Il candidato alla segreteria Andrea Orlando, benché relativamente giovane – è del 1969 – è il classico vecchio comunista ligure. Cresciuto fin da adolescente nelle sezioni del Bottegone, parla spesso delle sue giornate di venditore porta a porta dell’Unità. I comunisti liguri si distinguono dagli altri per un inossidabile stalinismo, per una sorta di mistica operaista fuori tempo massimo, nonché per una speciale inclinazione ad un rancoroso pedagogico moralismo verso il nemico di classe, mai rielaborato come semplice avversario.
Orlando, che è ministro di Giustizia, ha proposto una manifestazione a favore degli immigrati, affermando che, oltre all’inevitabile “solidarietà”, rappresenterebbe un forte segnale identitario della sinistra. Con prudenza, da parte renziana le prime risposte sono freddine, ma non c’è dubbio che la mobilitazione ci sarà. Quel che resta dell’Unità titola trionfante, a proposito dell’iniziativa di Orlando, “Noi non abbiamo paura”. Per loro, l’unico sentimento diverso dal razzismo che riconoscono agli avversari dell’immigrazione massiva nonché apertamente sostitutiva è la paura. Del diverso, dell’altro da sé, forse dell’uomo nero.
Non sono cambiati, i compagni. In psicologia il termine “bias” indica un tunnel della mente, una griglia interpretativa non necessariamente corretta attraverso la quale si filtrano le informazioni possedute in modo da porre maggiore attenzione su quelle che confermano le proprie convinzioni. Confessiamo di avere un personale bias da mezzo secolo, cioè dall’infanzia: comunisti e sinistri di tutte le specie sono quelli che stanno sempre dalla parte di quegli altri.
Nel lontanissimo 1966, in vacanza tra i monti toscani, in una zona operaia dove il roccioso PCI aveva almeno il 60 per cento dei consensi, un bambino di pochi anni che oggi scrive queste righe piangeva perché la nazionale italiana di calcio perdeva ai mondiali in Inghilterra. Soprattutto, non capiva come mai la stragrande maggioranza delle persone ne fosse invece tanto felice, esultante al famoso gol della Corea del Nord ed alla vittoria dell’Unione Sovietica contro gli azzurri. Il babbo spiegò faticosamente che quelli erano comunisti, come l’URSS ed i piccoli coreani. La conclusione di quel bimbo fu che i comunisti erano nemici “nostri” e dell’Italia. Il papà reduce di guerra rispose al figlio che era proprio così.
Stanno sempre dalla parte opposta: l’invidia per chi costruisce qualcosa e ne gode i frutti, il disprezzo della civiltà in cui sono nati, l’odio vero e proprio per ciò che non corrisponde agli schemi mentali precostituiti ed indiscutibili dell’Intellettuale Collettivo non sono affatto cambiati. Stavano con l’URSS che aveva missili puntati contro le nostre case, detestavano la bandiera ed i simboli nazionali; formavano veri e propri cordoni sanitari, sul lavoro, nei confronti di chi non fosse iscritto al loro sindacato, deridevano chi la domenica frequentasse la messa. Oggi, hanno due idoli: gli omosessuali e gli immigrati. E poiché anch’ essi hanno i loro “bias”, chi non la pensa come loro può soltanto essere un malvagio o un soggetto pervaso da paure illogiche o irrazionali. Loro, che hanno capito tutto, continuano a ragionare in termini psichiatrici: l’altro deve essere un pazzo, un fobico, oppure, se gli viene riconosciuta la sanità mentale, è un volgare o prezzolato difensore di sporchi interessi.
Intanto, è servito chi avesse creduto alla ridicola panzana del Partito della Nazione. Il ministro di giustizia si schiera a favore degli stranieri e contro i connazionali, colpevoli, presumiamo, di non accordare il 100 per cento dei voti al Botteghino democratico, che nel cuore e nell’anima sua e di moltissimi altri non è che il PCI che ha cambiato all’anagrafe un nome divenuto imbarazzante ,non più finanziato in rubli sovietici, ma in ottimi dollari dei finanzieri senza terra. Dettagli, evidentemente.
Il nemico dei sinistri resta l’Italia, il suo popolo, la civiltà europea. L’attitudine nei confronti dell’immigrazione ne è la plateale conferma. Occorre, a dire il vero, un’autocritica, o almeno una precisazione di capitale importanza, in materia.
E’ giusto e saggio opporsi all’immigrazione, specialmente nella misura e con le modalità di cui siamo spettatori e vittime, ma mantenendo il rispetto umano per l’immigrato. Il nemico non è lui, ma l’enorme apparato economico, finanziario, ideologico che impoverisce vaste aree della terra, fomenta, anzi organizza guerre, carestie, sfruttamento per poi promuovere immensi movimenti di masse umane verso il Nord del pianeta. E’ la legge dell’acqua, si va dove si può bere.
Dunque, difendere se stessi dall’invasione non è paura, o cattiveria, ma amor proprio, rispetto di chi si è stati e di ciò che vorremmo lasciare in eredità. E’ anche elementare prudenza e buon senso, giacché la capacità di ospitare, assorbire, integrare stranieri è ampiamente esaurita. Non siamo tanto ingenui da accettare in toto l’equazione meno stranieri uguale meno disoccupazione, meno delinquenza. E’ del tutto evidente che in alcuni settori, come l’assistenza alla persona, gli stranieri colmano vuoti e risolvono problemi. In molti altri, al contrario, essi alimentano la corsa al ribasso, lo schiavismo, il nuovo rivoltante caporalato, il dumping sociale che permette a troppi di pagare cinque, quattro, tre euro per un’ora di lavoro in tanti settori. Poi ci sono l’enorme impatto sulla prostituzione, con sconvolgente riduzione in schiavitù, sulla criminalità alimentata dal disagio sociale (oltreché dall’impunità che dovrebbe spiacere ad Orlando ministro della giustizia), e sorvoliamo sugli incalcolabili costi economici in materia di sanità, assistenza, previdenza, rimesse di miliardi nei paesi d’origine.
Resta, drammatica, la domanda psicologicamente scorretta, forse il nostro bias. Perché preferiscono gli stranieri ai connazionali? Innanzitutto perché “quelli” detestano la nazione, e lavorano attivamente, specie quando indossano fasce tricolori o altre vesti istituzionali, per affossarla. Un altro motivo, bassamente legato al consenso, è che gli stranieri sono il goloso bacino elettorale del futuro prossimo, e, ragione ancora più terra terra, votano alle primarie del PD. Il passato ne è la prova: cinesi a Milano, sudamericani a Genova, zingari anzi nomadi rom un po’ dappertutto, i vuoti lasciati dagli italiani vengono riempiti dai faccendieri democratici mobilitando i capi bastone di comunità estere beneficate in vario modo a spese nostre.
Più in profondità, tuttavia, trionfa l’odio di sé, il rancore antico nei confronti della civiltà e della cultura europea ed italiana, mascherato da internazionalismo, solidarietà, filantropia. Sono i bigotti di una religione secolare che non ammette eretici o miscredenti, quella dei Diritti, dell’Universalismo, dell’Umanità. Tutto, sempre, in lettere maiuscole, lo impone il senso della Storia!
Orlando e l’Unità assumono come modello una recente manifestazione tenuta a Barcellona in nome dell’accoglienza. Fingono di ignorare che in Catalogna le mobilitazioni di piazza degli ultimi anni hanno tutte un convitato di pietra, il secessionismo anti spagnolo declinato in odio per la patria comune sino alla preferenza per gli stranieri. In questo concordano tanto la forte sinistra locale quanto la borghesia mercantile e finanziaria che detesta Madrid. Lì, almeno, è chiara quanto paradossale l’alleanza tra un acceso nazionalismo locale ed una sinistra nipote della guerra civile accecata dall’avversione per lo stato nazionale. Da noi, le cose sono in fondo più semplici: l’immigrazione ha molti amici, non solo a sinistra e non solo in chiesa, e poi c’è un popolo. Forse…
Il punto, l’enigma da risolvere è se questo popolo che è il nostro voglia vivere, se preferisca ancora se stesso al Grande Altro che avanza. In questo senso, l’iniziativa di Orlando potrà almeno servire a chiarire le idee, definendo gli schieramenti.
E’ fortissimo, diffuso e trasversale il Partito dell’Anti Nazione. Serve un’opposizione, libera da stupide paure, da sensi di inferiorità culturale, lontana dalle menzogne politicamente corrette. E’ il tempo di un fronte degli italiani che amano, preferiscono, difendono se stessi. Quando, se non adesso? L’alternativa è tra vita e suicidio. Non è detto che quest’Italia preferisca se stessa, ma dobbiamo costringerla alla scelta.
L’amore di sé, l’identità, a rigore di psicologia cognitiva, forse non sono che un “bias di conferma”, una semplice griglia interpretativa di credenze che permettono di vivere. Secondo i soliti studiosi progressisti, si tratta di un pregiudizio che coinvolge anche persone intelligenti ed aperte, ma, rispondiamo noi, è quello che ci rende ciò che siamo.
Se poi l’intelligenza e l’apertura significano essere nemici di se stessi, evviva la chiusura mentale ed il basso Q.I. (quoziente intellettivo). Almeno, permette di essere diversi da Orlando, Laura Boldrini e monsignori vari.
ROBERTO PECCHIOLI
16 Comments