedi lettura fornita a suo tempo dal professor Arnaldo Mauri e cioè chesi è trattato dell’applicazione di una metodologia repressiva sovietica già sperimentata a Katyn a danno degli ufficiali polacchi fatti prigionieri nella campagna di settembre 1939, consistente nell’eliminazione delle figure di riferimento di una comunità nazionale e nell’azzeramento della sua classe dirigente,in maniera tale da lasciare i popoli in balia dei nuovi regimi comunisti, sovente privi di un vasto consenso. Inoltre nella Venezia Giuliagli opposti nazionalismi italianoe slavo erano stati fomentati dalle autorità asburgiche nella fase finale dell’impero Austro-Ungarico secondo una subdola logica del divideet impera. Le mire espansionistiche slovene e croate nei confrontidi quelle località della costa adriatica-orientale in cui la maggioranza della popolazione era italiana affondavano perciò le radici nellaseconda metà dell’Ottocento etrovarono realizzazione non con il progetto di riforma trialista (cioè il progetto della creazione di un regno sloveno-croato all’interno dell’Impero asburgico) della compagine austro-ungarica a beneficio dellacomponente slava, bensì dietro la bandiera rossa che l’esercito di Titoostentava. Gli italiani che furonopartecipi delle violenze a danno dei propri connazionali confermano ilcarattere di guerra civile che la Resistenza assunse ed in tale contesto avevano anteposto l’adesione ideologica al Comunismo all’appartenenza nazionale, laddove invece i loro «compagni» jugoslavi strumentalizzarono il Comunismo con finalità nazionaliste. Il nazionalcomunismo titoista incarnò, infatti, un progettòimperialista degli slavi del sud latenteda tempo e che rivendicava territori in cui vi erano presenze slave (Carinzia austriaca, Friuli e Venezia-Giulia italiane) nonché la trasformazione degli Stati confinanti balcanici (Albania, Bulgaria e Grecia)in satelliti di Belgrado, andando così a ledere la supremazia sovietica nell’Europa sud-orientale. In questo progetto espansionista affondano le radici della rottura Tito-Stalin del 1948, ma le mire egemoniche titine così come gran parte delle epurazioni compiute a guerra finita rimasero sconosciute grazie alla spregiudicata politica estera del dittatore croatoche di fatto, pur militando nelle logiche della Guerra Fredda fra i cosiddetti «Paesi Non Allineati», si rivelò un prezioso interlocutore per il blocco occidentale, che quindi silenziò qualunque ricerca e denuncia inerentele sue vessazioni.
[…]
Quanti
Sostiene la Bourbaki: Ha scritto Internazionale il 10 febbraio 2016 «Secondo alcune fonti le vittime furonotra le quattromila e le seimila,per altre diecimila: ex fascisti, collaborazionisti e repubblichini, ma anche partigiani che non accettavano l’invasione jugoslava e cittadini qualunque»». Raffrontando queste cifre con il numero delle vittime delleviolenze di fine guerra in altre zoned’Italia, si nota come il numero dellevittime non si discosti troppo da quello riscontrato altrove in Italia: il fenomenosi presenta dunque molto di piùcome una resa dei conti di fine guerrache come una violenza mirata controgli italiani in quanto tali.
Secondo Giorgio Pisanò, certamente la fonte più dura e schierata sulle violenze dei partigiani, la Lombardia, che nel 1945 aveva circa sei milioni d’abitanti, a guerra finitavide «rese dei conti» per complessiviottomila morti. Altrettanti inPiemonte che aveva tre milioni emezzo d’abitanti. Cinquemila mortisi ebbero in Veneto, che aveva pocomeno di quattro milioni d’abitanti.Dunque fra uno ogni 450 persone e uno su 850. La Venezia Giulia avevacirca un milione e centomila abitantie solo nel 1945 vide almeno ottomilamorti fra infoibati e scomparsi neilager jugoslavi. Uno ogni 140 persone.Una virulenza da tre a sei voltemaggiore che in altre regioni dell’AltaItalia coinvolte nella Guerra Civilee nelle «rese dei conti» a conflittoterminato. […] Comunque che a guerra finita anche nel resto d’Italia vi siano stati episodidi giustizia sommaria e rese deiconti, non sminuisce certo l’impattodella tragedia rappresentata da foibe,deportazioni e campi di concentramentojugoslavi, anzi, dimostra lanecessità di approfondimento, analisie raccolta di testimonianze rilasciateda superstiti o loro congiunti.
Il giustificazionismo che interpreta le foibe come risposta a violenze italiane (gran parte delle quali, perquanto odiose, attuate in tempodi conflitto ed applicando le leggi di guerra all’epoca vigenti ed alle quali si attenevano tutte le potenze belligeranti nelle forme di rappresaglie,c ampi di internamento e usodi ostaggi) non ha ragion d’essere in una comunità internazionale che sivorrebbe regolamentata dal diritto e dal senso di giustizia come quellache i vincitori della Seconda guerra mondiale intendevano istituire sulle macerie delle dittature sconfitte. Il carattere eccezionale delle stragi di italiani e di oppositori slavi del progetto totalitario di Tito risiede proprio nella coltre di silenzio che le ha avvolte per decenni, tanto darendere necessaria l’istituzione diuna Giornata del Ricordo dedicataa queste vittime.
La rivista è disponibile in cartaceo nelle migliori edicole della vostra città, o in .pdf qui: http://www.storiainrete.com/11677/edicola/storia-in-rete-n-136-febbraio-2017/
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