“Dunque, tre sono gli elementi in grado di ricolmare gli esseri divini, elementi che procedono attraverso tutti i generi superiori, Bontà, Sapienza, Bellezza; a loro volta, tre poi sono anche quelli che mettono insieme le entità che sono ricolmate, elementi secondi rispetto ai precedenti, che però ugualmente si diffondono in tutti gli ordinamenti divini, Fede, Verità, Amore. Tutte le entità sono salvate attraverso questi elementi e si uniscono ai Principi causali originari, le une attraverso la follia amorosa, le altre attraverso l’amore divino per il sapere, le altre ancora attraverso la potenza teurgica.”
Proclo, Theol. I 113,1- 11
Avevo inoltre sottolineato che, pur trattandosi di una “via stretta”, essa è assolutamente percorribile ancora oggi: in altre parole, non si tratta di riesumare un relitto di epoche remote che non ha nulla a che vedere con il presente, al contrario, si tratta di applicare il più celebre fra i ‘saluti’ del Dio di Delfi rivolti ai mortali: “conosci te stesso” (per le Massime Delfiche come ‘saluti’ rivolti ai mortali, cfr. Platone, Carmide) “e conoscerai il cosmo e gli Dei”. Uno dei possibili significati di questa massima è certamente questo: tutte le cose, dalla sommità del Bene fino alle realtà mortali (‘dal Brahman ai fili d’erba’, come dicono i Sapienti dell’Induismo), procedono secondo somiglianza (principi dell’analogia e dell’emanazione); inoltre, tutte le cose sono ordinate in modo che tutto quello che procede, attraverso la somiglianza, abbia anche i mezzi per ‘riconvertirsi’ verso il suo principio. Non solo: la realtà divina, che deve essere ‘contemplata con gli occhi chiusi’, non si può cogliere con i sensi né attraverso ragione o intellezione, bensì attraverso il “fiore dell’anima” (Exc. Chald. IV, 194, 27) perché “ciò che è simile, è conosciuto mediante il simile.” Questo è il fiore che Apollo invita a cogliere per conoscere la realtà divina e potersi ricongiungere ad essa in base alla somiglianza, ossia, essere completamente beati e conoscere ciò che è nella natura dell’anima conoscere. “L’anima, entrando in se stessa, avrebbe scorto, oltre a tutto il resto, anche la divinità” (Pr. Theol. I 15, 23- 27)Nel mio precedente articolo (cf. EreticaMente: “Perché l’Accademia venne chiusa: Filosofia ed Iniziazione”), avevo concluso l’intera discussione riaffermando l’attualità dell’esempio e dei messaggi che ci sono stati tramandati dagli ultimi Sacerdoti e Filosofi dell’Accademia di Atene: coerenza, e quindi contrapposizione a qualsiasi forma di asebeia; diffusione della conoscenza, antidoto certo contro la causa dei peggiori mali, ossia l’ignoranza congiunta a dimenticanza; la superiorità indiscussa della via di Eusebeia e Dike ed il loro inevitabile trionfo sulla tracotanza e sull’empietà e, di conseguenza, la necessità, per l’essere umano contemporaneo, di volgersi nuovamente alla divina sapienza dei Misteri (e della Filosofia, data l’identità fra le due forme di ‘contemplazione’), sia per vivere felicemente e secondo giustizia mentre si dimora nel corpo mortale, sia per ricongiungersi alla beatitudine del coro divino cui ciascuno appartiene, una volta che la Moira abbia posto fine alla presente incarnazione.
Avendo dunque in precedenza menzionato le vie di ascesa, “le vie di Fuoco” che salvano dall’oblio e dalla ‘fredda corrente della dimenticanza’, è necessario ora dire quali esse mai siano e concentrarci poi sul ‘migliore aiutante’, il ‘medium’per eccellenza, ossia descrivere il ruolo di Eros nell’ascesa di Psiche, perché Eros è l’elemento che ricongiunge alla divina Bellezza tutte le realtà inferiori. Infatti, “ogni ordine di Eros è la causa di conversione verso la divina Bellezza, guidando indietro, unendo, stabilendo tutte le nature secondarie nel Bello, ricolmandole da quella fonte, ed illuminando tutte le cose con i doni della sua luce ed è il medium fra l’oggetto d’amore e la natura desiderante, ed è la causa della riconversione delle nature successive verso quelle che le precedono.” (Pr. In Alc.I 30, 16)
Combinando alcuni testi divinamente ispirati di Proclo – principalmente, Teologia, Elementi di Teologia e Commento all’Alcibiade – si rivela una gerarchia di divinità/virtù/vie anagogiche, ordinata secondo la consueta forma triadica. Come sintetizzato perfettamente nel passo citato in apertura, tali sono le tre Triadi in ordine discendente: la sommità (che è anche il fine ultimo dell’innalzamento) costituita da Bene, Sapienza, Bellezza (perché “il Divino, inteso come un tutto, è bello, sapiente e buono, come è stato detto nel Fedro. L’elevazione dell’anima è verso questi, e attraverso questi la salvezza per le anime è raggiunta.” (In Alc. 29, 10-12); lo stadio intermedio (l’ordinamento intermedio, che ‘mette in contatto’ i due termini estremi) costituito da Fede, Verità, Amore (“è necessario proporre quelle virtù che dalla genesis, purificano e riconducono alla divinità “Fede, Verità e Amore” (Pistis, Aletheia, Eros), la celebre triade” (Oracoli fr. 46); infine, gli strumenti per la riconversione dell’anima verso la primissima Triade divina, ossia Teurgia, divina Filosofia e Mania erotica divinamente ispirata. E’ perciò evidente che la sommità divina della prima Triade contiene, come detto poco sopra, i tre fini sommi dell’innalzamento dell’anima; la seconda Triade racchiude le virtù necessarie per raggiungere la sommità; infine, la terza Triade manifesta le tre attività che, durante la vita umana, portano al possesso delle virtù anagogiche della seconda Triade.
Dal momento che la divina Bellezza rivela il “carattere segreto del Bene” ed è verso il Bello che in primo luogo l’anima s’innalza – questo perché l’ultimo termine di una Triade (Bellezza nella I Triade, Eros nella II, mania erotica nella III) possiede sempre il carattere della riconversione verso le Cause prime – ritengo che sia buona cosa illustrare il modello del vero Amante. Infatti, come spiega l’ottimo Ermia (in Phaedr. 233, 2) seguendo gli insegnamenti di Siriano: “come Aphrodite appartiene alla Bellezza, così Eros riconduce in alto al Bello; così Eros appartiene ad Aphrodite e La segue, ascendendo dalla bellezza sensibile a quella noetica. Così chiamiamo Eros ‘divina follia’ che deriva dal riuscire a cogliere la bellezza sensibile, ascendendo poi al ricordo del Bello in sé.” Non c’è del resto nessuna differenza con la via ascendente ed i Misteri del “grande Daimon” tramandati da Diotima (Simposio 208d e ss.): tutte le vie di Eros conducono, in un modo o nell’altro, all’immortalità, uno stato di eternità che è proprio dell’anima che si è volta nuovamente verso la divinità, un’anima che ha appunto “ricordato”. Dagli amanti “gravidi nel corpo” viene l’incessante generazione dei mortali, che sappiamo essere una forma di immortalità attraverso la continuità della stirpe, unione e generazione garantite dalla serie encosmica di Eros e di Aphrodite Pandemos; coloro che sono “fertili nell’anima” generano secondo il vertice della sapienza, e danno vita a leggi e costituzioni, procurandosi quella forma di immortalità che è costituita dalla gloria e dalla memoria della grandezza (Aphrodite Hegemone guida dei veri politici/legislatori, ed Aphrodite Ourania). Perciò, dalla contemplazione di quanto vi è di bello nei corpi fisici si risale alla comprensione che “una sola e la stessa è la bellezza che si trova in tutti i corpi”; ci si innalza poi alla bellezza dell’anima e si contemplano i prodotti generati dalla bellezza della sophrosyne, “come chi, volgendosi all’immenso mare del bello e prendendone ammirazione, crei molti belli e stupendi discorsi e meditazioni.” Qui si arriva ai “Misteri più alti e perfetti” della scala ascendente di Eros in quanto, una volta che siano state contemplate dall’anima tutte le diverse forme di Bellezza, quelle fisiche così come quelle intellettive, essa può ascendere al Bello in sé: “questo è il giusto modo di procedere sulle cose d’amore o di esservi guidati da un altro, cominciando dalle bellezze che si trovano qua, in nome della Bellezza in sé, salire, come se ci servisse di gradini, da uno a due, e da due a tutti i corpi belli, e dai corpi belli ai bei modi di comportamento, e dai modi di comportamento agli apprendimenti belli, e dagli apprendimenti giungere a quella conoscenza estrema, che altro non è se non la conoscenza di quella Bellezza, e concludere quindi conoscendo cosa è quella Bellezza in sé … non pensi che soltanto lì, guardando la Bellezza per quello in cui si lascia vedere (la forma suprema di Aphrodite è quella velata, celata nella sfera divina più alta, nel “vestibolo” del Bene stesso), gli avvenga di generare non immagini di virtù perché non è una parvenza quella che egli tocca, ma la vera virtù perché è il vero che egli tocca; e generando vera virtù e nutrendola, potrà accadergli di essere caro agli Dei e, se mai ad altro uomo, potrà toccare a lui di essere immortale.” (Simp. 211c- 212b)
Per dare maggiori indicazioni a proposito dei Misteri di Eros, penso sia utilissimo presentare una breve analisi di alcuni passi del Commento all’Alcibiade di Proclo, un testo poco noto e mai tradotto in italiano[1], testo che però contiene importantissime spiegazioni relative sia alla serie divina di Aphrodite sia alla maniaerotica, “perché Socrate illustra questo genere di vita soprattutto in questa opera … la scienza di Eros prevale in tutto il testo”. Il trattato è anche molto bello – in perfetto accordo con il tema – pertanto spero che i lettori ne gustino entrambi i caratteri, la sapienza e la bellezza che il Filosofo rivela in esso. Infine, particolare non di poco conto, questo testo testimonia anche lo struggente (dati gli avvenimenti successivi) tentativo di Socrate di elevare e condurre a perfezione il giovane Alcibiade, proprio cercando di iniziarlo ai Misteri di cui abbiamo appena parlato: il tentativo non ebbe buon esito perché, come rivela il finale del Simposioplatonico, Alcibiade scelse infine i piaceri effimeri e la via di kakia, perdendo di vista i ‘gradini ascendenti’ che Socrate aveva cercato di mostrargli. E dunque, così si apre il dialogo:
“O figlio di Clinia, penso che tu sia stupito del fatto che, essendo stato io il primo a diventare tuo amante, mentre gli altri hanno cessato di essere tali, solo io non me ne sia andato.” Proclo sostiene che Socrate, con questa frase, “riveli il significato del famoso precetto delfico Conosci te stesso”: come abbiamo detto all’inizio di questo articolo, questo è il primissimo saluto divino, la prima esortazione alla conoscenza, e Socrate, in analogia con il Dio, così si rivolge al giovane, “facendolo rivolgere in se stesso” e portandolo all’esame delle cause delle azioni ‘colme di amore’ di Socrate nei suoi confronti. Anche il fatto che Socrate non usi il suo nome ma quello del padre, Clinia, uomo di grandissimo valore e persona nobilissima, non è casuale secondo l’esegesi di Proclo: non solo indica a chi deve ancora conoscere se stesso il modello migliore, come se fosse un’esortazione all’imitazione della virtù paterna. Allo stesso tempo, la menzione del nome del padre è un “simbolo che fa ricordare alle anime il loro vero padre … e Socrate, conoscendo ciò al modo dei Pitagorici, chiama il giovane uomo con il nome del padre, perché considera tale richiamo come un simbolo del volgersi delle anime verso le loro cause.” L’anima che ancora non è entrata in se stessa e non conosce la sua vera natura, è esortata a far ciò dalla provvidenza apollinea, guardando al modello migliore e volgendosi nuovamente alle cause della sua sussistenza. Non solo, infatti questo richiamo e rimando al padre è particolarmente appropriato in un discorso che riguarda i Misteri di Eros, perché “l’intero ordine di Amore procede dal Padre Intelligibile (“in tutte le cose” come dicono gli Oracoli “il Padre ha disseminato il legame di Eros ricco di fuoco” in modo che l’intero cosmo possa essere tenuto insieme dagli indissolubili legami della Philia)” Le parole di Socrate sono appropriate per un discorso sull’Amore anagogico anche per un’altra ragione: Socrate si pone come medium fra l’anima che non sa e non ricorda e la divina Bellezza in sé. Socrate è ‘demonico’ in quanto ‘modella se stesso’ sulla base dell’Amore divino, diventando così un ‘divino Amante’, ed è proprietà caratteristica di tutti i divini Amanti “guidare i loro amati con sé in alto verso la Bellezza Intelligibile, “versando nelle loro anime”, come dice Socrate nel Fedro, tutto quello che hanno preso da quella Fonte (la “Fonte regale” di Aphrodite)” – questo è il vero senso delle parole del Filosofo quando afferma di essere suo ‘Amante’.
Il passaggio successivo racchiude una considerazione di grandissima importanza: ciascuna via elevante è appropriata per un determinato genere di anime: “ciascuno è perfezionato da Socrate ed elevato al divino secondo il suo proprio rango.” Dal momento che l’ascesa si effettua tramite la somiglianza e sempre secondo la gerarchia, ciascuna anima deve individuare a quale ordine appartiene e quindi intraprendere quella via che, unica, le è propria. Come dice perfettamente il divino Proclo, a proposito della serie di Eros trattata in questo testo: “è attraverso Amore che giunge la perfezione, nella presente opera, per coloro che possiedono tale natura” ed è per questo che Socrate è ‘Amante’ di Alcibiade: in quanto immagine della volontà simile al Bene, egli desidera guidare l’anima alla perfezione secondo la via di elevazione che le è propria.
Dopo la fondamentale rivelazione a proposito del “grande Daimon” e del ruolo centrale di mediatore assegnato all’intero ordinamento di Eros di cui abbiamo parlato all’inizio, Proclo dimostra fin dove conduca l’iniziazione ineffabile ai Misteri di Eros e ci esorta quindi, per mostrarci il vertice della serie di Amore, a ricondurre tutta questa molteplicità di Erotes ad un’entità divina di forma “simile all’Uno”: “nascosta sommità stabilita in modo indicibile fra i primissimi ordinamenti degli Dei ed unita alla primissima Bellezza Intelligibile” – in altre parole, la luminosissima sommità di Eros-Phanes e della primissima Bellezza nascosta delle Forme Intelligibili (cf. “La Bellezza degli Dei è fissata sulle Forme più elevate, fa splendere la luce divina, “e per primo si mostra a coloro che procedono verso l’alto” Pr. Theol. III 43, 1- 18). Da questa sommità ci esorta ad osservare quindi il propagarsi delle serie divine a partire dalla loro vetta e prima Causa, ed afferma pertanto che l’unico ordinamento di Eros si diffonde moltiplicandosi in “molti generi di Amori”, passando attraverso tutte le serie divine, giungendo fino agli Dei encosmici; qui “avviene la sua terza discesa”, quando, dividendosi e moltiplicandosi al massimo, “distribuisce (i diversi ordini di Eros e le loro rispettive funzioni) nelle differenti porzioni del cosmo.” Da qui infine si estende, coinvolgendo tutte le serie angeliche, demoniche ed eroiche: “praticamente ogni cosa è innalzata, resa infuocata e riscaldata dal flusso del Bello.” Questa discesa a partire dalla prima Bellezza Intelligibile ha lo scopo di condurci alla naturale conclusione che, secondo l’ordine del reale, anche l’anima umana partecipa di questa “divina ispirazione” e che le anime che discendono dalla catena/coro di Eros, ossia i divini Amanti alla maniera di Socrate – coloro che elevano le anime degli amati, in accordo con il ruolo che ha Eros, fin dalla sua prima manifestazione, nei confronti di tutte le entità divine – fanno parte di quelle anime che discendono volontariamente: “esse discendono nella regione della generazione per beneficare le anime meno perfette e per provvidenza nei confronti di quelle che cercano la salvezza.” Molte anime, da molte serie divine differenti, discendono nel mondo della generazione e hanno tutte lo scopo di aiutare le anime ancora ignare ed intrappolate ad elevarsi verso il divino – la differenza sta nel ‘come’: alcune anime incarnate fondano i riti mistici, altre aiutano attraverso la profezia o la ‘divina medicina’. Allo stesso modo, le anime degli Amanti, “le anime possedute da Eros” e dall’ispirazione che proviene da questo Dio, usano tutte le forme di bellezza – esattamente come diceva Diotima – elevandosi ed elevando a partire dai ‘veicoli’ sensibili fino a raggiungere la Bellezza Intelligibile, “accendendo una luce per le anime meno perfette, elevano anch’esse al divino e danzano con loro attorno all’unica fonte del Bello.” Proclo, forse proprio ricordando il fato di Alcibiade ormai adulto e dimentico degli insegnamenti di Socrate, parla subito dopo delle anime che, pur facendo parte della serie di Eros e pur avendo incontrato sulla loro strada un divino Amante che voleva ricondurli a danzare presso il Bello in sé, “a causa dell’ignoranza a proposito della vera bellezza”, si sono ritirate dal divino allontanandosi ed unendosi così “all’elemento oscuro della materia.” Il risultato è che, come l’intelligenza in un cattivo ricettacolo diventa sofistica ed inganno, così l’illuminazione d’Amore, quando incontra un cattivo ricettacolo, diventa intemperanza ed eccesso, “pervertendo così il dono che ne viene”- ed è questo il tragico destino cui andò incontro Alcibiade, scambiando i doni della divina Philiacon l’inganno e con la parodia dei massimi doni divini.
Proclo procede poi mirabilmente ad illustrare le principali differenze fra l’Amante divinamente ispirato e quello ‘volgare’: l’amante dappoco ammira il suo amato e ha bisogno di lui, mentre l’Amante divino è oggetto d’ammirazione per l’amato ed “offre la trasmissione dei suoi propri beni alle anime degli amati.” Secondariamente, l’amante volgare ama il corpo e, quando quest’ultimo sfiorisce a causa dell’età, si eclissa, perché l’unica cosa che lo attraeva era la bellezza sensibile; al contrario, all’Amante divino non interessa in modo specifico la bellezza del corpo perché non è amante del sensibile ma dell’anima, ed è di quella bellezza spirituale che va in cerca. In terzo luogo, il vero Amante è stabile e sempre identico nei confronti dell’amato; non così l’amante volgare, sempre mutevole, perché l’amore che lo lega all’amato è di natura esclusivamente materiale e perciò soggetto a continuo mutamento. Inoltre, l’Amante divino non ha la continua necessità di stare accanto e parlare con l’amato, a meno che, così facendo, non gli procuri un qualche beneficio spirituale; invece, l’amante volgare desidera costantemente essere unito all’amato attraverso i sensi per intrattenere con lui rapporti di natura esclusivamente fisico/materiali. Per finire, è il testo stesso ad indicarci l’abissale differenza che intercorre fra i due generi di amanti: Socrate, ossia l’Amante divino, è il “primo” ed il “solo” mentre gli amanti volgari sono generalmente “gli altri” – detto in altri termini, l’Amante divino è a immagine del Bene ed agisce nello stesso modo nei confronti dell’amato, con un’incessante attività provvidenziale ed elevante, mentre tutti gli amanti volgari sono specchio della molteplicità caotica del mondo del divenire, preda di tutti i generi di passioni illusorie che si incontrano in tale dominio. Possiamo però notare che Socrate non nega il nome di ‘amanti’ anche agli “altri”, ma li presenta piuttosto come coloro che non amano Alcibiade ‘in sé’, in quanto amano solo ciò che sembra appartenergli: bellezza sensibile, ricchezze, influenza, nome del padre, etc.: “completamente impegnati con le immagini, dimenticano le anime ed ignorano completamente il vero Alcibiade; allora (Socrate) mette in evidenza la loro ipocrisia nei confronti dell’amore e (mette in evidenza) che, mancando del tutto la vera ispirazione di Amore, vi hanno sostituito una mera immagine e, a causa di ciò, sono intrappolati nella mera apparenza della bellezza.” Possiamo notare che “chi possiede è posseduto”, nel senso che chi non si attacca alla bellezza sensibile e non ne rimane ossessionato, ne gode veramente in quanto ne scorge la natura di ‘immagine del Bello’ e, attraverso essa, ascende nella scala di Eros, mentre chi si attacca alle forme che mutano continuamente, pensando di possederle, ne è posseduto e rimane quindi intrappolato in tale dimensione mutevole: non dimentichiamo mai che l’imprigionato ha forgiato da sé le sue stesse catene, perché “la divinità è incolpevole ed è solo causa di beni”. Alla base di tutto ciò è una verità inconfutabile, che ciascuno ha potuto sperimentare almeno una volta nel corso della propria vita: tutte le forme ed ordinamenti di Amore sono legati ad una corrispondente forma di Bellezza: l’amore divino corrisponde quindi ad amore per la divina Bellezza, ma l’amore sensibile e che si fonda sull’illusione è della bellezza illusoria che va in cerca “perché essa è tutto ciò che può vedere e, riguardo al divino, è come chi si trova ad essere completamente cieco.”
Straordinariamente, Proclo istituisce una similitudine con i Misteri: Socrate, ad immagine del Bene, viene prima di tutta la molteplicità degli amanti materiali e si prende cura fin dall’inizio dell’anima dell’amato; tollera poi che l’amato si associ alla multiforme massa degli amanti del sensibile, coloro che “non sopportano lo spettacolo della verità” – allo stesso modo, per chi viene iniziato, vi sono dapprima le apparizioni multiformi e la guida della provvidenza divina: “Come nei più sacri fra i riti di iniziazione dicono che gli iniziati incontrino al principio vari e multiformi generi di esseri che stanno schierati innanzi agli Dei, ma entrando senza vacillare e protetti dalle iniziazioni …” (Pr. Theol. I 16) Quando infine, a causa dell’instabilità insita nei legami materiali, tutta la massa degli amanti volgari si disperde, allora il divino Amante è l’unico a rimanere accanto all’amato, e quest’ultimo è ora “pronto per la comunione con l’amante divino e per la condivisa ed armoniosa attività con lui. E se proprio devo esprimere il mio giudizio, tutto ciò mi pare che sia straordinariamente simile ai riti dei Misteri.”
Il Filosofo indica poi un pericolo gravissimo: ogni qualvolta un essere inferiore si finga superiore, accade che attragga a sé e rovini le anime di coloro che ancora non sono “protetti dalle iniziazioni”, coloro che ancora non si sono purificati. L’esempio perfetto che Proclo presenta è duplice: come il sofista che si finge vero filosofo trascina verso il basso e le apparenze molteplici le anime “meno perfette”, allo stesso modo, gli amanti volgari, che si fingono amanti divini, trascinano via l’anima dell’amato “dall’altezza dei beni Olimpici verso le cose oscure della materialità.” Anche qui si mantiene l’analogia con “i più sacri fra i Misteri” (quando Proclo usa questa espressione, si riferisce sempre ad Eleusi, anche per sottolineare l’identità fra quelle “beate iniziazioni” ed il messaggio soteriologico degli Oracoli): prima delle “integre manifestazioni” degli Dei, agli iniziati si presentano le “apparizioni di certi spiriti del mondo sotterraneo, che confondono gli iniziati, li strappano dai puri beni e li attraggono verso la materialità. Per questo gli Dei (negli Oracoli) ci esortano a non guardare ad essi prima di essere stati rafforzati dai poteri che derivano dai sacri riti: ‘non devi guardare ad essi prima che il tuo corpo sia stato iniziato’.” Pertanto, l’analogia è evidente: gli amanti volgari, nell’ascesa di un’anima verso l’Amore divino, si comportano esattamente come gli spiriti del mondo sotterraneo durante le iniziazioni, allontanando l’amato dai Misteri e trascinandolo verso la miseria dell’illusione.
Socrate è perciò come l’Agathos Daimon per Alcibiade: lo sorveglia silenziosamente e nascostamente si prende cura di lui. Infatti, prima di tutte le relazioni famigliari, di ciascuna persona si prende cura un Daimon, e tale entità non solo ci guida durante tutta la nostra vita, ma, una volta separati dal corpo, si occuperà anche del nostro cammino per arrivare di fronte ai “veri Giudici” di laggiù: “ciascuno sarà guidato da quello spirito che si è preso cura di lui durante la vita.” (Phaed. 107d) Come silenziosamente il Daimon è sempre presente e, non visto, “segretamente corregge le nostre vite”, così agisce il divino Amante; come il Daimon parla e si rivela a colui che si è liberato degli ‘spiriti multiformi’ del mondo ctonio, così Socrate, dopo che i molti amanti volgari hanno lasciato solo il suo amato, gli rivolge la parola e lo invita a volgersi verso i reali beni dell’anima.
Sempre seguendo il ragionamento a proposito della differenza fra l’Amante divinamente ispirato e quello volgare, si deve sottolineare che esistono due forme di entusiasmo, esattamente come esistono due forme di amanti e di amori: un genere di entusiasmo è quello superiore alla moderazione (“non si genera dall’interno – dagli umori materiali – ma è un soffio che proviene dall’esterno … questa commozione dell’anima è chiamata entusiasmo (da entheos) per il fatto che partecipa di un potere più divino (rispetto a quello mortale)” cf. Plut. Moralia), mentre l’altro è quello che ne è privo (la follia “trasmessa all’anima da parte del corpo”). Così, sebbene tutti gli amanti provino entusiasmo nei confronti del bello (essendo così tutti chiamati ‘amanti’ allo stesso modo), la differenza fra i generi di entusiasmo e fra i diversi gradi del bello cui si può aspirare riconfermano ancora una volta la grande distanza fra l’Amante divinamente ispirato, “colui che ama l’anima”, e quelli volgari, che “vanno dietro ai fantasmi.” In effetti, anche in presenza dei molti amanti volgari, Socrate è sempre “il solo e vero amante”, perché è l’unico che abbia veramente a cuore il bene del suo amato, seguendo la divina ispirazione dell’Amore divino, uni-forme e colmo di tutti i beni. Socrate, ancora una volta, rappresenta la Monade perfetta che trascende tutta la molteplicità degli amanti volgari: il divino Amante è immagine di Eros che, a partire dall’ordinamento delle divinità intelligibili, “lega ciò che è diviso, unisce ciò che precede e ciò che segue, fa volgere ciò che è secondario verso ciò che è primario ed eleva e perfeziona ciò che è meno perfetto.” L’Amante è colui che, colmo del “fuoco divino”, lo trasmette all’amato senza però abbassarsi a condividere le sue caratteristiche inferiori (innalza e mai può essere trascinato in basso), manifestando così i due caratteri principali della provvidenza spirituale: il primo è che essa si propaga in ogni dove dall’alto verso il basso (esattamente nello stesso modo in cui procedono le serie divine) e non c’è entità che non ne sia illuminata; il secondo è che essa, pur passando attraverso tutte le cose, non ne è contaminata e pertanto rimane sempre identica e costante, né la sua potenza può venir meno.
Notevolissimo è quanto viene detto subito dopo, a proposito degli amori divini: l’amore divinamente ispirato è un bene – “un dono davvero divino” – e tutto ciò che esiste di buono nelle anime “ed opera per la loro salvezza” ha la sua causa stabilita presso gli Dei. Per questo, la causa primaria di Amore risiede fra gli Dei e certamente tutti gli Dei sono Amanti ed Amati divini: “anche gli Dei amano altri Dei, i superiori (amano) quelli che sono (gerarchicamente) inferiori in modo provvidenziale, e gli inferiori i loro superiori in modo riflessivo.”
In un certo senso, la massa degli amanti volgari risulta utile, in quanto mette alla prova ed insegna che né bisogna fuggire completamente le passioni né bisogna rimanere senza esperienza della gamma delle emozioni, bensì bisogna mantenere una ‘via di mezzo’ imparando così a superare la tendenza al disordine e all’eccesso, insita in ciascuno a causa del corpo e della natura ‘titanica’ delle passioni: questo ‘allenamento’ è anche una forma di catarsi dell’anima. La personalità nobile frequenta dapprima “la massa degli amanti volgari”, ma il contatto con la loro bassezza le fa ardentemente desiderare di nuovo la vicinanza, che eleva e purifica, del divino Amante: è solo per questo motivo che Socrate giudica Alcibiade “degno di amore” e si manifesta di nuovo al giovane, dopo aver lasciato passare molti anni, “anni durante i quali mai ti rivolsi la parola.”
Il suo scopo è ormai quello di “mostrargli la vera scienza di Eros”: è esattamente questa manifestazione di bontà divina che commuove e stupisce Alcibiade – “cosa potrebbe esserci di più divino nella vita degli esseri umani di questi aspetti che manifestano la meraviglia della divina provvidenza in atto verso le entità seconde?” – Alcibiade capisce che la virtù e l’amore di Socrate hanno un’origine superiore rispetto alle ‘semplici’ virtù umane, conseguibili attraverso l’episteme, e rispetto all’amore nell’ambito della generazione, perché, a tutti gli effetti, Socrate gli dimostra di possedere la “divina ispirazione”.
“Ed un migliore aiutante di Amore verso la Filosofia non è facile da trovare” (Simp. 212b)
Socrate dunque si presenta come “Amante divinamente ispirato” e suscita lo stupore del giovane Alcibiade nei confronti della vera Filosofia: è esattamente quanto avviene “nel corso dei più sacri fra i Misteri”. Al principio “certi eventi che suscitano stupore e commozione precedono la celebrazione dei riti” e, attraverso “ciò che viene detto e ciò che viene fatto” (legomena e dromena dei Misteri Maggiori), l’anima si sottomette alla divinità; allo stesso modo, “sulla soglia della Filosofia”, il Maestro suscita stupore nel discepolo in modo da infondere in lui il desiderio verso la vita filosofica e la conseguente liberazione dell’anima.
Ed ecco che Proclo rivela l’identità fra il divino Amante e l’uomo spirituale: l’Amante, essendo ispirato, gode della comunione con il Daimon “attraverso cui è unito agli Dei”, e gode di tutti i beni corrispondenti proprio grazie al ruolo mediano di Eros, che sempre collega le nature desideranti agli oggetti d’amore. Però “anche l’uomo spirituale è un Amante”: come altrimenti potrebbe godere dei beni spirituali, se dal principio non si fosse unito al Daimon che fa da intermediario? “Per questo gli Oracoli chiamano questo Dio ‘guida unificante di tutte le cose’ … perché è Lui che ci unisce alla cura provvidenziale dei Daimones” che ricongiungono agli Dei. Così si svela ancora più chiaramente l’intera serie di Eros: emergendo nell’ordine dell’Intelletto Intelligibile (Phanes … “ed il cieco Eros”, cf. Orph. fr. 82), il primissimo Amore unifica tale Intelletto con la prima Bellezza nascosta, propria di questo ordinamento; guardando in basso, Eros unisce poi tutti gli Dei alla Bellezza Intelligibile, i Daimones agli Dei, ed infine noi stessi ai Daimones e agli Dei. Ne risulta quindi che tutta la sfera demonica dipende da Eros: Eros è a metà strada e congiunge l’amato e l’amante, esattamente nello stesso modo in cui l’ordine mediano dei Daimones collega e congiunge Dei e mortali.
Praticamente allo stesso modo, l’anima (Alcibiade) ha una posizione mediana fra la realtà intellettiva (Socrate) e quella materiale (gli altri amanti): per un verso, quando l’anima guarda all’intelletto e alla sua bellezza, si meraviglia ed il suo amore diventa stabile; quando invece guarda alla materia illusoria e si interessa solamente alla bellezza dei corpi, il suo amore si fa instabile perché muta insieme al mutare degli oggetti di desiderio. Ecco perché gli amanti volgari hanno abbandonato Alcibiade, nel momento in cui lui – ossia l’anima – ha mostrato loro la sua superiorità rispetto alla materialità e la sua grande affinità e trasporto verso la realtà intellettiva. “Per questo, l’Amante ispirato, che ha raggiunto l’alto genere della Bellezza stabile ed immutabile, difficilmente abbandonerà il suo amore.”
“I due elementi del vero e divino Amore, giudizio e simpatia”
Questi sono in definitiva i due caratteri dimostrati da Socrate e, dal momento che si tratta di questioni d’Amore, essi devono essere ben mescolati e praticati contemporaneamente dal vero Amante: il giudizio (su di una persona, sul suo carattere e sulle sue attitudini e capacità – le virtù dell’anima che fanno nascere il “legame di fuoco” di Eros) privo della simpatia distrugge qualsiasi forma di philia, mentre la simpatia priva di giudizio “conduce l’anima al peggio”.
Tale è dunque il giudizio, ricco di amore provvidenziale, da parte di Socrate nei confronti di Alcibiade – e, di conseguenza, del Filosofo nei confronti delle anime nobili ma non ancora iniziate: il giovane ha sì vinto gli amanti volgari, ma è ancora imperfetto in quanto non riesce a discernere la vera natura di Eros né sa comprenderne i differenti ordinamenti né “il modo in cui ciò che è contrario a natura differisca da ciò che non lo è.” Naturalmente, non è del tutto inadatto ad essere iniziato all’amore divino – altrimenti non avrebbe cercato l’aiuto di Socrate né si sarebbe meravigliato del suo essere divinamente ispirato – e Socrate, “colmo di bene e di bello, offre al giovane uomo la partecipazione alle virtù”, pre-requisiti di tutte le iniziazioni. Non per caso, Proclo usa un’immagine mitologica per spiegare come mai l’Amante divino “discenda in modo che, come Eracle, egli possa condurre fuori dall’Ade il suo amato”: si tratta di un riferimento al mito di Eracle che liberò Teseo dall’Ade, un tema carissimo agli aristocratici, in quanto sintetizza in modo perfetto la natura della vera philia che esiste fra le anime nobili (cf. Crizia, Piritoo, fr. 15a) Come Eracle, l’Amante vuole dunque ricondurlo dalla vita vissuta all’insegna esclusivamente della materialità verso la vita veramente divina, giungendo così a “conoscere se stesso ed il divino, che trascende tutti gli esseri ed è la causa che esiste prima di tutte.”
Il cerchio così si chiude e possiamo dire di essere arrivati, “insieme a questo uomo divino”, al termine di questa breve indagine a proposito dei Misteri di Eros. Ovviamente, questo articolo non ha alcuna pretesa di completezza: ci vorrebbe la profondissima sapienza della ‘Straniera di Mantinea’ per poter spiegare in modo perfetto questo tema delicato ed estremamente luminoso! Nei limiti delle mie possibilità e conoscenze, ritengo sia comunque fondamentale cercare di diffondere questo Modello ancestrale e questo bene davvero divino, in quanto ci troviamo tutti a vivere in un’epoca in cui i doni di Eros vengono esaltati solo da “amanti volgari” e goduti nel modo più basso possibile, e le manifestazioni della divina Bellezza vengono svilite, usate per i fini più turpi e storpiate per servire un gigantico modello di dismisura, hybris e palese odio nei confronti del cosmo divinamente bello e degli Dei che sono fonte di ogni bene. L’auspicio è che, dal momento che “tutto possono gli Dei”, i mortali si volgano nuovamente verso la venerazione di ciò che è veramente Bello e Bene in sé e che si manifestino numerosi Amanti divinamente ispirati, e possano costoro guidare le anime, ancora una volta, a ‘danzare entusiasticamente’ attorno al divino! Che l’umanità quindi, se è degna di tal nome, “rigetti passioni illegittime ed azioni empie”(Paus. IX 16, 3) in onore della suprema Bellezza e del potentissimo Eros!
Daphne Varenya Eleusinia
[1]Per i passi citati dal Commento all’Alcibiade di Proclo, mi sono basata su queste due edizioni: A.Ph. Segonds, Proclus: Sur le premier Alcibiade de Platon, 2 volumes, Paris 1986; L. G. Westerink, Commentary on the First Alcibiades of Plato – Amsterdam, North-Holland Publishing Company, 1954- questo perché, come ho spiegato nel corso dell’articolo, assurdamente non esiste un’edizione italiana di questo testo prezioso!