Cornelio Agrippa, filosofo, alchimista e mago rinascimentale, è noto soprattutto per il De occulta philosophia, grande summa del suo immenso sapere e opera largamente temuta dalle alte cariche ecclesiastiche a lui contemporanee e posteriori, per la grande fiducia nel potere che l’uomo potrebbe raggiungere esclusivamente mediante la conoscenza e la pratica. Tuttavia, vi è un’altra opera, meno conosciuta, e forse per questo ancor più pericolosa e spregiudicata, visto che negli anni è stata condannata a una sorta di “congiura del silenzio”, a tal punto da risultare quasi misconosciuta, nonostante il suo carattere innovativo. Si tratta de La nobiltà delle donne, un’orazione, dedicata a Margherita d’Asburgo, scritta in lode al sesso femminile.
Di correnti culturali che avevano assunto la donna a simbolo divino, manifestazione della Luce e della Sapienza di Dio nel mondo, ve ne erano già state in passato, basti pensare alla corrente poetica del Dolce Stil Novo. Si potrebbe pensare, dunque, che il testo di Agrippa si inserisca in tale tradizione. Nulla di più sbagliato. Esso affonda, senz’altro, le proprie radici in alcuni concetti propri del Dolce Stil Novo e della corrente esoterica dei Fedeli d’Amore, ma la portata dell’orazione del mago rinascimentale è molto più ampia, così come molto più spregiudicate sono le “eresie” in esso contenute, soprattutto se si considera che esse non sono velate sotto i versi poetici, ma sono scritte e teorizzate esplicitamente. Per capire la portata rivoluzionaria del testo, occorre anzitutto inquadrarlo nel contesto storico in cui è inserito che, come si vedrà, lo rende ancor più rivoluzionario.
Ci troviamo nell’Europa del XVI secolo, periodo “d’oro” in tutta Europa per la Santa Inquisizione che, a seguito delle riforme protestanti, ha intensificato il proprio operato per sconfiggere le eresie. Ma non solo. Anche i riformisti protestanti si rivelano altrettanto fanatici quanto la loro controparte Cattolica, in particolare nei confronti di una delle “categorie sensibili” perseguitate da praticamente ogni variante del Cristianesimo: le cosiddette “streghe”. Basti pensare che in quel secolo, tra i testi più stampati, secondo solo alla Bibbia, vi è il Malleus Maleficarum, passato alla storia come Il martello delle Streghe; un manuale, scritto dai domenicati Kramer e Sprenger che, a partire dalle testimonianze della Sacre Scritture e delle autorità cristiane, illustra come riconoscere, catturare, torturare e uccidere le streghe.
In tutta Europa, tanto tra Cattolici quanto tra Protestanti, si diffonde una fanatica e irrazionale caccia alle streghe, che trova terreno fertile nella filosofia misogina che sottostà al Malleus Maleficarum, che, a partire dalle facoltà fisiche quanto da quelle spirituali, considera la donna come fonte di ogni peccato, creatura privilegiata dal demonio per la sua presunta intelligenza inferiore e per la sua presunta ingenuità. Agrippa, in contrasto esplicito con gli Inquisitori, scrive La nobiltà delle donne non solo per confutare le loro tesi ma, addirittura, per sostenere la tesi opposta, a partire dalle medesime fonti utilizzate da Kramer e Sprenger: la donna, lungi dall’essere un “uomo imperfetto”, è la più nobile creatura dell’Universo, eletta a tale stato direttamente da Dio. Non si tratta, come si potrebbe pensare, di una tesi iperbolica esclusivamente retorica, anzitutto perché nessun autore avrebbe mai rischiato il rogo per un mero esercizio retorico e, secondariamente, perché Agrippa sostiene la propria tesi con precise argomentazioni teologiche, filosofiche e metafisiche.
Se, dunque, il De occulta philosophia è un testo spregiudicato, ma che si basa su una lunga tradizione magico-alchemica che risale già al Picatrix medievale e De dignitatae hominis di Pico della Mirandola, La nobiltà delle donne risulta ancor più innovativo, eretico e pericoloso, proprio perché si fa portatore di visioni completamente nuove. Le argomentazioni portate dal filosofo sono molte, ma la concezione più interessante risulta senz’altro l’interpretazione alternativa dei sei giorni della Creazione, in particolare dell’ultimo giorno, in cui Dio creò, appunto, l’uomo e la donna.
Agrippa ribalta la tradizionale interpretazione della creazione di Eva a partire dalla costola di Adamo che, se per millenni fu letta come testimonianza della sudditanza della donna all’uomo, viene interpretata dal filosofo come espressione, al contrario, della maggiore perfezione della donna. Questo perché, mentre Adamo fu creato a partire dal fango (come suggerisce l’etimologia della parola, adam, che significa appunto “terra”) Eva fu creata direttamente da Dio nella sua stessa “dimora”, poiché Adamo incosciente fu trasportato dal Signore tra le Sfere Celesti e qui, a stretto contatto con il Mistero della Vita e con le creature più perfette (gli Angeli) Eva fu creata. Da qui il suo stesso nome; Eva, infatti, deriva dall’ebraico Hawah che significa “portatrice di vita” e, come sottolinea Agrippa, lo stesso termine è molto simile, per consonanza, al Tetragrammaton JHWH. Con la creazione della donna, ultima creatura dell’ultimo giorno, Dio completa la sua opera divina, chiude definitivamente il cerchio e, considerando che la creazione stessa è avvenuta partendo dagli elementi più bassi fino ad arrivare a quelli più divini, ne consegue che la donna stessa è la massima perfezione del creato. Sarebbe stato paradossale, infatti, se Dio avesse voluto concludere il suo operato con un essere imperfetto e manchevole.
Da questa tesi iniziale derivano una serie di spregiudicate conseguenze teologiche, e in particolare lo stretto nesso tra donna e vita è più volte sottolineato, sotto ogni aspetto, sia fisico, sia intellettuale, sia teologico. Dal punto di vista fisico, la donna, eterna Eva, è espressione della massima fecondità del Cosmo. In contrasto con gli inquisitori, Agrippa sottolinea positivamente la bellezza, la tensione e la forza erotica manifestata dalla donna, con una lunga e dettagliata descrizione del suo corpo. Questa forza erotica, primordiale e irresistibile, lungi dall’essere una tentazione demoniaca, testimonia anzi l’eterna energia della vita. In ogni donna si nasconda la dea Demetra, la Madre Terra, fonte di ogni fecondità, senza la quale la vita non sarebbe possibile. L’aspetto innovativo del testo di Agrippa risiede però nel fatto che esso non si limita, come fecero altri autori del passato, a elogiare la donna come massima espressione del Creato a partire esclusivamente dalle bellezza, dall’erotismo e della fecondità, caratteristiche che certamente nobilitano lo sguardo e infiammano l’amore ma che, alle spalle, potrebbero non nascondere ulteriori doti intellettuali, e che quindi ridurrebbero la donna a un mero oggetto estetico. Al contrario, la Bellezza e la Nobiltà della donna che Agrippa esalta sono qualità anzitutto spirituali, morali e intellettuali.
La donna è superiore all’uomo moralmente, poiché nell’Antico Testamento sono sempre gli uomini a compiere i primi peccati e, sempre nelle sacre scritture, anche quando le donne compiono le azioni più turpi, lo fanno per un fine più elevato, ricevendo la lode di Dio. Ma la donna è superiore all’uomo anche per l’intelletto, come dimostrato da una lunga serie di filosofe, poetesse, profetesse, politche del passato le quali, quando hanno potuto praticare liberamente la loro arte, si sono dimostrate ben più capaci degli uomini. Il problema è che:
“Contro la divina giustizia e contro gli ordini della natura, essendo superiore la licenziosa tirannia degli uomini, la libertà data alle donne è loro interdetta dalle inique leggi, impedita dalla consuetudine e dall’uso, e dalla educazione totalmente negata. Perciò la femmina è tenuta fin dai primi anni nell’ozio in casa, quasi ella non sia atta a più alto negozio. Niente altro le è permesso comprendere né immaginare se non l’ago e il filo, e quando sarà giunta agli anni atti al matrimonio, è resa schiava della gelosia del marito, oppure rinchiusa nella perpetua prigione d’un monastero di monache”.
Vi è dunque un importante aspetto di critica sociale, fortemente pragmatico oltre che teologico, che denuncia l’oppressione “contro natura” da parte dell’uomo nei confronti della donna, oppressione che impedisce a quest’ultima di manifestare le sue più grandi qualità, quelle intellettuali. Anche da quest’ultimo aspetto, infatti, la donna si fa portatrice di vita, come testimoniano i nomi delle arti e delle scienze, che sono tutti al femminile (filosofia, logica, matematica, geometria, astronomia, magia, fisica ecc.). Infine, la donna si fa portatrice di vita anche dal punto di vista teologico, attraverso una delle figure archetipiche che più di tutte condensa le qualità fisiche, morali, intellettuali e spirituali: Maria. Come avrebbe potuto scegliere, Dio, la più peccaminosa delle creature per dar luce a se stesso in carne di uomo? Al contrario, se Dio ha scelto di incarnarsi in Cristo attraverso la fecondazione verginale di Maria, significa che la donna è l’essere più puro. E lo testimonia anche il fatto che Dio abbia scelto Gesù, un uomo, per espiare i peccati degli uomini, tramandati per via maschile e non femminile. Altra concezione radicalmente eretica, portata a conseguenze ancor più estreme quando Agrippa afferma che, proprio perché è l’uomo a trasmettere, come una malattia, il peccato originale, soltanto quest’ultimo necessita di prendere i voti, per espiare le proprie colpe, al contrario della donna che, data la sua purezza e perfezione, non ha bisogno della mediazione ecclesiastica e anzi ha avuto un ruolo essenziale nell’espiazione dell’umanità dai suoi peccati, facendosi portatrice anche di vita spirituale con la gestazione e il parto di Cristo.
In conclusione, il testo di Agrippa si rivela ancora tremendamente attuale, da un lato alla luce dei recenti e abietti scandali che hanno investito il mondo di Hollywood e della politica, e in generale di fronte ai pregiudizi e gli abusi antifemminili che spesso si nascondono nella nostra società; dall’altro perché esso testimonia come la questione femminile affondi le proprie radici in un passato molto più antico di quel che comunemente si pensa, poiché sempre sono esistite le voci fuori dal coro, il cui sussurro flebile giunge ancora fino a noi, ma solo a chi ha orecchie per ascoltarlo.
Daniele Palmieri
Nota di Redazione:
E’ possibile acquistare la Nobiltà delle donne in una nuova edizione, curata e annodata da Daniele Palmieri: NOBILTA’ DELLE DONNE.