Ciao Cristina, vorrei iniziare quest’intervista partendo dal titolo del tuo nuovo libro: “Un futuro senza avvenire? La generazione della decisione” (Edizioni di Ar), soffermandomi in particolare su “generazione della decisione”. Che generazione é la nostra? Quali sono le caratteristiche (positive e negative) che secondo te la contraddistinguono maggiormente?
La generazione alla quale mio malgrado appartengo è quella della rassegnazione, della spasmodica ricerca di lavoro e avvenire fuori dai propri confini nazionali, la generazione alla quale, nel sistema educativo, è stata mostrata, come unica possibilità – o come l’eventualità più auspicabile –, l’ opportunità di lavorare e vivere all’estero. Per i nostri coetanei che hanno la ‘sciagura’ di restare in Italia, lo Stato non ha altro da offrire se non difficoltà, tasse, miseria e disoccupazione. Dal canto nostro, c’è da dire che noi non abbiamo più la forza e la determinazione di chi, come i nostri nonni, è passato attraverso la guerra e non abbiamo ancora le armi di difesa per contrastare le imposizioni di una guerra molto più subdola e snervante. Siamo cresciuti con videogiochi, realtà virtuale, mezzi di comunicazione che contemporaneamente ci neutralizzavano e ci suggerivano cosa pensare, quali opinioni avere, cosa scegliere per il nostro futuro. Senza accorgercene ci siamo ritrovati vulnerabili e privi di ogni capacità critica. Dobbiamo domandarci chi siamo e verso quale avvenire stiamo andando: verso un futuro scelto da noi o verso una prospettiva direzionata da elementi esterni? Il problema sta nella coltivazione esclusiva dei bisogni individuali che ci hanno consentito solo di vedere obiettivi personali, spesso dettati da esigenze illusorie, mode o desideri indotti da sollecitazioni o suggestioni esterne. Abbiamo perso ogni senso di legame con il gruppo umano al quale apparteniamo e, in questo modo, fatichiamo a riconoscere i nostri simili e noi stessi. Per questo motivo, se non iniziamo a ristabilire la nostra integrità etnica e nazionale, non potremo comprendere quale avvenire possiamo costruire come popolo.
Alla parola “generazione” é sufficiente aggiungere un “de-” per dar vita a “degenerazione”. In cosa siamo degenerati e perché?
Molti europei sono de-generati perché non hanno più cura della vita, della generazione, della prosperità e della salute del nostro popolo. Accettano passivamente tutto ciò che viene dall’esterno e non riescono a riconoscere il vicino come loro simile né ad avvertire il senso di appartenenza a una stirpe.
Selezione naturale/aborto/genetica/medicine. Che definizioni dai a queste parole? Tu scrivi che si deve evitare di mettere al mondo esseri umani afflitti da gravi e incurabili patologie e che si deve impedire di generare a persone portatrici di malattie. Fino a che punto ci si può spingere? E se la decadenza é anche spirituale, qualcuno ti potrebbe obiettare che si potrebbe coniugare comunità/conservazione riconoscendo anche ai più deboli un posto nella comunità.
Inizio ad affrontare la questione dell’aborto, che considero una uccisione volontaria di figli, molto spesso per scelte di natura economica o sociale. In una nazione in cui il decremento delle nascite è sempre più grave e la media di figli per donna è 1,27, favorire anche gli aborti di figli sani è quantomeno un crimine verso il proprio popolo. Si parla di libertà della donna, ma la libertà alla quale si fa riferimento è un concetto esclusivamente individualistico e non tiene alcun conto della situazione demografica dell’attuale popolazione italiana. Mettere al mondo un figlio non è esclusivamente una scelta personale, ma è volontà di continuare la propria discendenza e di tramandare il meglio di se stessi contribuendo all’avvenire della propria nazione. E l’avvenire di un popolo può essere deciso soltanto da persone sane e forti. L’unico caso in cui si deve scegliere di abortire è la condizione in cui i test genetici e la diagnosi prenatale mettano in luce dei difetti del feto o delle malformazioni. Questa è l’unica scelta di buon senso, alla quale deve far immediatamente séguito un’indagine per comprendere le cause di queste patologie, che devono essere eliminate prima di progettare un nuovo concepimento. Le leggi di conservazione biologica, come la selezione naturale, non riconoscono alcun posto, se non marginale, ai deboli, i quali, necessariamente, non sono destinati alla riproduzione. Chi ha un minimo senso della comunità deve avere ben chiara una legge incontestabile: se una popolazione lascia sempre maggiore spazio a individui deboli non farà altro che indebolirsi a sua volta, così come un organismo, le cui cellule danneggiate o mutate continuassero a riprodursi senza controllo, andrebbe inevitabilmente incontro a disfunzioni o patologie croniche di varia entità. Riguardo alla decadenza spirituale, dobbiamo riconoscere che questo tipo di impoverimento è la conseguenza della perdita del senso della comunità, inteso non come la necessità di riconoscere un posto ai più deboli, ma come l’appartenenza a un gruppo umano di simili, prossimi. “Libertà non è fare quello che mi aggrada, bensì fare quanto esige una feconda comunità. […] Il pericolo del concetto individualistico di libertà è l’impoverimento spirituale del singolo, sia per isolamento, sia per soffocamento.” (Othmar Spann, Il vero Stato, Edizioni di Ar, 1982, p.75) Questo è il vero impoverimento spirituale, la perdita di prospettiva, l’isolamento del singolo che, quindi, vede il debole come entità da difendere, e non come possibile debolezza della comunità e potenziale pericolo per il suo avvenire.
L’Occidente indebolito, che invecchia, afflitto dal calo di fecondità, incapace di mettere al mondo dei figli risponde alla sua decadenza aprendo le porte agli immigrati, prospettando una “comune multirazziale”. Questo scontro/invasione é l’argomento centrale del tuo saggio. Semplicemente ti chiedo: cosa diavolo sta accadendo? Quali sono i problemi maggiori che riscontri e cosa bisognerebbe fare per impedire che questa invasione/sostituzione venga messa in atto? Per impedire questa “sommersione genetica” di cui parli. Perché la mescolanza con altre etnie é da evitare?
Non si tratta, nel caso di gruppi umani soprattutto, di una “sostituzione”, ma di una vera e propria “eliminazione”, allo scopo di cancellare ogni traccia, fin dove possibile, dei popoli europei. Lo dimostra la furia iconoclasta che accompagna l’insediamento dello “Stato islamico” e la simultanea diffusione del pensiero unico del “politicamente corretto”.
Tornando alla nostra situazione, le unioni miste introducono improvvisamente, nella nostra popolazione, nel genoma della nostra stirpe, geni esogeni appartenenti a popoli adattati ad ambienti radicalmente diversi dal nostro. Ciò comporta l’introduzione di una serie di caratteristiche, siano esse patologie ereditarie o semplici assetti fisiologici, che trasformeranno e deformeranno l’equilibrio che, nel tempo, si è venuto a stabilire nella nostra popolazione. Se a questo aggiungiamo il decremento demografico e l’incessante processo di indebolimento delle nostre condizioni di salute e della nostra fecondità, ci si può facilmente rendere conto che non abbiamo la forza e le capacità di far fronte a questa immissione esterna di geni.
Nel 2017 il Life Asap (Alien species awareness program) ci ha messo in guardia su un dato allarmante: “In Italia sono oltre 3000 le specie ‘aliene’ che minacciano l’ecosistema, la salute e l’attività dell’uomo mettendo in pericolo la biodiversità e l’economia. Sono animali, ma anche piante: dalla nutria al siluro, dalla robinia ai gamberi rossi americani fino alla zanzara tigre, molte di queste specie sono capaci di adattarsi rapidamente al loro ambiente e di mettere in crisi le specie ‘indigene’. E i risultati per l’ecosistema possono essere devastanti. Anche per l’uomo.” Se questo pericolo per le specie native proveniente da specie aliene ed invasive si può osservare e studiare nell’àmbito della conservazione biologica, perché per l’uomo dovrebbero valere leggi diverse? L’ibridazione intraspecifica è pericolosa almeno quanto quella interspecifica, e anche più insidiosa e subdola, proprio perché riguarda sottospecie tra di loro interfeconde. Le specie, o le sottospecie, più pericolose per l’ambiente sono quelle che hanno particolare abilità nel sottrarre nutrimento a quelle indigene, con le quali condividono la nicchia ecologica. Si possono fare molti esempi, tra cui il caso delle famose noci di mare, degli ctenofori originari dell’oceano Atlantico, che tolgono le risorse vitali a diverse specie ittiche del mar Mediterraneo, nutrendosi anche delle loro uova e larve, nonché di larve di molluschi, come vongole e mitili. L’invasione ha ancora più successo quando si tratta di animali molto adattabili e con “un’elevata capacità riproduttiva”. È evidente quanto questa situazione sia analoga a quella delle popolazioni straniere che stanno invadendo i nostri spazi.
Jean Raspail ne “Il Campo dei Santi” descrive profeticamente un Occidente che si inginocchia e accoglie a braccia aperte la propria fine. Chi oggi (intellettuali, politici, schieramenti) secondo te si sta opponendo o analizzando con più serietà questa decadenza e in cui riponi fiducia?
Penso che non si possa far riferimento, attualmente, ad alcun movimento o partito politico, nei quali valgono soltanto le leggi di conservazione del partito stesso, e non il bene della Nazione. I partiti politici sono parte fondamentale e integrante della decadenza stessa. Vedo invece nell’opera politica e nella militanza delle Edizioni di Ar una possibilità di sottrarsi alla decadenza, seguendo una disciplina interiore ed esteriore che si oppone alla fine dei popoli europei.
Nel tuo saggio, parli poi delle malattie che queste popolazioni potrebbero importare sul suolo occidentale. Cosa rischiamo? E veramente corriamo dei rischi?
I microrganismi, virus e batteri, si muovono insieme agli uomini e quindi, con lo spostamento di masse di popolazioni, essi si spingono nelle stesse direzioni, siamo perciò esposti al rischio di contagio per numerose forme infettive con le quali, nel tempo, non siamo mai venuti a contatto, contro le quali, quindi, non abbiamo efficaci difese immunitarie. Oltre alla malaria, alla tubercolosi, all’AIDS e alla meningite, in Africa esistono quasi venti malattie tropicali neglette, come la tripanosomiasi umana, la lebbra, la dracunculiasi, l’elmintiasi o la malattia di Chagas. La situazione non è affatto sotto controllo, è difficile anche solo parlare di tutti questi potenziali contagi e il sistema sanitario nazionale preferisce, invece, spostare l’attenzione su malattie insignificanti nel bilancio sanitario nazionale solo per giustificare la presenza dell’obbligo vaccinale.
Tornando ai rischi che corriamo, come popolazione italiana, mi sento di affermare che siamo di fronte ad una catastrofe imminente da un punto di vista epidemiologico. I Paesi occidentali sono indeboliti da secoli di ‘comodità’, abuso di farmaci, alimentazione inappropriata e sedentarietà. Sono in aumento allergie, intolleranze, patologie croniche e tumori maligni. La nostra età media sale, ma paradossalmente il nostro livello di salute scende drasticamente, nonostante tutte le ricerche e le innovazioni in campo biomedico e farmacologico. Al contrario, le popolazioni straniere, grazie a tutte le difficoltà quotidiane affrontate negli ostili ambienti di provenienza, sono più selezionate, sono state rese forti e resistenti da secoli di epidemie contro le quali hanno dovuto combattere. Come si fa a credere che, miracolosamente, il loro arrivo non scateni, da un punto di vista strettamente biologico – e potremmo dire microbiologico – una guerra? Batteri, virus e altre forme parassitarie non vivono nella suggestione di dover trattare lo straniero con rispetto e solidarietà. Nella legge della natura ciò che è estraneo, che non fa parte dell’organismo, è un potenziale nemico.
Nel tuo saggio inviti, in maniera perentoria, a preservare il proprio fisico, a mangiare correttamente, a evitare tutto ciò che comporti il sopraggiungere di malattia. Sostanzialmente cosa si dovrebbe fare per non ammalarsi?
La malattia è uno squilibrio che opera in maniera subdola, creando disfunzioni nei nostri apparati e organi. Se non vi fossero minacce esterne di carattere chimico, fisico e biologico, il nostro corpo sarebbe programmato per vivere in maniera perfetta adattandosi ad ogni situazione particolare, rispondendo in maniera dinamica e riportando sempre le condizioni fisiologiche ad un assetto ottimale, definito omeostasi, o equilibrio interno. Purtroppo la civiltà, in particolare quella moderna, ha invece creato delle condizioni che quotidianamente logorano i nostri corpi con agenti inquinanti, tra i quali i peggiori sono certamente i farmaci e gli alimenti sbagliati. Al contrario di quanto si tenta di far credere ai consumatori, non esistono cibi che facciano bene e altri che facciano male. Sono gli eccessi a far male, ma soprattutto la continua esposizione dei nostri organi a cibi che affaticano il sistema immunitario e non forniscono le molecole giuste per mantenere il nostro corpo in buone condizioni. La nostra dieta, anche quella mediterranea, è totalmente sbilanciata sui carboidrati (pane, pasta, pizze varie e dolciumi), raramente fornisce un adeguato apporto proteico – ricordo che le proteine sono la componente più importante del nostro organismo dopo l’acqua – e non considera il giusto equilibrio tra omega-6 e omega-3 necessario per evitare l’aumento dei processi infiammatori in atto. Inoltre, nella tipica alimentazione degli italiani, salumi, latte e formaggi sono consumati quotidianamente e in questo modo si incrementa il rischio di sviluppare infiammazioni, tumori, disfunzioni epatiche e di andare incontro a problemi di fertilità e malattie cardiovascolari. Il cibo è considerato come un qualsiasi bene di consumo, ma occorre ricordare che chi mangia bene può evitare di assumere farmaci e vivere a lungo in buona salute, anche spendendo di meno. Legumi, pesce, carne, verdure, semi oleosi, erbe e spezie sono le migliori medicine che la natura mette a disposizione dell’uomo. Bisogna però conoscere il proprio corpo e i segnali che ci invia, per comprendere quali siano gli alimenti benefici e quali quelli dannosi per noi.
Sei una donna: come vivere la maternità? E una donna deve sempre essere madre? Cosa si dovrebbe fare per aiutare le donne che partoriscono?
Questo è un argomento che mi tocca molto da vicino dal momento che proprio in questo periodo sto vivendo questa meravigliosa esperienza. Dire che tutte le donne dovrebbero essere madri sarebbe un’imposizione ingiustificata. Anche Evola, in diverse opere, ad esempio ne La metafisica del sesso, distingueva un tipo femminile afroditico e un tipo demetrico, come gli archetipi dell’amante e della madre. Non volendo fare distinzioni nette, appare chiaro che alcune donne siano naturalmente predisposte per essere madri e altre non lo siano affatto. Chi sceglie la strada della maternità, però, deve farlo consapevolmente, preparandosi al concepimento e sapendo che, già dalle prime fasi della gestazione, lo stato di salute fisica, mentale e spirituale della madre si riflette interamente sul nascituro, determinandone la fisionomia e il destino. Veniamo a cosa si dovrebbe fare per aiutare le donne che partoriscono: lo Stato dovrebbe progettare politiche sicuramente migliori di quelle attuali per le future madri. Attualmente i livelli essenziali di assistenza sono ridicoli, la gran parte delle spese sanitarie da affrontare in gravidanza sono totalmente a carico dei genitori e non c’è una vera politica di corretta diagnostica prenatale. Esistono moderni esami genetici non invasivi che stabiliscono la presenza di eventuali anomalie cromosomiche, ma in Italia sono a pagamento, in quanto non riconosciuti dal sistema sanitario. Invece, gli esami prenatali riconosciuti, come l’amniocentesi, che dovrebbero essere offerti a tutte le madri, sono gratuiti solo a partire dai 35 anni. E chi decide, giustamente, di avere figli prima dei 35 anni deve pagare ogni cosa. Ovviamente in questo modo si incentivano ancora di più le donne a fare figli in età avanzata, quando la gravidanza risulta invece più pericolosa.
Dei vaccini cosa ne pensi? Sono utili oppure no. Non sono, al di là del dato scientifico, la dimostrazione sostanziale che nella mente siamo schiavi della paura e del nostro non sapere e voler affrontare la morte?
Sono perfettamente d’accordo con te. Se si mettesse da parte per un momento la paura si affronterebbe con più serenità la possibilità di ammalarsi, e poi di stabilire una efficace e duratura difesa immunitaria contro un determinato patogeno, senza cercare freneticamente di vaccinarsi per ogni raffreddore, influenza o malattia di poco conto. Si sta facendo credere che malattie quasi scomparse, come la difterite, o non letali, come morbillo o pertosse, siano diventate il nostro maggior pericolo per la sopravvivenza, senza vedere, dall’altra parte, tutte le vittime dell’obesità, del diabete, del fumo o dell’abuso di alcol. Eppure gli alcolici, il tabacco o gli alimenti che contengono zuccheri aggiunti non sono ancora proibiti; addirittura, lo Stato guadagna, con le accise, proprio dalla vendita di prodotti riconosciuti, dalle linee guida della sanità, come fortemente dannosi per la salute. I vaccini sarebbero utili se fossimo in una situazione di allarme per qualche patologia infettiva o se dovessimo recarci in viaggio in un paese ad alta incidenza di malattie infettive. Invece di situazioni allarmanti ne vedo soltanto una: l’invasione delle popolazioni straniere. Ma contro tutte le infezioni che esse stanno portando sul suolo italiano non basteranno tutti i vaccini attualmente a disposizione. L’unica possibilità è quella di fortificare il nostro sistema immunitario e di difendere i nostri confini territoriali e biologici.
Per concludere due domande: chi sono gli Europei? Chi sono i Bianchi Europei? Sono forse anche quelli di cui scrive Robert Erwin Howard?
Howard, ne L’ultimo bianco descrive uno scenario in cui un solo uomo bianco resta a combattere coraggiosamente contro orde di uomini neri che vogliono impadronirsi dell’Europa. Il tipo ideale di Bianco Europeo è quello descritto da Howard, quello di un popolo che, unito da legami di razza, combatte per la propria affermazione. Nei millenni, come la più luminosa tra le razze della terra, quella bianca ha espresso una sua volontà e ha seguito il suo destino. Adesso è a un bivio: continuare a risplendere illuminando le altre razze con la sua civiltà oppure decidere che il suo tempo è finito, che questo è il principio di un’era che vede il dominio di altre razze o forse di una eclissi delle razze, del melting pot globale. Gli Europei, in questo momento, sono un agglomerato indefinito di etnie diverse nel quale, come una vena aurea nella roccia, compare ancora la linea di sangue dei Bianchi. Dobbiamo decidere se lasciare che questa vena si esaurisca, scomparendo, o possiamo decidere di renderla sempre più estesa e di preservare la nostra stirpe.
Certe volte non ti senti una mosca bianca nello scrivere di questi argomenti? Di avere queste posizioni? Di essere una delle ultime luci accese nell’oscurità? Mancano mai il coraggio, la forza, la fede nel futuro?
Ho poca affinità con i ditteri – ordine al quale appartengono le mosche – e, se possibile, mi piacerebbe più essere una tigre bianca o una “candida cerva” come quella cantata da Petrarca, ma ammetto che, esaminando il comportamento dei miei connazionali, resto spesso meravigliata dalla mancanza di buon senso con la quale accettano passivamente ogni cosa senza opporsi. Ma non spero e non dispero, come mi ha insegnato chi mi ha fatto comprendere l’importanza di una “disciplina dell’animo” e delle parole. Semplicemente studio e agisco come mi detta una legge interiore. Nelle Elegie Properzio asseriva: “Mi natura dedit leges a sanguine ductas” (“A me la natura ha dato leggi che sgorgano dal sangue”), una frase posta anche come epigrafe sulla controcopertina di “Rubrica”, il notiziario periodico del Fronte Nazionale. Quindi il coraggio fa parte della propria natura e del proprio sangue ed è la qualità interiore di chi ha cuore, una qualità che dà la forza di compiere le azioni che si ritengono giuste. O c’è o non c’è. E se c’è, non manca. La forza viene di conseguenza a una precisa visione del proprio avvenire, che è quella che i miei nonni hanno avuto prima di me, che avranno i miei discendenti e che mi fa avere non ‘fede’ nel futuro – la fede, la lascio ai credenti – , ma ‘fedeltà’ verso la mia stirpe.
A cura di Andrea Consonni
2 Comments