9 Ottobre 2024
Federico II Ghibellinismo Tradizione Primordiale Tradizione Romana

Rex Mundi: Federico II, custode dell’Impero – Carlomanno Adinolfi

In molti conoscono la Kyffhäuser Saga, la leggenda che vuole il Barbarossa dormiente nel monte della Turingia in attesa del momento propizio per la rinascita, quando i corvi voleranno intorno alla vetta annunciando il ritorno del Re, pronto per la battaglia finale per riportare la Germania al suo antico splendore. Ma non tutti sanno che, in realtà, questa leggenda dai contorni insieme odinici e arturiani nacque non intorno alla figura del Barbarossa bensì a quella di suo nipote, lo Stupor Mundi Federico II. La leggenda fu adattata in pieno romanticismo e risorgimento tedesco nel XIX secolo: il Barbarossa era infatti più adatto al sentimento nazionale e alla rinascita della Germania rispetto al nipote, la cui vita lontana dalla nazione tedesca lo rendeva meno digeribile ai combattenti per l’identità e unità nazionale germanica. La leggenda originale infatti non aveva a che fare con il risorgere della grandezza di una singola nazione, ma aveva un respiro molto più ampio annunciando la Renovatio di un principio universale: quello dell’Impero, Sacro e Romano e dunque sovranazionale.

Federico II Hohenstaufen è stato indubbiamente il sovrano che più di tutti ha incarnato, dopo Augusto, la figura del Sovrano Universale. Lo stesso termine “ghibellino” usato come seguace dell’Imperatore e dell’Impero Universale in contrasto con le pretese di sovranità temporale da parte dei papi, nasce proprio con lo Stupor Mundi, dato che prima di lui il termine veniva usato solo in ambito di disputa dinastica, indicando i sostenitori della casa degli Hohenstaufen, originari del castello di Weiblingen, contro i sostenitori della casata sassone degli Welfen, da cui in origine il termine “guelfo”, il cui ultimo discendente Ottone IV fu il principale avversario di Federico II per l’ascesa al trono imperiale.

La figura dell’ultimo grande sovrano degli Hohenstaufen fu ammantata di miti e leggende. Nato il giorno di Santo Stefano e quindi a ridosso del giorno di Natale, nella città di Jesi il cui nome ricorda quello di Cristo e partorito da una donna quarantenne, evento quasi miracoloso in epoca medievale, fu ben presto associato tanto a Cristo stesso quanto all’Anticrtisto. Eppure Federico fu il primo grande sovrano medievale a spogliarsi di tutta la simbologia cristica e messianica in voga nei re e negli imperatori di quei secoli. A differenza dei suoi predecessori che provavano tramite iconografia biblica e apocalittica a sottrarre al pontefice il ruolo di rappresentante di Dio sulla terra, facendosi raffigurare troneggianti e circondati da angeli e santi, Federico II fece emergere una nuova iconografia nascente dagli echi delle grandi tradizioni di Roma, degli antichi e mitici re germanici e dei grandi condottieri celtici che avrebbero ispirato il ciclo arturiano. Federico fu il primo dei grandi imperatori germanici, se escludiamo in parte la breve ma splendente parabola di Ottone III, a dare maggior peso al titolo di “Imperatore dei Romani” piuttosto che a quello di sovrano del regno germanico. E per Romani Federico faceva intendere ovviamente l’intero Orbe occidentale e cristiano. Anziché un Imperatore novello Cristo sulla Terra, Federico iniziò a farsi rappresentare sempre più frequentemente come Augusto redivivo. Questo risulta palese in una delle iconografie più importanti e diffuse dell’epoca medievale, quella numismatica. Federico fece coniare una nuova moneta aurea chiamata appunto Augustale che in uno dei due versi aveva il busto dell’Imperatore con il capo laureato, con chiaro riferimento ai Cesari di Roma. Anche l’Aquila Imperiale simbolo del Sacro Romano Impero fu trasformata da Federico che la modificò con l’aquila ad ali spiegate classica dell’iconografia imperiale romana. Sull’altro lato dell’Augustale campeggiava proprio un’aquila simile, così come nel mezzo denario della zecca brindisina e messinese. Anche nel far costruire il proprio monumento sepolcrale Federico fece una scelta chiara e consapevole, scegliendo una tomba di porfido rosso, quel Lapis Porphyrites di color porpora associato alla dignità imperiale dei Cesari. La figura dell’Imperatore come erede dei Cesari fu enfatizzata anche da un’opera storico-cronologica compilata a Firenze in cui venivano riportate le vite dei grandi imperatori partendo da Cesare fino ad arrivare proprio a Federico II. Gli fu anche associata una profezia della Sibilla che lo voleva come restauratore della Roma dei Cesari, ponendolo come ultimo nella linea di successione degli eroi della storia di Roma partendo da Enea.

Ma il grande Hohenstaufen andò anche oltre l’iconografia cesariana e augustea. In numerose occasioni i figli Corrado e Manfredi si riferirono a lui come manifestazione del Sole, riprendendo la tradizione pre-cristiana dei grandi Re che identificandosi con l’astro diurno affermavano il loro ruolo di sovrani universali, a partire dai faraoni egizi, tutti figli di Ra e incarnanti Horus, passando per i Re persiani e arrivando fino ai Cesari che da Augusto restauratore del Regno di Apollo presero poi a partire da Aureliano a identificarsi con il Sol Invictus. Il ruolo del sovrano-sole come luce e polo – come Apollo – dell’intero cosmo si ritrova anche nella stessa leggenda del re che, al giungere della notte del mondo, dorme in attesa di ridestarsi in un monte che svetta al di là del regno materiale. Chiaro il riferimento alla leggenda arturiana in cui il leggendario possessore di Excalibur non è morto ma si è “ritirato” dormiente ad Avalon in attesa della sua prossima venuta. Al di là dell’immagine messianica della seconda venuta di Cristo, quello del Re dormiente in attesa di essere svegliato, del Re ferito in attesa di essere guarito, questo è un tema che affonda le sue origini in un passato indoario molto antico che potrebbe trovare riscontri anche nel rito del Rex Nemorensis. Il riferimento è proprio quello di un principio immortale – il re non è mai morto, dorme – che deve essere restaurato, rinnovato – il re che va ringiovanito, o guarito o la sua spada spezzata che va riunita o il suo albero sacro, secco, che va fatto rifiorire – e che proprio in quanto principio immortale ha sede al Centro di tutto, nell’Asse cosmico, nella terra polare: per questo l’isola al centro del lago o del mare o la stessa Montagna Sacra, come nei casi di Artù e Federico. Lo stesso nome di Artù, da Arktos che vuol dire orso, rimanda alla simbologia polare dell’Orsa, l’astro attorno a cui ruota il mondo intero. E tutta la saga arturiana, nata proprio durante il regno degli Hohenstaufen, quando il Barbarossa da Magonza fece partire un nuovo mecenatismo sotto il vessillo imperiale che avrebbe fatto rifiorire la letteratura cavalleresca, è imperniata tutta sulla figura di un Re polare e sovrano universale.

Pur se nato nel contesto celtico-britanno della Cornovaglia, forse ispirato a un condottiero realmente vissuto nel VI secolo dopo Cristo, il mito arturiano per come fu codificato a partire dal XII secolo abbatte i limiti nazionali per divenire la saga di un Rex signore dell’intero Orbe e intorno a cui si siedono i cavalieri provenienti da tutto il mondo – la Tavola Rotonda chiaro emblema dell’intera volta cosmica, i dodici cavalieri come ipostasi microcosmiche dello Zodiaco – e a cui spetta di diritto, il calice del Sacro Graal contenente il Sangue Reale. Il mito di Artù, anche se cristianizzato con la leggenda del Graal come calice dell’Ultima Cena contenente il sangue di Cristo, segna in realtà il re-irrompere della tradizione pagana e pre-cristiana nell’immaginario medievale e fu non a caso utilizzato come “contro-mito” da parte imperiale contro le pretese dei papi che infatti cercarono sempre, da allora, di depotenziare il mito arturiano e del Graal facendo aleggiare intorno ad esso un sospetto alone di eresia. Federico II attinse a piene mani al mito arturiano tanto che sotto il suo imperio circolarono i Verba Merlini, profezie attribuite al celebre mago mentore di Artù che profetizzavano lo scontro tra la Roma imperiale e quella dei Papi con chiaro riferimento allo scontro tra Federico e Gregorio IX prima e Innocenzio IV poi. Impossibile poi non ricordare, oltre al mito postumo del suo sonno nel monte Kyffhäuser, la leggenda secondo cui in delegazione a omaggiare Federico venne lo stesso Re Pescatore, mitico custode del Graal, proprio a testimoniare il riconoscimento di Federico come Rex Mundi da parte del Principio regale-cosmico stesso. Sempre secondo la leggenda, il Re donò a Federico un anello capace di renderlo invisibile e quindi di portarlo al di là del mondo materiale trasportandolo in quello spirituale, da cui deriva la stessa Auctoritas imperiale. Anche il mito del Sangue Reale fu spesso utilizzato da Federico: gli Hohenstaufen vennero definiti stirpe divina il cui sangue imperiale era esso stesso divino, e in questo la diretta discendenza degli imperatori svevi da Enea, Cesare e dalla gens Iulia enunciata dalla profezia sibillina che circolava in quegli anni ebbe un ruolo non di poco conto. Il fatto stesso che poi Federico facesse raffigurare sui braccioli del suo trono non le solite figure apostoliche o angeliche bensì tutti i suoi predecessori, dimostra come egli volesse manifestare una trasmissione dinastica e “di sangue” tra i sovrani che sono tali non tramite intercessione papale ma che fanno derivare la loro Dignitas dall’autorità imperiale medesima che discende essa stessa dal Divino, senza intermediari.

Catalizzando tutto questo simbolismo su di sé Federico II ovviamente si spogliava della figura dell’Imperatore come protettore della Chiesa, come vicario di Cristo o come controparte del papa per diventare qualcosa di assolutamente nuovo e, simbolicamente, più alto. L’Imperatore diventa egli stesso una figura divina, al pari dei divi Cesare, Augusto e dei loro successori, Pontifex lui medesimo in quanto punta della piramide gerarchica sulla terra e quindi punto di incontro con il Cielo. Il Sovrano assoluto diventa il fulcro attorno a cui ruota l’Impero senza confini che abbraccia tutto il mondo, il perno intorno a cui gira la civiltà stessa e le vite degli uomini. Anche le famosissime costituzioni di Melfi del 1231, il cui codice fu chiamato Liber Augustalis con ovvio e rinnovato riferimento al divo Augusto, vanno lette in quest’ottica. In esse Federico riconosce nella Pace e nella Giustizia il “fondamento di tutti i regni” riprendendo tanto il concetto di Pax Augusta quanto il ruolo della figura indoaria del Cakravartî, il “signore di Pace e Giustizia” che garantisce la Legge come Ordine Cosmico (Rta), nonché quella della misteriosa figura biblica di Melchisedek, re del mitico regno di Salem e primo re universale della mitologia ebraica pre-mosaica nonché capostipite di una tradizione regale superiore e in qualche modo contrapposta a quella abramitica – che ne sarebbe una derivazione o una deviazione – e il cui nome vuol dire proprio “Re di Giustizia” mentre il nome del suo regno, Salem, secondo alcune tradizioni vuol dire proprio “Pace”. È interessante poi notare che proprio il nome Federico derivi dall’antico germanico Frithu-Rik che vuol dire appunto “Sovrano di Pace”. Le costituzioni di Melfi poi segnano un momento cardinale per la storia del diritto poiché pongono fine al dualismo post-ambrosiano e medievale tra il diritto divino che si evince dalle Scritture e il diritto umano, tramandato, mutevole, scaturito da abitudini claniche e tribali e comunque poco codificato ma pur sempre sottoposto al primo. Con il Liber Augustalis l’Imperatore sale sul vertice del mondo e diventa garante della “giustizia che emana direttamente dal Cielo”. Tramite la formula sempre presente nel codice Deus et Iustitia Federico annuncia al mondo un nuovo diritto, seppur mutuato dall’antico mondo pagano e soprattutto romano, per cui chi serve la Giustizia serve anche Dio e soprattutto radicando il principio per cui chi serve lo Stato in tutte le sue forme e nelle singole mansioni particolari non serve soltanto un regno terrestre ma compie la volontà divina, arrivando quindi nuovamente a identificare la Lex con il Rta e l’Impero con il Cosmo.

L’identificazione dell’Imperatore con il centro del mondo che garantisce un Ordine divino sulla terra ebbe una portata politica e spirituale senza precedenti. L’Impero di Federico II davvero non ebbe confini. Oltre ai regni cristiani vennero a rendergli omaggio anche delegazioni dal mondo orientale – forse la leggenda della visita del Re Pescatore nacque grazie a tali ambascerie – e noti sono i contatti con il mondo arabo, con la sesta crociata, unica nella storia, ad essere risolta senza che fosse versata una sola goccia di sangue grazie al patto d’amicizia sancito con il sultano ayyubideMalik al-Kamil, nipote del Saladino, che garantì a Federico, oltre alla celebre armata di mercenari saraceni più volte decisiva nelle sue guerre, anche la corona di Re di Gerusalemme, considerata allora il centro del mondo al pari di Roma e che contribuì ancor più a dare all’Hohenstaufen l’aura di sovrano cosmico.

La sovranità universale di Federico si riversò anche sull’aspetto religioso. Il superamento della forma cristiana non si attuò solamente sull’iconografia e sulla politica: sono documentati i rapporti e i dialoghi filosofico- religiosi di Federico tanto con Michele Scoto, filosofo scolastico e dunque cristiano ma che fu anche astrologo e alchimista con fama di “mago”, quanto con il filosofo arabo IbnSab’in. Le sue domande sulla sopravvivenza dell’anima e il suo continuo ribattere polemico e spesso irriverente alle risposte dogmatiche dei sacerdoti cristiani e islamici furono usati come pretesto per dimostrare l’eresia o perfino l’ateismo dell’Imperatore che invece fu tutt’altro che “materialista” come volle la vulgata guelfa e filo-papale, ma che fu piuttosto un cercatore di una Unità trascendente e divina al di là delle singole forme particolarie dei dogmi, che per Federico erano mere superstizioni che ostacolavano la vera Scienza divina.

Questo fece nascere ulteriori dicerie e leggende che si intrecciarono con quelle sui Templari. In molti vollero Federico in rapporti segreti esoterici con l’Ordine del Tempio – ch invece ebbe rapporti travagliati con il sovrano che gli preferì sempre l’Ordine Teutonico – che si espressero soprattutto nell’architettura magico-simbolica di alcuni edifici tra cui il celebre Castel del Monte, sotto al quale si diceva che Federico intrattenesse, in una stanza segreta all’interno del monte il cui tetto era dipinto a imitazione della volta celeste, discorsi sapienziali con i più alti rappresentanti delle tre grandi religioni monoteistiche. Ovviamente l’intreccio di leggende templari e arturiane fece nascere anche la leggenda secondo la quale il sovrano custodisse egli stesso il Sacro Graal. Fu sempre Castel del Monte al centro di queste leggende. Il castello fu e resta un unicum nell’architettura medievale: tanto il luogo lontano dalle frontiere quanto l’assenza di soluzioni e meccanismi difensivi e soprattutto le scale che salgono in senso antiorario favorendo l’assalitore invece del difensore rendono palese che l’iconico castello ottagonale non avesse scopo militare. La complessa architettura basata su rapporti geometrici e matematici e direzionata scientemente secondo direttive astronomiche rendono il castello più simile ai templi pagani e agli antichi cerchi megalitici o alle cattedrali gotiche. Un edificio così particolare e dalla geografia sacra così palese non poteva che essere costruito per un motivo molto importante e fu ovviamente indicato come uno dei tanti luoghi in cui il Graal era custodito.

Leggende, ovviamente, che possono far sorridere chi sia convinto che il Graal non sia tanto un calice fisico quanto ciò che contiene: il Sangue Reale che riconnette al Principio e che pertanto non può essere qualcosa di materiale. Sangue Reale e Principio che sicuramente furono incarnati dal grande Federico, Rex Mundi, Imperatore a cui si possono tranquillamente applicare le parole dell’Artù del film Excalibur di John Boorman: “non ero destinato ad una vita umana ma ad essere l’essenza di memorie future”.

Bibliografia essenziale dei temi trattati:
– Ernst Kantorowicz, Federico II Imperatore, Garzanti;
– Cristian Guzzo, Federico II Storia e metafisica politica di un messia ghibellino tra spiritualità e politica, Edit@;
– Ernst W. Wies, Federico Barbarossa, Bompiani;
– Julius Evola, Rivolta contro il Mondo Moderno, Mediterranee;
– Julius Evola, Il Mito del Graal, Mediterranee;
– Paul-Georges Sansonetti, Graal e Alchimia, Rusconi;
– Aldo Tavolaro, Astronomia e geometria nell’architettura di Castel del Monte, F.lli Laterza Editori;
– Aldo Tavolaro, Castel del Monte e il Santo Graal, F.lli Laterza Editori;
– Werner Eck, Augusto e il suo Tempo, Il Mulino.

 

Carlomanno Adinolfi

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