Silvio Berlusconi si fa fotografare mentre dà il biberon ad un agnellino, sotto lo sguardo estasiato della signorina Francesca Pascale, la sua convivente-nipotina di mezzo secolo più giovane. A lato, sorride felice Michela Vittoria Brambilla, deputata, ex ministro della Repubblica (o tempora, o mores!), imprenditrice ed animalista. Per non essere da meno dell’odiato Cavaliere, Laura Boldrini la presidenta ha adottato alcuni agnelli, portandoli a Montecitorio, una stalla modello assai rinomata. Nelle città italiane campeggiano manifesti di sei metri per tre che intimano di non cibarsi, nelle festività pasquali, del povero ovino. Toni ed immagini scelte sono il consueto repertorio di luoghi comuni del moralismo buonista/progressista, con in più un sottinteso razzismo etico nei confronti degli odiati “carnivori”.
Persino il povero ragazzo di Alatri ucciso in discoteca ha fatto le spese della violenza verbale vicina all’odio di qualche vegetariano. Una sua foto su Facebook lo ritraeva fiero con un pesce appena pescato. Il commento di qualche gentiluomo o gentildonna social, pacato ed equilibrato come si confà ai paladini della vita è stato: morte chiama morte. In una trasmissione televisiva, un’altra squinternata in confusione mentale ha affermato che, in fondo, non c’è gran differenza tra chi uccide una mosca e gli assassini di “umani”. Umano, per chi non lo sapesse, è il termine dispregiativo alternativo ad uomo oppure essere umano con cui questi nuovi Buoni e Giusti chiamano i conspecifici. Il loro pensiero, mutuato da autori come Desmond Morris (La scimmia nuda) o James Lovelock, il teorizzatore di Gaia, il pianeta Terra visto come un unico superorganismo di cui l’uomo sarebbe una fastidiosa escrescenza, è ormai apertamente antiumano: una sorte di egalitarismo tanto estremo da porre sullo stesso piano le zanzare, gli stessi vegetali e la specie umana.
Naturalmente, la maggior parte di loro ignora assolutamente le correnti di pensiero che ne ispirano azioni e pensiero. Pervasi da un vago quanto irascibile irenismo, solo i più problematici conoscono almeno le principali correnti dell’ecologia profonda alla Arne Naess. Sono soltanto gli inconsapevoli destinatari di un messaggio che proviene dall’alto e che chiameremmo volentieri “la buga abbocca”, se non temessimo di ferire i loro delicati sentimenti di nemici, tra le altre attività umane, della pesca. La buga, più correttamente boga, è un pesce piuttosto spinoso che vive nei mari scogliosi e si pesca molto facilmente. Ai tempi del programma televisivo Drive In il comico genovese Enzo Braschi (in realtà un fine e colto intellettuale) lanciava la battuta “la buga abbocca” con il pollice sotto i denti per deridere le infinite forme dell’ingenuità umana.
Possibile, diciamo noi, che non desti qualche sospetto il dispiegamento di mezzi, cioè denaro sonante, a difesa degli agnellini? Riempire le città di grandi cartelloni costa molto, ben difficilmente frutto di benemerite collette tra pie donne. Viene da pensare a quante persone (umane!) in difficoltà avrebbero potuto aiutare gli animalisti vegetariani o vegani unicamente diffondendo i manifesti in bianco e nero! No, non interessa, tutto il contrario, e comunque non sono i mezzi economici a mancare agli organizzatori per svolgere la loro attività di pesca delle bughe.
La verità è infatti che si è posta in azione una delle tante macchine del consenso per far passare alcuni messaggi. Il principale obiettivo dei finti difensori degli agnelli è la distruzione attraverso il senso di colpa unito all’assurda equiparazione dell’uomo agli altri viventi, delle tradizioni, usi, costumi ed abitudini alimentari dei popoli. L’umanità a taglia unica deve avere gusti gastronomici in linea con i disegni e le volontà delle cupole di potere, i cui obiettivi antiumani e malthusiani sono chiari almeno a chi osservi la realtà senza le lenti deformanti della propaganda e delle ideologie mondialiste. Dopo decenni di sistematica decostruzione, l’umano occidentale si vergogna così tanto del proprio passato da odiare i cacciatori, dipinti come un branco di assassini, e disprezza il mondo contadino di cui è figlio.
Detto, ad uso di chi non si fosse mai occupato del problema, che vegetariani sono coloro che non consumano carni, mentre i vegani rifiutano qualunque alimento di origine animale (latte, uova, formaggio), va affermato che sono tutti militanti inconsapevoli quanto inconsulti di un fronte dei ricchi del pianeta interessati ad azzerare le opzioni di consumo per uniformare il mercato, in barba alle belle storie sulla biodiversità, la filiera corta ed il mitizzato consumo alimentare a chilometri zero.
Hanno buone ragioni, al di là dell’ovvia legittimità delle scelte individuali, a ricordare l’impronta ecologica eccessiva delle carni rosse, poiché l’allevamento bovino consuma risorse idriche immense e rilascia quantità impressionanti di anidride carbonica; allo stesso modo, le abitudini alimentari di imitazione americana che hanno generato l’aumento enorme del consumo sono oggi criticate per molti e serissimi motivi medici, così come la pessima abitudine di rimpinzare gli animali di estrogeni o addirittura di nutrire razze erbivore con mangimi di origine animale.
Le condizioni degli allevamenti intensivi di animali destinati all’alimentazione umana sono molto spesso un’efficace propaganda del vegetarianesimo, ma la specie umana è onnivora. Strano dover ribadire ovvietà, ma dinanzi ai fatti non c’è argomento che tenga. Non si può, non si deve andare contro natura. Il futuro alle porte è quello di un universo in cui i ricchi mangeranno e gran parte degli altri saranno costretti a brucare, oppure dovranno cibarsi di insetti, che, dicono i soliti, quelli che mandano avanti i talebani della nutrizione equa e solidale, saranno la proteina del futuro.
Ahi, ahi, ahi, primo problema: anche blatte e coleotteri sono dei viventi, urge una mobilitazione a sostegno dei loro diritti. Sì, perché il simpatico agnellino allattato premurosamente dal Cavaliere, a ben altre carni interessato, è morbido, carino, docile e simpatico, desta tenerezza, compassione, protezione. Ma come la mettiamo con i ratti? Aboliamo le derattizzazioni e le imprese che le eseguono, in nome della non violenza e del rispetto del creato, anzi di Gaia. I serpenti, poi, cui la Bibbia assegna il ruolo di nemico della donna (più correttamente, della femmina umana), non godono certo della simpatia popolare, neanche quella dei cuccioli di pecora.
Iene e sciacalli hanno pochi difensori; il lupo è più controverso. Nemico storico dell’uomo agricoltore e cacciatore, protagonista di storie mitiche e di fiabe sempre nel ruolo del cattivo, gode di una riabilitazione moderna. In fondo, è carnivoro per natura, non ha colpa, lui, se sgozza gli agnelli e li lascia sul posto. Infine, ci sono i poveri pesci. A parte qualche estremista come chi ha offeso la memoria del povero Emanuele Morganti, raramente si ascoltano intemerate contro i pescatori. Eppure, i pesci muoiono soffocati tra lenze e reti a strascico. Si vede che, muti come sono, non si lamentano abbastanza.
Tutte queste considerazioni per smascherare contraddizioni ed assurdità di un movimento, quello contrario all’alimentazione carnivora umana, che nega la natura biologica della nostra specie ed insieme tende a privarci di una libertà, sottraendoci un pezzo della nostra identità, legata alle abitudini, ai costumi e persino ai rituali del cibo e dell’alimentazione. Ma, ripetiamolo ancora, è solo la buga che abbocca all’amo di pescatori potentissimi ed assai malintenzionati.
Con tutti i suoi difetti, l’allevamento animale intensivo ha comunque sfamato miliardi di esseri umani. Va ripensato, alla luce dei costi ambientali e di un rapporto con la natura che non sia esclusivamente di dominazione, ma innanzitutto di custodia. Nel Genesi, Dio assegna agli uomini il dominio sugli animali, ma subito dopo affida loro la cura, la tutela, la protezione del creato. Sono state le rivoluzioni industriali, e le ideologie che le hanno sorrette ed alimentate a ribaltare il rapporto, costruendo un’economia basata sullo sfruttamento generalizzato: risorse, cose, uomini, animali.
Forse sarebbe opportuno che molti si accorgessero di essere manipolati, di essere diventati gli utili idioti di una globalizzazione che riduce in schiavitù centinaia di milioni di uomini, esclusi dal banchetto globale, inchiodati alla miseria. Non è abbassando l’uomo al livello del pollame che si risolvono problemi, o facendolo vergognare del ruolo privilegiato assegnato dalla creazione. L’uomo è stato cacciatore ed è ancora pastore ed allevatore. Dagli animali ha tratto nutrimento e tanto altro, ha il dovere del rispetto verso di loro, quel rispetto che millenni di civiltà contadina hanno mantenuto non sfruttando oltre misura il bestiame, non forzandone la natura. Dietro le campagne animaliste, insieme alla sincerità mal riposta di molti, si nasconde l’immenso affare del controllo del nutrimento di miliardi di uomini, un progetto di dominio che parte dai bisogni primari.
Nei grattacieli donde si comanda il mondo orientando il futuro qualcuno possiede le tecnologie relative ai semi ed alle ricerche nel mondo vegetale. C’è chi (la Bayer) spende 75 miliardi di dollari per comprare la Monsanto, dominatrice del sistema, quello sì criminale, degli organismi geneticamente modificati, che brevetta i semi usati da millenni dalle popolazioni del mondo per rivenderli a caro prezzo ed imporre le sementi da rinnovare ogni anno, insieme con i diserbanti chimici che inquinano le falde acquifere. Nella guerra commerciale in atto, la crescente superpotenza cinese non sta con le mani in mano ed acquista la concorrente di Monsanto, Syngenta, ed intanto compra a prezzi di saldo ampi pezzi dell’Africa fertile, con buona pace dei nemici dello schiavismo e colonialismo occidentale, poiché deve pur nutrire la sterminata massa dei suoi cittadini deportati dalle campagne per industrializzare ed inquinare oltre ogni limite enormi porzioni del suo territorio.
Intanto, ci impongono di scordare le nostre abitudini alimentari millenarie, frutto di un rapporto con il territorio di amicizia e comprensione. Nel caso degli ovini, nessun pastore si è mai sognato di buttare via la lana delle pecore, come fa oggi l’uomo civilizzato, o di macellare animali troppo giovani. L’uso cristiano di uccidere gli agnelli in certe occasioni come la Pasqua rimanda alla dimensione del sacro, al sacrificio di privarsi di una ricchezza per rendere omaggio a quella dimensione ulteriore, “altra” che l’uomo ha avvertito entro e sopra di sé come un privilegio del quale ringraziare un Dio. L’agnello di Dio non toglie, come recita la pessima traduzione maccheronica del verbo tollere, ma prende, assume su di sé, i mali del mondo. Il Corano fu inizialmente rivolto a popolazioni nomadi di terre desertiche. Ovvio che condannasse l’uso dell’alcool e l’allevamento di suini: condotte insalubri sgradite ad Allah.
L’uomo contemporaneo ha smarrito ogni riferimento al sacro, precipitando in un imbuto con due opposti: da un lato la condizione umana vissuta come dominio, sfruttamento, ambizione smodata sganciata da qualunque senso morale. Dall’altra, la riduzione ad essere tra gli esseri, diverso soltanto per le più complesse prestazioni cerebrali. Una bestia tra tante, con più sinapsi ed un’ideologia di uguaglianza tanto estrema da non distinguere tra l’omicidio e la sussistenza che ci ha fatto cacciare prima, allevare poi molte razze animali senza farle estinguere. Sapevamo già tutto della biodiversità, senza piangere sugli agnellini e senza strillare assassini ai cacciatori, tacendo magari su chi nega la cure a milioni di malati che non possono permettersele o su chi banalizza la soppressione degli “umani” non ancora nati.
E’ un terribile mondo carico di contraddizioni insanabili, quello che festeggia, o semplicemente prende atto, di una ricorrenza che è così umana da essere divina, la resurrezione di un predicatore palestinese, un ribelle messo a morte dal potere costituito. La tradizione, dalle nostre parti, prescrive di sacrificare degli agnelli, simboli di quel Cristo.
Berlusconi, la Boldrini ed una strana alleanza di iperpadroni, pacifisti, animalisti e “umani civilizzati” non vogliono. Pretendono che sotto tutti i cieli ciascuno sia identico ad ogni altro, mangi la medesima sbobba, soia, tofu, organismi geneticamente modificati, forse insetti. E’ il mondo nuovo, indigesto e tutt’altro che biodegradabile, ma i suoi cantori passano per oppositori, trasgressivi, progressisti, emancipati! Forse era meno peggio il tempo in cui si pretendeva di liberare l’umanità con Falce e Martello. Oggi con Felce e Mirtillo, dell’uomo, anzi dell’umano, ci vogliamo liberare. Con il pretesto di salvare l’agnello dalla Pasqua, corriamo verso il gregge globale: i pastori ringraziano, e si fregano le mani.
Roberto PECCHIOLI
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