Sono a cena da Loredana e Angelo. E’ da molto che non vado. Mi pesa, soprattutto a sera, attendere uno due autobus sempre più tardi a giungere. Eppure sono contento esserci, anche se meno loquace e di scarso appetito. Si parla anche di amici (pseudo) di cui francamente non sento l’assenza, anzi… E Loredana se n’esce, categorica, con ‘Il Fascismo è uno stile di vita’, liquidando brusca ogni arroganza e la presunzione – alibi di miseria interiore – di chi, scrivendo libri o tenendo conferenze, simile a corvo travestito con piume di pavone, bacchetta, tacita, sbraita, investito da sacro furore e reputandosi offeso, ‘il re è nudo’ senza corona e scettro, come se si fosse trattato di reato di lesa maestà.
Lasciamo il trogolo ove si beano e rotolano. C’è chi, oltre sbarre e chiavistelli, scopre le stelle e chi il fango. Abbiamo già troppi orchetti guitti nasoni con cui confrontarci, la città luminosa sullo sfondo non ci attira – come Nietzsche ha educato, il viandante predilige avvolgersi in liberi stracci e trascorrere la notte al di fuori delle mura – solo il bosco intriga, incuranti della morte e del diavolo. Avendo nella mente e nel cuore l’acquaforte del Duerer… Una volta entrati fra alberi e rami intrecciati e odore resina e legno umido e foglie verdi e ingiallite, il ‘rex nemorensis’ – spezzate catene d’ogni stolida servitù – ci riempie d’orgoglio e di disperazione. Soli noi e vivi.
Fascismo, stile di vita. Mi torna a mente una mattina di tarda primavera, università La Sapienza, siamo Sandro ed io – capelli lunghi barba incolta camicia a scacchi e i pantaloni di velluto a zampa di elefante – inquieti fragili troppe le incertezze inutili le domande. Piazzale della Minerva quasi deserto, il bianco dei marmi accentua sogni di grandezza, il nitore d’un tempo eroico con il grigiore del presente. La solitudine dell’eroe in piedi tra le rovine si rende in noi ribellismo ondate ormonali ruggito del topo. Cesare siede in disparte, tenendosi le ginocchia raccolte sotto il mento. E’ il nostro responsabile. Lo aggrediamo – io, nichilista, in cerca d’un confessore – e lo tempestiamo e lo incalziamo con i nostri stupidi perché. Il senso vago dell’esistenza si confonde con il progetto (vago anch’esso, a ripensarci con l’arco di mezzo secolo). Egli, paziente, ci ascolta e interrompe e ci guida verso porti ove approdare di nuovo fidenti. Con la voce roca dall’accento marcato da calabrese, studente fuori sede di medicina. Confortati, ci sentiamo di nuovo ‘allineati e coperti’, in cammino, militi severi, bastoni e barricate, ‘la Rivoluzione è come il vento’ e il vento soffia a nostro favore (illusi). Sapemmo, poi, come in quella medesima mattina un telegramma gli aveva annunciato la morte del padre. Avrebbe, dunque, avuto ben motivo di risolvere le nostre chiacchiere in sciocchezze. Eppure…
Cesare se n’è andato proprio in questi giorni, accasciatosi sul pavimento, scivolato dalla poltrona. Il mio, però, non intende essere elogio funebre. L’anagrafe impietosa ci sta raccogliendo, spighe ormai insecchite, uno dopo l’altro. Non riesco a straziarmi il cuore, la mente sola si riempie di ricordi. Come questo. Se il Fascismo come stile di vita gli s’impose, sui gradini del Rettorato, con il valore della gerarchia e i doveri che ad essa s’accompagnano anteponendoli agli affetti privati, al dolore intimo familiare.
E lo rende atemporale, universale – nonostante la disfatta del ’45, la ‘macelleria’ nei giorni di aprile e a seguire, la polvere spessa e tesa su uomini e idee, prigionieri delle circostanze dell’ottenebramento del vorticare dei cambiamenti. Le parole di Cesare, la disponibilità, vennero conseguenza dell’appartenenza noi tre al comune destino, medesima la militanza (al di là di quanto appartiene patrimonio di sentimenti), non si espressero per formale buonismo o pacche amicali sulla spalla.
(A scuola ero solito dire ai miei alunni – una mattina, ad esempio, Sergio scrive sulla lavagna ‘Merlino uno di noi’ – come io fossi così, un ‘Mario grande!’, altro esempio, non per mio merito ma perché ‘fascista’. Forse ci si nasce, ma lo si può divenire e lo stile è il viatico e lo specchio a confrontarci. Annota Giulio Cesare come basti nella propria tenda, a sera, prendere tavoletta e stilo e incidere i caratteri di come s’è resa la giornata che volge al termine. Mettersi in gioco – ‘l’eminente dignità del provviso-rio’, scrive Brasillach ne La ruota del tempo –, non mettere in gioco ciò in cui si crede per cui ci si batte. Non aveva dichiarato – e pagato con il sangue – Giuseppe Solaro come ‘I ribelli siamo noi!’?…).
Tutto lecito chiedersi se il Fascismo fu idea esclusivamente mediterranea o se, come propendeva l’amico Adriano Romualdi, un ‘fenomeno europeo’. Scindere la sorte e i contenuti con il nazismo (operazione tanto ostinata e sostenuta da Renzo De Felice). Io, però, ricordo una mattina al bar con Mario Sannucci, già btg. Lupo, e di un omino di solida fede comunista che, però, raccontava come si trovasse al distretto militare, a Roma, l’8 di settembre, non sapendo cosa fare e come rientrare a Mirandola. Ecco arrivare dei soldati tedeschi, ‘tutti al muro!’, un sergente strappa loro le mostrine e ‘Andate via! Noi combatteremo da soli anche per voi!’. Tutto lecito strappare brani di Fascismo secondo il proprio intendere e gusto – lo squadrismo irriverente e caro all’amico Giacinto (e come si fa a non esaltarsi BL 18 gagliardetti randelli pugnali e bombe a mano su strade polverose e sterrate o davanti a sedi ‘sovversive devastate) o, magari ad alibi proprie frustrazioni e miserie, quel ‘Socialismo fascista’ (e come si fa a sottacere il filo rosso che unisce La Carta del Carnaro alla Socializzazione, figure quali Nicola Bombacci che grida, levando il pugno chiuso, estremo atto di fede, ‘Viva il Socialismo! Viva Mussolini!’ lungo la spalletta del lago di Como). Tutto lecito, certo ma non quale premessa o esclusivo luogo d’indagine pur condiviso con occhi lucidi e trasognanti. In caso contrario, il Fascismo diviene ‘la terra dei morti’ mentre, a noi, ci piace citare Nietzsche quando avverte ‘Dove ci sono sepolcri, là ci sono resurrezioni’. Pur consapevoli come Fascismo e stile di vita non sono l’Arca di Noè, pronta a imbarcare ogni specie di animali. Aristocratici e selettivi, quanto basta.
Fascismo quale stile di vita, dunque, a vincere il tempo e le circostanze. Aggiungerei, però, una sorta di processo inverso. Lo stile conduce, con i suoi valori, a rendere vicino il Fascismo. Chi avverte in sé la forza di determinati canoni comportamentali, ne sente fascino e richiamo, ad essi guarda e tenta di viverli in sé è o sarà un ‘fascista’, anche quando non vi si riconosce ne ignora termine e contenuti, di più, prigioniero dell’oggi, vibra di sdegno al solo sentirlo nominare… (In modo analogo lo scrittore francese André Malraux affermava come un uomo, al contempo d’azione e pessimista, è o sarà fascista. Concordo: ho amato e, da giovane, ‘praticato’ l’attivismo e, in quanto al pessimismo, da Nietzsche ho appreso quello attivo).
Non si è qualcosa e, a parte, si fa professione di Fascismo – tutto o niente. Certo si può studiarlo approfondirne le vicende gli uomini le idee farne critica e distinguo o collezionare fotografie cimeli testimonianze riempire scaffali di libri documenti riviste – l’arte nobile dello storico si necessita e, da professore in pensione, continuo ad amare le copertine l’odore della carta stampata il mio studio-rifugio con la bandiera della Kriegsmarine, bianca e la croce dei cavalieri teutonici, le fotografie incorniciate di Filippo Corridoni di Robert Brasillach, gli elmetti da guerra della Wehrmacht. Ben sia così, ma non s’insegni come ‘essere fascisti’. E’ altra cosa. (Codreanu rilevava che i giovani, in tempi di normalità, cercano esempi da imitare, in tempi di lotta devono, però, essere essi stessi esempio. E questi, mi sembra, sono tempo di lupi e di spade da affrontare e non descrivere. Con gesti toni istrionici e lacrimevoli).
Recita un aforisma di Nietzsche; ‘Dove c’è uno stile, là è passato un Capo’. Il tempo eroico della guerra del sangue contro l’oro non si è consumato con il 1945, le rovine del bunker nella Berlino in fiamme, il panzerfaust dei ragazzini in pantaloni corti e di cuoio, le divise feldgrau e lo scudetto tricolore della Charlemagne. Quella guerra è stata solo l’immagine plastica a cui volgere lo sguardo con animo stupito vivida la commozione sincera adesione. Non basta. L’oro continua a esercitare il mefitico suo imperio e il sangue ad essere versato. Scegliere per non essere scelti. Con stile.
Così rendiamo ai morti l’Onore dovuto e, in comunione con loro, in marcia. E me ne frego – nell’accezione più compiuta ed ampia – chi sono i miei fratelli di lotta, quali i camerati (compagni) di strada. Il camerata Richard può ben oggi indossare il basco che fu di Guevara o battersi tra le macerie di Damasco…
Il Fascismo è stile di vita e lo stile lo cerca lo chiama lo fa suo, con o senza la camicia nera.
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