Da tempo, i libri di Giandomenico Casalino si muovono attorno al significato ultimo del concetto di Tradizione. In questo sforzo va inserita anche la sua ultima fatica, Sigilum Scientiae. L’essenza vivente ed ermetica della Romanità e il Platonismo, da poco nelle librerie per la casa Editrice e Libraria edit@ di Taranto (per ordini: editaonline@libero.it, fax, euro 15,00). Il libro, una raccolta di saggi comparsi sulla rivista telematica EreticaMente, è impreziosito dall’ Introduzione di Luca Valentini. Questi esordisce sostenendo che la Via dell’autore “è quella sanguigna, eroica e solare della Tradizione di Roma, quale espressione marziale di una trasmutazione interiore” (p. 11-12). La definizione è, da un punto di vista generale, propedeutica all’effettiva comprensione dell’esegesi presentata da Casalino. Il libro muove dal Proemio, per svilupparsi in due ulteriori momenti. L’autore, preliminarmente, spiega il senso del titolo: il testo non fa altro che “sigillare” e custodire i principi della Scienza, e testimonia un’esperienza sofferta e vissuta di autentica conoscenza.
Nel Proemio, lo studioso leccese presenta, in modalità dicotomica, la visione del mondo tradizionale e quella moderna. La prima è qualcosa che va necessariamente “ri-cordata”, recuperata, in quanto consustanziale, da sempre, all’essere uomini. Consiste sostanzialmente nel riconoscere che microcosmo e macrocosmo hanno lo stesso logos, lo stesso ordine che è forma, cosmo, spazio ordinato da leggi e misure. L’uomo, dio mortale, può ri-conoscere tale ordine. L’ universo è ciò che tende all’Uno, che, sulla terra, si mostra nell’ordinamento giuridico-religioso e politico. All’ordine solare e virile si accompagna quello femminile, che preside alla funzione tellurica, riproduttiva, economica e, grazie ad Eros, congiunge la Terra al Cielo, unisce in Uno i due mondi. Sul piano macrocosmico, nel caos, abisso originario, penetra il raggio solare, principio della verticalità, obelisco divino che, illuminando la Caverna caotica, dà luogo al Cosmo. L’ordine politico tradizionale svolge la medesima funzione anagogica “ricondurre l’uomo quanto più possibile vicino al Cielo, verso Juppiter” (p. 18), come Roma seppe fare con Leggi e Rito.
A ciò si contrappone la visione moderna: individualista, utilitarista, economicista e materialista. Per Casalino la Modernità “è una progressione evidente di sovversioni che gradualmente hanno scardinato l’ordine tradizionale” (p. 23). Da ciò discende il compito prioritario assegnato ai combattenti dello spirito. Quanti si muovano in tale ambito hanno contezza, con Hegel, letto dall’autore quale estremo rappresentante della Verità platonica, che il Vero è l’Intero. La Tradizione, quindi, è viva non soltanto nell’Età dell’Oro ma anche in quella della Distruzione. In essa va “ri-cordata”, riportata nel cuore “la lucida e ferma mistica intellettuale apollinea, evitando tanto la deriva sacerdotale quanto il dionisismo cristianista” (p. 27). Mentre la concezione “asiatica” interpreta il mondo quale deserto, o mare senza limiti e confini, la visione pluralista indoeuropea, greco-romana, dà luogo ad una Città augēscens che espandendosi, non solo accoglie l’estraneo, ma diffonde se stessa, i propri valori e la propria visione del mondo. Roma ha illuminato il mondo con la concezione organica e gerarchica dell’Autorità. Nel sapere filosofico tale idea si è mostrata da Eraclito ad Hegel. In essi “la parte è vista quale ‘momento’ […] del viaggio verso il Risultato che è l’Assoluto cioè l’Idea” (p. 37).
Roma giunse, lungo tale iter, ad identificare la dimensione pubblica con quella sacra ed il privato con il profano. Ciò avvenne nel momento in cui, argomenta Casalino, gli abitanti dei villaggi sorti lungo il Tevere rinunciarono a concedere il primato religioso al fanum, il tempio locale, e al patres delle gentes, assumendo finalmente la coscienza di essere divenuti Populus “riconoscendo come propri gli dei poliadi[…]Juppiter, Mars, Quirinus” (p. 43). Allora nacque il Pubblico, che fu subito Sacro. Per questo i Romani seppero sollevare la moralità all’Eticità “con la spiritualità dello jus, divenendo Mos Maiorum, realtà metafisica […] sovrapersonale, sacra e quindi immodificabile ed indiscutibile” (p. 54). Roma si presenta con valore onfalico, Tradizione che consente il contatto divino-umano nel mondo e nell’eternità. Come riconobbe Giuliano Kremmerz, la Città Eterna realizza la realtà fenomenica in forza della sua Azione sull’Realtà invisibile, con un Atto dello Spirito attivo e magico “l’Ordine, il Fas che è la Divina armonia musicale si manifesta e si riverbera […] nel visibile come Jus: la coincidentia oppositorum, l’abbraccio ermetico degli Elementi dell’ Athanor è l’Impero” (p. 80).
Un simbolo domina l’esegesi di Casalino, più di altri: la Spirale di Stefanio. Essa è al medesimo tempo icona dell’universo, delle civiltà in espansione e della Via. La storia di Roma, in senso ermetico, si è realizzata agitando Mercurio e fissandolo in Marte, per giungere con guerre e conquiste, a Giove. A tanto riuscì Cesare che chiuse l’Età degli eroi. Quello di Cesare fu però Regno senza stabilità. Seguendo la Spirale, dopo Cesare ci fu la discesa nella regione lunare, e la successiva risalita a Saturno, Re della Prima Età. Augusto rifonda la Città. “E’ il ritorno di Amor, ‘sposato’, posseduto, dal puro principio apollineo[…] che è tale proprio per l’avvenuta riconquista di Amor-Venere” (p. 136). A dire dell’autore in Filosofia tale via è stata testimoniata da Platone, che riunificò momento Religioso e Conoscenza. Ciò permise di superare i rischi della sofistica e del misticismo orfico e il ripristino del cosmoteocentrismo ellenico Il Sapere platonico è così sintonico a quello ermetico per la corrispondenza tra “Astri-Numi-Metalli sia interiori che esteriori”(p. 143). Sapere riproposto a beneficio dai moderni da Evola e da Hegel. Esso si differenzia dalle riemersioni della matematizzazione del mondo, di origine pitagorica che, al contrario, Casalino ritiene essere la matrice “femminile” da cui sarebbe sorta la Modernità, come attesta il Discorso del metodo di Cartesio. Per Platone e la Tradizione sapienziale, invece, è solo la Dualità ad essere numero, mentre “il Tre[…] è l’Uno” (p. 93). Il numero platonicamente inteso è l’Indeterminato, l’hegeliana “cattiva infinità”. Questi, tra gli altri, alcuni dei plessi teorici presenti nel libro che ci auguriamo aprirà il dibattito intorno al pensiero di Tradizione.
Giovanni Sessa