Come voi sapete, sulle pagine di “Ereticamente” ho dedicato una serie di articoli (al momento sono 23) a smentire la leggenda della “luce da oriente”, della dipendenza della civiltà Europea da apporti dall’oriente sia vicino, medio o remoto, leggenda in cui sembrano pascersi i malati di esotismo. Questo tuttavia non significa che si debba accettare l’idea di un Occidente contrapposto all’Oriente, di una civiltà occidentale euro-americana. La polarità, a mio modo di vedere, non è fra Oriente e Occidente, ma fra Europa e non-Europa.
Io penso che non avrete difficoltà a ricordare il fatto che in questa serie di articoli ho più di una volta citato le aberrazioni dell’ “estremo occidente” americano come un sottoprodotto, un riflesso di quello stesso orientalismo che sottoponevo ad analisi critica, citando le parole dello scrittore di fantascienza ebreo-russo-americano Isaac Asimov secondo cui:
“Quella che chiamiamo civiltà occidentale è interamente fondata su di un vecchio libro orientale, la bibbia”.
Un tempo, fino a poco prima della metà del XX secolo, sotto questo termine, “Occidente”, si comprendevano l’Europa e le sue propaggini d’oltre Oceano, Americhe e Oceania, ma dalla conclusione della seconda guerra mondiale, esso ha cambiato completamente di segno, perché nella koinè “occidentale” euro-americana gli Stati Uniti sono divenuti l’elemento dominante con un’Europa che procede a rimorchio e di fatto diventata una serie di protettorati e proconsolati statunitensi. E’ una situazione che possiamo ritenere accettabile soprattutto oggi che non incombono più su di noi gli spettri del comunismo sovietico e della Guerra Fredda?
In un articolo pubblicato nel 2002 sulla rivista “Iter” dell’Enciclopedia Treccani e intitolato, appunto, Oriente e occidente, lo scrittore medievalista Franco Cardini scriveva:
“Se la koiné dialektos dell’Occidente è l’American way of life, è pensabile che l’Europa accetti totalmente questa realtà, collaborando a un processo di omologazione che in passato l’ha vista protagonista ma che oggi assiste a una sua ampia ricettività passiva? Oppure è possibile che essa si ponga il problema di una specificità da recuperare e da riaffermare, quindi un’identità da ridefinire, forse da ricreare?”
Di questo testo, se ricordate, vi ho già parlato altre volte, evidenziando che se la pars construens, la soluzione proposta, è estremamente discutibile, la pars destruens, l’analisi del problema è assolutamente lucida e condivisibile.
Cardini a mio parere evidenzia un punto di estrema importanza: quella che gli Stati Uniti esercitano sull’Europa non è una mera egemonia politica, ma un processo di omologazione politica, economica, culturale il cui risultato finale non può essere altro che lo snaturamento della cultura e dell’identità europea.
Noi dobbiamo sempre ricordare che “la cultura” che domina oltreoceano non è un prolungamento o una filiazione sia pure distorta e mutila della cultura europea, ma la sua negazione.
Riguardo a ciò, non è possibile non menzionare lo stupendo articolo di Sergio Gozzoli pubblicato su “L’uomo libero” a cui mi sono più volte richiamato:
“E’ proprio ciò che apparentemente unisce i due mondi, quel che in realtà più a fondo li divide: poiché ciò che l’America ricevette dall’Europa negli ultimi tre secoli, facendolo proprio e fondandovi sopra la sua filosofia di vita, è esattamente tutto quello che, pur nato in Europa, l’Europa rifiutava e rigettava. Quello che doveva costituire l’anima stessa del «mondo americano», era proprio tutto ciò che la vecchia Europa «scartava», per una radicale inconciliabilità con la essenza profonda della sua anima civile e storica.
Dal settarismo puritano e quacchero allo spirito capitalistico e mercantilistico, dal «mondo dei Lumi» alla massoneria, dall’ottimismo razionalistico all’odio per il Trono e per l’Altare, dall’individualismo al cosmopolitismo, dalle prime banche internazionali ai fermenti rivoluzionari borghesi, si trattava di idee, tensioni e movimenti che erano sì nati in Europa, ma ai quali l’Europa poteva opporre — allora e ancora per secoli — forze ben più consistenti: i valori di una civiltà legata al sangue e alla terra, il vigore delle varie culture popolari, l’autorità morale delle Chiese, il tradizionalismo gerarchico, lo spirito ghibellino e la residua vitalità della nobiltà militare, l’istinto di conservazione del mondo contadino, il senso nazionale, gli antichi miti eroici, l’epopea cavalleresca, i monumenti letterari e artistici della Classicità, del Medioevo, del Rinascimento.
Non si può comprendere appieno la storia europea e mondiale del nostro secolo — con la apparizione dei movimenti fascisti e con gli interventi americani nei due grandi conflitti — se non ci si rende ben conto di questo: calvinismo, capitalismo bancario e industriale, razionalismo filosofico e illuminismo politico, Massoneria, Rivoluzione borghese, pur dopo grossi successi iniziali, furono sostanzialmente sconfitti — nel loro sogno di conquista totale dell’Europa — nel corso dei secoli XVII, XVIII e XIX. E se poterono continuare a coltivare questo loro sogno di vittoria finale, fu soltanto trasmigrando oltre Oceano”.
Nel suo testo esemplare, Gozzoli ha forse peccato di ottimismo, nel senso che “il fossato” rappresentato dall’Atlantico non si sta dimostrando alla prova dei fatti così incolmabile, ma sta per essere colmato dal cadavere dell’Europa, dalla dissoluzione della sua cultura, e oggi anche e soprattutto dall’attacco portato direttamente contro la sua sostanza umana.
Gli Stati Uniti sono stati alimentati – da sempre, ma soprattutto nel corso del XIX secolo – da un’immigrazione proveniente prima principalmente dall’Europa, poi da ogni parte del mondo, da persone che rappresentavano gli strati più svantaggiati e incolti delle rispettive società d’origine. Sebbene costoro costituissero e costituiscono gli antenati dell’enorme maggioranza della popolazione statunitense, non sono stati e non sono costoro a “dare il tono” alla cultura degli Stati Uniti d’America.
A creare le basi della “cultura” americana sono stati invece i dissidenti che hanno lasciato l’Europa per motivi politico-religiosi, quei puritani calvinisti la cui eredità anche biologica continua nelle grandi famiglie capitaliste proprietarie della ricchezza in America e in mezzo pianeta (ricordiamo sempre che per Calvino il successo negli affari è testimonianza del favore divino e del far parte della schiera degli “eletti”; all’atto pratico, il calvinismo è una “religione” incentrata sull’adorazione del denaro).
Qui s’inserisce bene l’analisi del mondo americano condotta da un altro ricercatore fuori dagli schemi, Miguel Martinez che in L’anticristo circasso, articolo pubblicato sul suo sito “Kelebek” (www.kelebekler.com ) scrive:
“La società statunitense tende verso una singola ideologia, che si esprime attraverso una molteplicità di chiese (parallelamente a una società con un solo tipo di economia, che si esprime attraverso innumerevoli imprese private). [In sostanza si può dire che esista] un’unica “religione americana” (con connotazioni di patriottismo, libero mercato, promesse di esperienza personale e di guarigione, ecc.) condivisa dalla maggioranza dei cristiani, degli ebrei e – negli ultimi anni – dei musulmani, per non parlare della maggior parte delle “nuove religioni.”
Ma quale è il nucleo ideologico della Religione Americana?
Innanzitutto, è importante ricordare che gli USA hanno avuto molto a che fare con la Bibbia, ma poco con Platone, Tommaso d’Aquino, al-Ghazali o Voltaire. Si tende quindi a vedere il “vero”, non come il risultato di un ragionamento, ma come “una cosa che funziona.”
(…).
Un terzo fattore è l’uso politico della Bibbia. In altri paesi, è un luogo comune dire che gli Stati Uniti sono un “paese nuovo privo di storia.” In realtà la storia c’è, solo che è largamente biblica. Se altrove si guarda indietro verso i Celti e gli Etruschi, gli statunitensi guardano indietro verso gli antichi Israeliti; le guerre di Davide sono anche le loro guerre”.
Anni fa, e io spero che mi perdonerete se in questo caso cito a memoria, un cattolico intelligente e dotato di senso critico come è Maurizio Blondet, in un articolo sul suo sito “EffeDiEffe” si interrogava con perplessità circa la profusione di comportamenti violenti, di stragi permesse o comandate “da Dio” che gli antichi israeliti si attribuivano nell’Antico Testamento, definendo questa mentalità e questa pratica sanguinaria un “residuo dell’Età del Ferro”.
Bene, io ho il sospetto che sia proprio questo “residuo dell’Età del Ferro” a spiegare la persistente ossessione biblica della “cultura” americana, che mi pare da esso abbia mutuato due cose: l’adorazione per la violenza e l’esibizione di bruta forza muscolare, e lo slancio di proselitismo messianico che la induce a imporre ovunque obtorto collo l’American Way of life.
Qui occorre essere assolutamente chiari: un conto è però la versione di questa “cultura” e, diciamolo pure, ideologia “per il consumo interno”, un altro è la “versione da esportazione” con la quale si ammorba l’Europa, se ne avvelena la cultura e lo spirito da settant’anni. A livello interno, essa si manifesterà come superomismo, convinzione di essere il meglio in assoluto che l’umanità abbia mai prodotto nei millenni, “My country in right or wrong”, nella versione da esportazione essa invece si dovrà tradurre nella servile accettazione della superiorità americana, ma se rimanessimo a questo livello, sarebbe ancora poco. Ciò a cui la politica americana mira scopertamente, è la dissoluzione degli stati nazionali, le comunità di popolo che potrebbero ancora offrire resistenza all’illimitato dominio, economico, politico e culturale del capitalismo yankee, è ciò che costoro chiamano democrazia, perché deve essere chiaro che quel qualche centinaio di milioni di disadattati che vivono tra Canada e Messico e le cui esistenze ruotano attorno a quella del grande capitale accumulato dai discendenti dei coloni puritani, non sono altro che uno strumento e un’appendice.
Il lungo periodo della Guerra Fredda, della contrapposizione fra un “blocco occidentale” a guida americana e un “blocco comunista” egemonizzato dall’Unione Sovietica, ha tenuto la situazione dell’Europa “congelata” per mezzo secolo, e le conseguenze della sconfitta dell’Europa nella seconda guerra mondiale si manifestano appieno soltanto oggi. (Probabilmente, non si insisterà mai abbastanza sul fatto che l’intera Europa è uscita sconfitta dal secondo conflitto mondiale, anche gli stati schierati nel campo antifascista e nominalmente “vincitori”). Crollati il muro di Berlino e l’Unione Sovietica, terminata la Guerra Fredda, è iniziato l’assalto alla sostanza etnica dell’Europa.
Il primo atto di questo assalto doveva essere l’aggressione contro la Serbia, colpevole di essere da secoli un baluardo contro l’islamizzazione dei Balcani e dell’Europa, una difesa primaria dell’identità del nostro continente.
Nel suo bel libro La figura mostruosa di Cristo e la convergenza dei monoteismi, Silvano Lorenzoni riporta una circostanza sulla quale si dovrebbe riflettere con molta attenzione:
“Sergio Viera de Mello, amministratore delle Nazioni Unite nel Kosovo, ebbe a dichiarare il 4 agosto 1999: “ … i popoli razzialmente puri sono un concetto nazista. Proprio contro questo concetto hanno combattuto gli alleati nella seconda guerra mondiale … È per lo stesso motivo che la OTAN/NATO ha combattuto in Kosovo … per impedire l’insorgere di un sistema di purezza etnica”.
La creazione di un’Europa meticcia, la distruzione della sostanza etnica europea è dunque una finalità che la politica statunitense si è proposta fin dalla seconda guerra mondiale.
Al riguardo, si può citare quanto ha scritto Irmin Vinson nel saggio Ebrei, islam e orientalismo:
“Il massiccio venir meno della volontà di sopravvivenza degli Europei ha permesso la crescente invasione islamica che ancora una volta muove all’assalto del nostro continente, questa volta senza incontrare (almeno fino ad ora) qualsiasi significativa resistenza. E non vi può essere dubbio che la vecchia visione occidentale dell’Islam come qualche cosa di alieno e ostile, una reazione ragionevole alla lunga storia delle invasioni musulmane, è stata quasi interamente sradicata. Quando la NATO decise di aiutare i terroristi musulmani nel Kosovo bombardando i Serbi a Belgrado, questa decisione, nominalmente occidentale, fu un chiaro segnale del venir meno di un’antica auto-rappresentazione culturale. Ogni considerazione sul fatto che i Serbi sono europei e i Musulmani alieni ed estranei era svanita”.
NATO, sia ben chiaro, significa Stati Uniti a livello decisionale, in questa organizzazione gli “alleati” europei non vi recitano altro ruolo che quello di vassalli e zuavi.
Tuttavia, questo è un punto sul quale occorre soffermarsi, perché “Il massiccio venir meno della volontà di sopravvivenza degli Europei” è certamente un fenomeno indotto dall’esportazione dell’ideologia americana, ma di fatto divenuto endogeno, è la forma più aperta e conclamata della “malattia Occidente”.
Torniamo all’analisi di Sergio Gozzoli. Forse, senza trasmigrare e trapiantarsi nel Nuovo Mondo, i fermenti di decadenza nati dalla cultura europea non sarebbero mai riusciti a prevalere, ma questo non significa che essi non siano stati presenti in Europa a partire dalla riforma protestante: spirito illuminista, individualismo cosmopolita, amorale imprenditorialità capitalista, cui dalla metà del XIX secolo viene a sommarsi il marxismo.
C’è stato certamente un sovrapporsi di fattori esterni, rappresentati dalla sconfitta dell’Europa nelle due guerre mondiali, a quelli interni, nonostante il tentativo di rinascita costituito dai fascismi, e un effetto di potenziamento di questi ultimi grazie all’aggressione americana prima, poi all’effetto devastante di settant’anni di avvelenamento mediatico, ma di fatto l’Europa di oggi ha profondamente interiorizzato i germi della decadenza. Liberale o marxista fa ben poca differenza, al punto che liberal è divenuto oltreoceano e oggi anche da noi, un modo per indicare i movimenti di sinistra.
Si tratta in sostanza di un vero e proprio veleno ideologico che nasce da una rappresentazione distorta di se stessi e della loro civiltà che è stato imposto agli Europei. La visione oggi dominante, altrimenti detta democratica, individua l’ubi consistam della nostra civiltà in un fatto “culturale” che si pretende sganciato da qualsiasi base etnica-genetica e in alcuni “principi” astratti di cui si pretende l’universalità sebbene si siano ripetutamente dimostrati inapplicabili ad altre culture o gruppi umani. Una “filosofia” che porta diritti al suicidio etnico nel momento in cui ci si immagina che adeguatamente “acculturati” secondo i nostri modelli, i figli degli invasori travestiti da immigrati che vengono oggi a soppiantarci, diventeranno ipso facto dei “nuovi europei” solo dalla pelle un po’ più scura.
L’abbiamo visto altre volte: alla base dell’atteggiamento pro-immigrati delle sinistre e delle Chiese, c’è sicuramente molta malafede: le une vi cercano un “proletariato”, le altre un “gregge” alternativo alla crescente disaffezione delle classi lavoratici e alla crescente laicizzazione delle società europee, ma vi è anche una visione radicalmente distorta. L’accentuazione posta dalle sinistre sul presunto aspetto “culturale” a discapito del dato etnico-biologico non è che il riflesso della concezione cristiana con l’accento posto sullo “spirito” a discapito della fisicità dell’uomo; il “bolscevismo” moderno si dimostra una volta di più una filiazione in tutto e per tutto di quello dell’antichità.
Sull’argomento, consiglierei anche la lettura di un bell’articolo di Luciano Lago pubblicato il 24 dicembre 2015 sul sito “controinformazione.info”, Multiculturalismo, il nuovo feticcio della sinistra mondialista in Europa. Vedete la foto che correda questo articolo, l’ho tratta da lì, ed è più eloquente di mille discorsi: siamo in un Paese islamico che si trova…alla periferia di Bruxelles. Non si può essere che pienamente d’accordo con l’autore sul fatto che:
“I difensori del “multiculturalismo”, divenuto ormai un dogma culturale del pensiero unico moderno, quando professano una forma di relativismo culturale radicale, sostenitori della società aperta e globalizzata, sono nei fatti i nemici dichiarati della cultura tradizionale europea, della identità culturale europea (…) Sono loro i peggiori antagonisti delle identità dei popoli che si sono formate nei secoli e che molti vorrebbero ancora conservare come patrimonio di Storia e di cultura propria”.
Coloro che vorrebbero in Europa una società multietnica e multiculturale come quella americana, ammesso che siano in buona fede, non si rendono conto che in questo contesto noi siamo i pellirosse. Per chi comprende la realtà delle cose, per noi, non c’è alternativa alla difesa fino all’ultimo, non dei “valori culturali” dell’Occidente, che non ci appartengono, e sono i prodromi della nostra malattia letale, ma della nostra identità europea.
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