Agli inizi degli anni Ottanta, Guillame Faye scrisse un libro illuminante per comprendere la situazione in cui versava – e versa tuttora – l’Occidente. Le Système à tuer les peuples, tradotto in Italia come Il sistema per uccidere i popoli. Pare se ne stia approntando una nuova edizione, ed è cosa buona e giusta, a dimostrazione che qualcuno, già in tempi non sospetti, ci aveva messo sull’avviso, denunciando le inevitabili derive di un sistema che solo può essere definito etnocida. Il sistema che uccide i popoli, espressione roboante ma non troppo distante dalla realtà, come testimoniato, tra le altre cose, dal vertiginoso crollo demografico che negli ultimi tempi ha allarmato anche i progressisti più irreducibili. I nipotini di Marx – benché per ragioni più o meno elettorali – evidentemente cominciano a intravedere i limiti di una civiltà che importa ed esporta carne umana, fautrice del concetto di citizen of the world e di un’emigrazione di ripopolamento.
Il globalismo ci sta uccidendo, ecco tutto. E lo fa secondo diverse declinazioni, dietro alle quali si cela un’atroce volontà di uniformare senza precedenti. Ma che significa uniformare? Semplice, significa cancellare, riconoscere come fittizia quella che è una realtà concreta (la differenza irriducibile, ineliminabile, condizione dello scontro come dell’incontro) e sostituirla con un’irrealtà. Anche perché la differenza, come insegna la filosofia spicciola, è legata ad un altro termine che il sistema attuale pare aborrire: il limite, il confine, la frontiera. E il Sistema che uccide i popoli è lo stesso che ha scagliato una pietra tombale sul nomos della terra. L’ha ucciso orizzontalmente e verticalmente, ne ha cancellato i limiti spaziali e le genealogie storiche, precipitandoci in un eterno presente salmodiato dal basic english apolide e sradicato. Un senzafrontierismo che agisce in svariati ambiti, economico, culturale, sociale… Una sostituzione burocratica che si ammanta volentieri di correttezza. Ogni intellettuale à la page oggi non può che dirsi corretto: politicamente, culturalmente, geograficamente ed… eroticamente.
A quest’ultimo aspetto è dedicato il libro di Adriano Scianca, appena pubblicato da Edizioni Bietti nella collana “l’Archeometro”. Contro l’eroticamente corretto, appunto. Sottotitolo: Padri e madri, uomini e donne nell’epoca del gender. Uno studio che registra un mutamento in atto, attingendo a fonti diversissime, dalla cultura alta a quella bassa, dalla filosofia alle serie tv, dalla metafisica della storia alla cultura pop. Un libro il cui merito maggiore è quello di deanestetizzarci da certe mode culturali del momento.
Argomento? Il gender. Tutti ne parlano tutti lo chiedono tutti lo vogliono. Ma pochi sanno di che si tratta, pochi conoscono l’eterogeneità delle posizioni che vanno a confluire in questa ideologia – perché di ideologia si tratta –, alcune più estreme, altre più concilianti. La cui chiave di volta, semplificando, è però una sola: l’idea di concepire la sessualità come un prodotto esclusivamente culturale, dunque modificabile, nonché creabile, alla bisogna. Una teoria tra le altre, insomma, e null’affatto innocente, come vorrebbero farci credere le dichiarazioni stucchevoli di certi suoi rappresentanti, tesa a distruggere un’eredità, creando un uomo nuovo, «neutro, senza identità, senza genere, senza origine, senza destino». Il sogno dell’uomo nuovo, tradotto da certi buontemponi del Secolo Breve in totalitarismi ed ingegnerie sociali, sembra ossessionare ancora l’homo occidentalis.
Un sogno che, prendendo le mosse da episodi discriminatori, di certo meritevoli di attenzione e deprecabili in toto e senza riserve, finisce per dissolvere ogni limite. Ma ora all’uomo a una dimensione dell’ormai dimenticato Marcuse si propone una nuova redenzione… questa volta sillabica. LGB, LGBT, LGBTQ, LGBTQI… Un moltiplicarsi di minoranze pruriginose e stizzite, bigotte e libertarie, dissolve le polarità di uomo e donna, realizzando ipso facto il sogno inconfessabile del capitale, che livella le differenze tra i sessi, creando un tipo umano amministrabile e delocalizzabile. Un’analisi lucidissima, quella di Scianca: «L’umanità occiden¬tale che, sul finire del suo viaggio al termine della notte, si proclama senza radici è la stessa che si vuole anche neutra¬le rispetto al genere. Ma un agglomerato che non viene da nessuna parte è fatalmente destinato a finire nello stesso luogo: nel nulla».
Insomma, siamo sempre più simili e allo stesso tempo sempre più diversificati.
Un solo esempio, tra i molti raccolti da Scianca, verificabile da chiunque disponga di una pagina Facebook. Andate nelle impostazioni del vostro profilo, nel campo “sesso”: lasciate perdere maschio e femmina, cliccate altro. Provate a digitare una qualsiasi lettera a vostro piacimento e attendete che il completamento automatico faccia il suo dovere. Vi compariranno allora bizzarre diciture. Se digitate una “A”, i risultati suggeriti saranno Agender e Androgyne. Se invece volete cimentarvi con una “G”, potreste scoprire di essere Gender Fluid, Gender Nonconforming oppure Gender Questioning. E così via. Ma quanti sono questi generi? Cinquantasei. Sì, avete capito bene: secondo Zuckerberg e compagnia bella, la sessualità può predicarsi in cinquantasei modi diversi. Eccoli, in rigoroso ordine alfabetico: Agender; Androgyne; Androgynous; Bigender; Cis; Cis Female; Cis Male; Cis Man; Cis Woman; Cisgender; Cisgender Female; Cisgender Male; Cisgender Man; Cisgender Woman; Female to Male; FTM; Gender Fluid; Gender Nonconforming; Gender Questioning; Gender Variant; Genderqueer; Intersex; Male to Female; MTF; Neither; Neutrois; Non-binary; Other; Pangender; Trans; Trans Female; Trans Male; Trans Man; Trans Person; Trans Woman; Trans*; Trans* Female; Trans* Male; Trans* Man; Trans* Person; Trans* Woman; Transfeminine; Transgender; Transgender Female; Transgender Male; Transgender Man; Transgender Person; Transgender Woman; Transmasculine; Transsexual; Transsexual Female; Transsexual Male; Transsexual Man; Transsexual Person; Transsexual Woman; Two-spirit. Lunghe liste di proscrizione, di classificazioni, un cammino intrapreso verso quella burocratizzazione della sessualità denunciata da Francesco Borgonovo qualche tempo fa. Quale il suo scopo? Creare nuove categorie di minoranze, da proteggere, accudire… soprattutto, nuove minoranze cui vendere.
È qui che il sogno del gender torna al suo luogo naturale, coniugandosi con il capitalismo: ci troviamo di fronte a nuove brandizzazioni, nuove targettizzazioni. Ecco cosa tiene insieme i vari fenomeni messi insieme da Adriano Scianca in questo tagliente studio: manovre di tipo economico. Null’altro. Sono giri di quattrini a orientare le scelte di case automobilistiche e aziende di moda, stilisti e giornalisti. Un’ipersessualizzazione – che però cela quello che molti psicologi, anche in tempi non sospetti, definirono crollo del desiderio – con lo scopo di creare nuove categorie di consumatori, sempre più minuziosamente definiti, in base a criteri diversi da quelli che per millenni hanno costituito un retaggio, un’eredità, una storia (il Sistema che fluidifica le frontiere è lo stesso che azzera la storia, come ha notato acutamente Guido Ceronetti nel suo pamphlet Per non dimenticare la memoria).
Quindi, la prossima volta che vedete in qualche pubblicità patinata una coppia omosex alle prese con una scatoletta di carne o in ammirazione di una cucina prefabbricata, alla guida di un’auto nuova fiammante oppure con in mano uno smartphone, non credete alle menzogne del capitalismo etico, sensibile, empatico, improvvisamente open-minded, al passo coi tempi e così via. Contrordine compagni! Nessuna resa al nuovo-che-avanza: hanno solo creato nuovi acquirenti, sempre più segmentati, che ora devono pagare – e caro – il loro appartenere a una minoranza.
Andrea Casati
2 Comments