8 Ottobre 2024
Politica

Riforme costituzionali: realtà o illusione?

Sta entrando in dirittura d’arrivo al senato il dibattito sulla modifica della costituzione che, negli ultimi mesi, ha appassionato molto gli organi di comunicazione. Nonostante la valanga di emendamenti presentati e le bellicose dichiarazioni di alcuni, il tragitto parlamentare si presenta, tutto sommato, complesso ma non impossibile, vista la conferma degli accordi tra Partito democratico e Forza Italia ed il richiamo all’ordine prontamente effettuato da Napolitano dopo le prime intemperanze dei dissidenti piddini. I tempi si sono molti allungati rispetto a quelli ottimisticamente stabiliti da Renzi per alimentare la sua immagine decisionista, dovranno ricorrere alle fastidiose sedute ad oltranza anche nel fine settimana e fare qualche concessione alle minoranze interne ma, in fin dei conti, non hanno molte alternative, tenendo conto che il premier ha dalla sua anche la possibilità di paventare il ricorso alle urne che, probabilmente, gli fornirebbero un parlamento molto più docile. Si noti bene, inoltre, che la maggior parte degli emendamenti (oltre due terzi) sono stati presentati da Sel e Vendola, dopo essere stato ricevuto mercoledì pomeriggio da Napolitano, ha dichiarato che se il governo dimostra “buona volontà” potrebbe anche ritirarli…

Quella del movimento pentastellato, poi, tende sempre più a configurasi come opposizione di facciata dal momento che i grillini, privi di un supporto ideologico unificante, continuano scompostamente a lanciare penultimatum ed a smentirsi a vicenda, non infrangendo peraltro la logica conformistica ed atteggiandosi addirittura ad estremi difensori del sistema democratico e costituzionale. Questo per dissipare le eventuali illusioni che qualcuno si fosse fatte su questa realtà, ennesimo contenitore-imbalsamatore delle istanze di cambiamento da molti sinceramente coltivate.

La “costituzione più bella del mondo”, insomma, si avvia all’ennesima operazione di revisione. Per inciso, se è così “bella”, tanto da farci spettacoli teatral-televisivi, chissà perchè nessun altro paese si è sognato di adottarla, nemmeno in parte minima. Si vede che l’estetica, come spesso avviene, con coincide con la funzionalità.

Premetto che non me ne frega più di tanto se la costituzione rinnovata funzionerà o no e se riuscirà a migliorare il paese. Lo ritengo comunque francamente improbabile e credo che questa, come la chiamano gli esperti, novella, si risolverà, come quella risalente al 2001 del Titolo V, nell’ennesimo caos istituzionale. Allora, per stabilire in concreto le competenze tra organi statali, regioni ed enti locali, si è dovuto spesso agire a colpi di ricorsi alla corte costituzionale, derivandone incertezze, perdite di tempo, norme regionali che hanno vissuto per pochi mesi e poi sono state caducate ovvero, al contrario, vuoti normativi che nessuno si azzardava a riempire ed allora sotto ad indagare i principi dell’ordinamento sulla materia oppure ad applicare direttamente le norme comunitarie dando l’ennesimo colpo alla sovranità legislativa del nostro paese…

Alcune parole, però, sulle modifiche costituzionali fortemente volute dall’attuale Presidente del consiglio ed avallate dal satrapo di Arcore, bisogna pur dirle. Più che altro per metterne in luce alcune delle contraddizioni che presto emergeranno, anche se l’intenzione resa nota all’opinione pubblica è quella di rendere più veloci ed operativi i supremi meccanismi decisionali dello stato. Niente di nuovo, dunque, rispetto a quanto è avvenuto negli ultimi venticinque anni per diverse conclamate riforme dell’ordinamento pubblicistico ed amministrativo del nostro paese: si annuncia pubblicamente una finalità in realtà se ne persegue una del tutto diversa.

In ogni caso, l’Unione europea, l’Ocse, i mercati, le agenzie di rating, Marchionne (ma cosa gliene importerà alla Fiat, anzi alla Fca…) insistono a chiederci “riforme” a tutti i livelli e noi continuiamo a correre dietro a questo feticcio. Senza rendersi conto che, nel tempo, si è smontato pezzo a pezzo non tanto la costituzione nata dalla resistenza (sarebbe, naturalmente, il male minore) ma le caratteristiche proprie e qualificanti di un ordinamento normativo, sociale ed economico figlio dell’esperienza fascista, che pur con i suoi difetti, molto spesso dovuti più all’applicazione che non alle norme astratte, ha consentito alla nostra debole economia di svilupparsi ed al paese di progredire. E questo nonostante il cambiamento di regime e, di conseguenza, di uomini di governo!

Di fronte al ponderoso progetto di riforma costituzionale, dunque, mi limito soltanto a focalizzare alcune delle questioni che mi sembrano rilevanti, attenendomi al testo varato dalla commissione.

Intanto, nonostante il momento teoricamente favorevole, non si è avuto il coraggio di fare quella che, anche adottando per un attimo l’ottica democratica, era l’unica cosa seria da fare, vale a dire diminuire il numero dei deputati ed abolire il senato. Invece i membri della camera sono rimasti 630 ed il senato è stato mantenuto in vita, insieme naturalmente al suo apparato burocratico-clientelare, sottraendolo però all’elezione diretta da parte dei cittadini. Quella che dovrebbe diventare la camera delle autonomie, infatti, sarà composta in maniera automatica da novantacinque politici di professione dal momento che “i Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori”. Come è lontana da questa l’immagine di una camera che, svincolata da clientele e corruttele politiche, partitiche, sindacali, religiose e finanziarie, potesse accogliere un’effettiva e graduale selezione di persone competenti e preparate, destinate a rappresentare organicamente, attraverso la loro esperienza specifica mediata da una spirituale unità di intenti generali, le categorie economico-produttive, sociali, professionali, culturali, scientifiche che nel paese esistono ed esprimono la volontà di mettersi al servizio dell’interesse nazionale esercitando le relative funzioni pubbliche. Armonia pura.

Riponendo nel cassetto la poesia e ritornando alla prosa sgrammaticata dell’attuale riforma, è chiaro che si renderà necessaria una legge, da approvarsi da entrambe le camere, che contenga le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del senato tra i consiglieri regionali e i sindaci, nonché, dal momento che l’organo ha composizione variabile, quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. Facile a dirsi ma scriverla, questa normativa, mi sembra tutt’altro che una banalità visto che si dovranno individuare dei criteri che suddividano i seggi a disposizione delle regioni (basterà quello demografico?) e poi trovare il modo per far coesistere le tensioni nazionali con quelle locali, dove le divisioni sono ancora più profonde di quelle che si riscontrano a livello centrale.

In ogni caso, per i neosenatori ed i loro portaborse, sono prevedibili faticose, continue e costose trasferte tra le sedi della carica locale e quella romana, senza contare la difficoltà di conciliare due impegni abbastanza rilevanti.

Non mi pare corretto, inoltre, affermare che le funzioni legislative del senato siano ridotte ai minimi termini. Se l’hanno confermato, d’altronde, qualcosa bisognerà che faccia. Oltre alle competenze in materia di legislazione costituzionale, di organizzazione degli enti locali e di elezioni ed organi regionali, che saranno esercitate collettivamente da entrambe le camere, è previsto un complesso meccanismo che, a fronte della trasmissione da parte della camera dei deputati di ogni disegno di legge approvato, consente, nel termine di dieci giorni, a un terzo dei componenti del senato di chiederne l’esame e, nei successivi trenta giorni, di deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la camera dei deputati dovrà nuovamente pronunciarsi, questa volta in via definitiva. Per una serie di materie (ad esempio “ordinamento di Roma Capitale”, “governo del territorio e protezione civile”, “sussidiarietà orizzontale”, “autonomia finanziaria degli enti territoriali”) la seconda pronuncia, per non conformarsi alle indicazioni del senato, dovrà avvenire a maggioranza assoluta dei componenti.

I disegni di legge in materia di bilancio e consuntivo, inoltre, saranno comunque esaminati dal senato che ha quindici giorni per deliberare proposte di modificazione. La camera ad elezione indiretta, infine, può inserirsi anche nell’iter di conversione dei decreti legge.

Insomma, risulta evidente che il meccanismo legislativo non si possa definire né chiaro né lineare né, tantomeno, rapido. Si tratta, come al solito, del risultato di un compromesso che non vuole scontentare nessuno, in primo luogo gli attuali senatori ovviamente poco inclini al suicidio politico. Il tutto è destinato a funzionare (ammesso che sia pensato a tal fine…) in maniera assai farraginosa.

Va segnalato, inoltre, che il legislatore della riforma ha tanto a cuore l’opinione degli elettori che non soltanto ha quintuplicato il numero di adesioni necessarie per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare (da cinquantamila a duecentocinquantamila), ma ha anche elevato ad ottocentomila il limite delle medesime necessarie per richiedere l’indizione del referendum abrogativo.

Detto che nel testo della riforma costituzionale è portata a compimento la faticosissima ed inutile abolizione delle province, inutile perché abbatterà minimamente i costi, costringerà a faticose nuove collocazioni delle competenze provinciali e comporterà che alcune di queste ultime, vista la situazione di crisi della finanza locale, non saranno più esercitate dappertutto (penso ad esempio alla manutenzione delle numerose strade provinciali), non si può non sottolineare che a nessuno è venuto in mente di mettere in discussione la modifica effettuata nel 2012 dell’articolo 81. Ricordiamoci che, in quell’occasione in conseguenza dell’adesione al trattato sul fiscal compact, abbiamo dato il colpo di grazia alla nostra economia inserendo nella costituzione il vincolo del pareggio del bilancio e praticamente azzerando la possibilità di ricorrere all’indebitamento. Salvo poi accusare la Germania che, semplicemente ed a differenza di noi, cura i propri interessi. Alla luce di quanto ci siamo scritti in costituzione, mi chiedo come faremo ad invocare l’allentamento, ormai non dilazionabile, del patto di stabilità europeo, che di fatto impedisce i tempestivi pagamenti ed i programmi di investimento delle pubbliche amministrazioni, mettendo in crisi molte attività produttive. Ma questo, naturalmente, è un altro discorso.

Enrico Desii

2 Comments

  • Accad 26 Luglio 2014

    Ma non sarebbe più semplice abolire la Camera dei Deputati, visto che esistono i parlamenti regionali e far sì che nel Senato venga rafforzata l’intangibilità dello Stato e salvaguardata la tradizione senatoria tipica della nostra antica cultura?

  • Accad 26 Luglio 2014

    Ma non sarebbe più semplice abolire la Camera dei Deputati, visto che esistono i parlamenti regionali e far sì che nel Senato venga rafforzata l’intangibilità dello Stato e salvaguardata la tradizione senatoria tipica della nostra antica cultura?

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