16 Luglio 2024
Attualità

Una volta per tutte: NO IUS SOLI – Enrico Marino

E se alla fine Alfano fosse un’opportunità? Occorrerà sperare nella doppiezza di questo indecente politico per respingere l’ultimo assalto delle sinistre a un bastione dell’italianità e del futuro di questo Paese. Già, perché Alfano va preso tutto intero, nel bene e nel male, sia come stampella dei peggiori governi della Repubblica, sia come guitto affarista che, privo di scrupoli e di principi, pensa solo a difendere i propri interessi elettorali e i suoi calcoli di potere. Perciò, se al Senato mancheranno i numeri per far passare lo ius soli, sarà solo perché il ministro degli Esteri si vorrà preservare dal giudizio delle urne e dalla rabbia degli italiani, certamente non perché ispirato da nobili ideali.

Ideali che, al contrario, non difettano nelle sinistre e nel PD che, addirittura, indica lo ius soli come una delle “priorità” nella sua agenda politica. Di che ideali si tratti, però, è facile immaginare, visto che negli ultimi anni, in maniera felpata, il “moderato” Renzi e i suoi accoliti hanno introdotto nell’ordinamento italiano una serie di normative spregevoli e devastanti, dai matrimoni omosessuali alle lezioni di genere nelle scuole, fino all’accettazione dell’adozione omosessuale.

Le farneticazioni in tema di omosessualità e immigrazione con cui da tempo siamo bombardati, con un tasso di violenza intimidatoria insopportabile, sono l’esempio emblematico di tali ripugnanti “ideali” progressisti.

Mediante il controllo della parola, le sinistre hanno cercato di operare una subdola manipolazione del pensiero: sfruttando il politicamente corretto, adottando un linguaggio ipocrita, introducendo rigidi limiti rispetto alla rappresentazione e alla percezione della realtà tutta intera, hanno voluto imporre dogmi impliciti e indiscutibili, per originare nuove forme di conformismo radicale e opprimente. In questo modo, il nuovo moralismo di stampo radical-puritano ha costruito i suoi dogmi, adottando il linguaggio zuccheroso e sdrammatizzante delle buone intenzioni e della falsità, per obbligarci ad accettare, in campo sessuale, ogni perversione come una semplice variante alla naturalità delle relazioni tra uomo e donna e, in materia di identità nazionale, l’invasione di africani come un’accoglienza umanitaria e un vantaggio economico. Ne consegue che tutti quelli che si oppongono a questo progetto sono esseri retrivi, egoisti e prigionieri di un oscurantismo che non ha più diritto di esistere, perché, soprattutto, sono nemici della Felicità e dell’Amore, i due nuovi feticci di questi tempi ultimi con i quali, ipocritamente, si cerca di colmare il disperato vuoto di un’umanità orfana d’ideali e riferimenti più alti. Questo abominevole genere di amore, in realtà, è la maschera dietro cui si nasconde il volto mostruoso del bio business, dell’utero in affitto, il mercimonio spregevole e ripugnante della vita nel suo stadio iniziale e più vulnerabile, il progetto innaturale e invertito della genitorialità omosessuale generatore del nulla che, attaccando i fondamenti della procreazione e della maternità così come si sono naturalmente affermati dall’origine fino a oggi, vuole attaccare e distruggere i fondamenti del mondo e della vita.

A questa immagine falsa e artefatta dei valori sociali e individuali, con cui imporre una visione unilaterale e invertita della dimensione del vivere, si associa quell’altra visione, parimenti sconnessa dalle drammatiche emergenze della realtà, che ci vorrebbe persuadere che solo l’accoglienza è bene e che se dici che l’accoglienza senza limiti è un male sei disumano e contro la libertà. L’Europa, quale è esistita, quella della nostra nascita, della nostra cultura, delle nostre città, di tutti i nostri valori sta rapidamente scomparendo sotto i nostri occhi e nel breve volgere di qualche generazione sarà un ricordo del passato. In sostanza, i bianchi italiani ed europei, come già accade negli Stati Uniti, vittime della loro denatalità conculcata dalla società del benessere e dall’ideologia radical, stanno andando incontro a un rapido inabissamento, che presto ne farà una minoranza minacciata di estinzione sul suolo europeo. Al cospetto di questa drammatica realtà, i democratici vorrebbero introdurre anche in Italia il principio dello ius soli per regolare l’acquisto della cittadinanza.

La suprema menzogna, come sempre, è quella del mieloso buonismo, quella che antepone i fanciulli, i presunti diritti dei minori, le garanzie di uguaglianza per i bambini stranieri, l’integrazione per l’africano “compagno di banco” del piccolo italiano. Non è vero. A prescindere dalle tutele già garantite a tutti i fanciulli, indifferentemente italiani e stranieri, l’introduzione dello ius soli non è per niente orientata a sanare situazioni già esistenti – perché sarebbe assurdo introdurre una legge di tale rilievo solo per garantire immediatamente la cittadinanza ad alcune migliaia di stranieri presenti in Italia che, comunque, potranno ottenerla tra qualche anno – ma è precisamente rivolta a garantire la cittadinanza di coloro che arriveranno in futuro, nell’immediato, nei prossimi mesi e anni. Lo ius soli è esattamente la norma studiata e pretesa da coloro che progettano per l’avvenire una sempre maggiore immigrazione nel nostro Paese e vogliono, con questo strumento, garantire la permanenza, l’insediamento e l’assimilazione di nuove ondate di africani e di migranti economici sul territorio. Nell’attuale contesto storico caratterizzato da un’emergenza immigratoria e una grave carenza demografica interna, voler cambiare le norme sulla cittadinanza significa solo spalancare le porte alla sostituzione etnica, alla disintegrazione dei legami sociali, alla distruzione della nostra cultura e della nostra identità, all’insorgere di gravi conflitti sociali sul modello francese o americano.

La cittadinanza, conquistata e voluta, come un traguardo al quale pervenire dopo un percorso di assimilazione e accettazione consapevole dei valori e delle regole del nostro Paese, nel progetto delle sinistre, invece, verrebbe garantita a ogni straniero nato in Italia da un semplice percorso scolastico di cinque anni. Lo chiamano ius culturae, ma è l’ennesima mistificazione con cui vorrebbero far credere che un bambino, nato e cresciuto in una comunità etnica straniera, assimilandone i valori e seguendone i dettami, dopo cinque anni di scuole elementari possa essere considerato un cittadino italiano.

Si produrrebbe, di fatto, la surreale convivenza di un fanciullo “italiano” in una famiglia straniera, con genitori solo parzialmente coperti da un permesso di soggiorno, con una serie di complicazioni anche amministrative legate all’eventuale rimpatrio dei genitori stessi, ovvero ai ricongiungimenti familiari acquisibili dal “nuovo” piccolo italiano e alle problematiche di natura assistenziale ed economica connesse a tali ricongiungimenti. Se si osservano le previsioni contenute nella proposta di legge del ministro Minniti, si rileva immediatamente che i cosiddetti profughi sono destinati a impattare negativamente sul welfare italiano, già pesantemente compromesso e insufficiente per gli stessi italiani che lo sostengono con le loro tasse.

L’adozione di nuove norme sulla cittadinanza allargherebbe ulteriormente questo problema, inserendo nel tessuto sociale ulteriori richieste di assistenza, a fronte di un’immigrazione povera che, di fatto, impoverisce tutta la collettività su cui si riversa. Le sinistre, invece, sono pronte a fornire un ulteriore fattore di attrazione all’invasione africana che, col miraggio di una cittadinanza facile, incrementerebbe sicuramente i suoi arrivi, nella speranza di garantire a se stessa e ai propri figli un futuro da cittadini nella “ricca” Europa. Senza tenere in alcun conto le esperienze altrui, si verrebbero a creare anche da noi le stesse condizioni che hanno condotto in altri paesi europei, dove lo ius soli ha chiaramente fallito, alla nascita di seconde e terze generazioni di stranieri che non si sentono europei, spesso sono anzi animati da un rifiuto e un rancore antieuropeo. Interi quartieri di Parigi o di Bruxelles o Londra sono di fatto già fuori dall’Europa. Non c’è stata alcuna “integrazione” di genti diverse in un orizzonte culturale europeo, c’è stata solo la disintegrazione della società autoctona per lasciar spazio a un mosaico male assortito di enclavi etniche e tribali. La cittadinanza sulla carta non ha creato alcuna cittadinanza reale. Anzi, lo ius soli ha portato alla creazione di una serie di avamposti stranieri, potenzialmente nemici, nei paesi europei nonostante i vari soggetti “radicalizzati” fossero apparentemente inseriti nei loro contesti sociali, avessero studiato e avessero lavori, amici, vita in comune.

Perciò, questa battaglia assume un valore di civiltà che travalica la semplice affermazione politica. Noi oggi siamo chiamati a combattere contro la miserabile idiozia culturale che infesta la nostra società, la mitologia dell’accoglienza, la supponenza dei diritti e l’indulgenza dell’umanitarismo, subdolamente miscelate col progetto criminale della distruzione della nostra comunità e della sua identità etnico culturale, rispecchiato nei turpi calcoli utilitaristici delle cricche politiche colluse con il business dell’accoglienza e determinate a conservare il potere grazie all’apporto elettorale dei “nuovi italiani”.

Enrico Marino

2 Comments

  • Bruno Fanton 4 Ottobre 2017

    Concordo in tutto tranne che per ciò che concerne la demografia: alle nuove generazioni, a meno che non siano dei conigli selvatici, o non vogliano riprodursi copiosamente solo “per fare un dispetto agli Inch’ Allah”, è una possibilità preclusa. Siamo ormai al nomadismo dell’ occupazione (se c’ è, e quando c’ è; non crediamo che i giovani italiani se ne partano per l’ estero solo per fare del turismo scolastico o inseguire la logica decerebrante dell’ Erasmus-society), alla precarietà del lavoros tesso, all’ impossibilità di formare una coppia e men che meno una famiglia, all’ indisponibilità di case in affitto e con residenza stabile, alla casa di proprietà ridotta ad una chimera da sognatori incalliti, ai bambini delle coppie che lavorano (fortunate?) consegnate nelle mani di uno stato comunistoide in cui imperversano asili nido e scuole materne bolsceviche, che faranno di tutto per svaccinarceli via? Quali persone (del popolo, quindi NON benestante) ammesso e non concesso che possano vivere in coppia, possono permettersi di procreare? E poi, figliare con quali prospettive? Abitare sotto i ponti circondandosi di barboni e fradici scatoloni di cartone? Affidare la prole ai nonni (se sopravissuti a pensioni da inedia) con l’ alzheimer o il “Parkinson”? A babysitters (ammesso e non concesso che ci si possa concedere lo sforzo di retribuirne…) drogate e incompetenti, o peggio, terzomondiste? Ho dovuto sottopormi ad umiliazioni e inenarrabili sacrifici, (che – oltre ai genitori – non giovano nemmeno alla prole), io, 6 lustri fa, quando ancora non si parlava di crisi, per potermi permettere un (leggasi 1) figlio, e quasi-quasi ancora non sono convinto di aver fatto la cosa giusta. Chi sono i figli? Li conosciamo, noi? Un vicino di casa un giorno appioppò un meritato sculaccione al pargolo disobbediente, un bimbo sui 7 anni di età, e se lo vide uscire di corsa per tornare poco dopo accompagnato per mano da un agente della Polizia Municipale, dal volto truce e minaccioso. Gli avevano insegnato in classe a comportarsi così in caso di “violenza domestica”. A buon intenditor…
    Bruno Fanton
    Treviso

  • Bruno Fanton 4 Ottobre 2017

    Concordo in tutto tranne che per ciò che concerne la demografia: alle nuove generazioni, a meno che non siano dei conigli selvatici, o non vogliano riprodursi copiosamente solo “per fare un dispetto agli Inch’ Allah”, è una possibilità preclusa. Siamo ormai al nomadismo dell’ occupazione (se c’ è, e quando c’ è; non crediamo che i giovani italiani se ne partano per l’ estero solo per fare del turismo scolastico o inseguire la logica decerebrante dell’ Erasmus-society), alla precarietà del lavoros tesso, all’ impossibilità di formare una coppia e men che meno una famiglia, all’ indisponibilità di case in affitto e con residenza stabile, alla casa di proprietà ridotta ad una chimera da sognatori incalliti, ai bambini delle coppie che lavorano (fortunate?) consegnate nelle mani di uno stato comunistoide in cui imperversano asili nido e scuole materne bolsceviche, che faranno di tutto per svaccinarceli via? Quali persone (del popolo, quindi NON benestante) ammesso e non concesso che possano vivere in coppia, possono permettersi di procreare? E poi, figliare con quali prospettive? Abitare sotto i ponti circondandosi di barboni e fradici scatoloni di cartone? Affidare la prole ai nonni (se sopravissuti a pensioni da inedia) con l’ alzheimer o il “Parkinson”? A babysitters (ammesso e non concesso che ci si possa concedere lo sforzo di retribuirne…) drogate e incompetenti, o peggio, terzomondiste? Ho dovuto sottopormi ad umiliazioni e inenarrabili sacrifici, (che – oltre ai genitori – non giovano nemmeno alla prole), io, 6 lustri fa, quando ancora non si parlava di crisi, per potermi permettere un (leggasi 1) figlio, e quasi-quasi ancora non sono convinto di aver fatto la cosa giusta. Chi sono i figli? Li conosciamo, noi? Un vicino di casa un giorno appioppò un meritato sculaccione al pargolo disobbediente, un bimbo sui 7 anni di età, e se lo vide uscire di corsa per tornare poco dopo accompagnato per mano da un agente della Polizia Municipale, dal volto truce e minaccioso. Gli avevano insegnato in classe a comportarsi così in caso di “violenza domestica”. A buon intenditor…
    Bruno Fanton
    Treviso

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