Lo studioso di comunicazione Marshall McLuhan diceva “Il mezzo è il messaggio”. Io non so se quest’affermazione sia vera alla lettera, ma sicuramente il mezzo impiegato per comunicare qualcosa condiziona fortemente il contenuto del messaggio stesso.
E’ una realtà, questa, con la quale devo fare i conti quasi quotidianamente, nel momento in cui cerco di sintetizzare questioni complesse nel contenuto di un articolo, certamente i ritmi, lo stile espositivo, gli ordini degli argomenti, non sono gli stessi quali si presenterebbero all’atto, per esempio, della stesura di un volume.
Probabilmente questo dalla stesura di questa serie di articoli dedicati a “scienza e democrazia” o, per essere precisi, alle mistificazioni che l’ideologia democratica impone alla conoscenza scientifica, risulterà più evidente che altrove.
La serie di questi articoli, infatti, è iniziata quasi casualmente, partendo da un brano dell’antropologo Colin Renfrew che Felice Vinci ha riportato in Omero nel Baltico; in esso il ricercatore britannico contraddice vistosamente le idee sin allora espresse circa la preistoria europea e mediorientale, affermando che la rivoluzione del radiocarbonio, che consente oggi di datare con relativa precisione i reperti, impone di rivedere completamente l’idea che di essa abbiamo avuto, facendoci riconoscere il fatto che l’Europa neolitica e dell’Età del Bronzo, ben lungi dall’essere contrassegnata da un’arretratezza barbarica, era di gran lunga più progredita della presunta culla della civiltà mediorientale, almeno un buon millennio avanti ad essa.
Sebbene il brano di Renfrew compaia in un testo alquanto vecchiotto (del 1972), della rivoluzione del radiocarbonio da lui preconizzata, finora non si è vista traccia, e i libri di testo, dalle elementari alle università, i programmi e i testi divulgativi e via dicendo, continuano imperterriti a raccontare la favola dell’origine mediorientale della civiltà, della Mezzaluna Fertile e via dicendo (chissà, forse anche per abituarci a un’altra Mezzaluna che si sta imponendo sempre più sanguinosamente in quella che una volta era terra d’Europa). Qui vediamo all’opera una delle armi più potenti della democrazia, la censura, il confinamento delle conoscenze che possono dare fastidio, in ristretti ambiti specialistici, mentre al grosso pubblico si continuano ad ammannire le solite favole.
Il discorso delle falsificazioni democratiche, non potevo non estenderlo alla psicologia, dove bisogna che ci si decida di dire la verità al grosso pubblico: non solo la psicanalisi freudiana, ma gran parte della presunta scienza psicologica, comportamentismo e cognitivismo, si trova a un livello che non può essere definito altro che ciarlataneria.
Dalla psicologia alla fisica, complici le indubbie somiglianze fra le figure di due grandi ciarlatani del XX secolo tuttora posti sugli altari da moltissima gente: Sigmund Freud e Albert Einstein.
Un modo di procedere alquanto pendolare, come si può vedere, perché “in mezzo”, fra due scienze prettamente umanistiche come l’archeologia e la psicologia, e la fisica, c’è tutta la gamma delle scienze naturali, e in particolare la biologia. Me ne sono occupato nella parte quarta, immediatamente precedente a questa.
Solo che a questo punto, il discorso è lontano dall’essere esaurito. Nell’articolo precedente avevo fatto un’affermazione sulla quale ora è il caso di tornare a riflettere: è un fatto certamente da considerare con rammarico, che uno strumento potente e prezioso come la decifrazione del DNA sia disponibile solo oggi, e non lo fosse nell’epoca anteriore alla seconda guerra mondiale, quando sulla ricerca scientifica non gravava la pesante scure della censura democratica e si poteva parlare liberamente di razze umane.
Voi mi scuserete se adesso non entro nei dettagli di quanto ho ampiamente e ripetutamente illustrato in Una Ahnenerbe casalinga, ma quanto meno i progressi nello studio del DNA che hanno portato all’individuazione di una specie fantasma, (di cui troviamo per ora la traccia genetica ma non evidenze fossili) ominide africana con cui gli homo sapiens provenienti dall’Eurasia si sarebbero incrociati dando origine al nero subsahariano, consente di escludere che la nostra specie abbia avuto origine in Africa, e quindi demolisce l’assioma fondamentale di quell’altra favola che conosciamo come Out of Africa, che è stata inventata apposta per convincerci che i nostri antenati sarebbero venuti dall’Africa poche decine di migliaia di anni fa, che noi stessi non saremmo che dei “neri sbiancati”, che le razze umane non esistono, e in ultima analisi per farci digerire senza recriminare troppo, la sostituzione etnica oggi in corso in Europa.
D’altra parte ricorderete che l’Out of Africa era già stata smentita nel 2014 dalle ricerche dei genetisti russi A. Klysov e I Rozhanskii che esaminando gli aplogruppi (cioè le varianti) del cromosoma Y hanno dimostrato che i ceppi eurasiatici non discendono da quelli africani. Pare di assistere in campo scientifico a una rinnovata guerra fredda a parti invertite: laddove i ricercatori russi sono liberi di esporre semplicemente i fatti e basare le loro teorie su di essi, gli americani sono costretti dalla necessità ideologica della political correctness intesa a giustificare la società multirazziale.
Ora, però, io sarei pronto a scommettere fino al mio ultimo centesimo che la rivoluzione del DNA la vedremo tanto poco quanto abbiamo visto la rivoluzione del radiocarbonio annunciata da Colin Renfrew, che si continuerà a raccontare al grosso pubblico la favola dell’origine africana così come si è continuato a raccontare la favola della Mezzaluna Fertile, tenendo forzatamente confinata a un ristretto gruppo di specialisti la consapevolezza che è una falsità, esattamente come è avvenuto per la prima. Non solo alla democrazia non interessa la verità, ma essa è un nemico da combattere con ogni mezzo.
Certamente ricorderete il nome di Sergio Gozzoli, questo scomparso collaboratore della rivista “L’uomo libero”, che può essere affiancato senza sfigurare troppo, al grande Gianantonio Valli, e probabilmente ricorderete anche il suo stupendo saggio, L’incolmabile fossato, che fa il punto in maniera davvero esemplare sulle differenze fra civiltà europea e “cultura” americana, un testo che ancora oggi, anzi soprattutto oggi dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, bisognerebbe costringere tutti gli atlantisti, tutte le Oriane Fallaci di entrambi i sessi a leggere e rileggere.
Tra le altre cose, sempre su “L’uomo libero”, Sergio Gozzoli è stato autore di un pezzo, La rivincita della scienza, che mi sembra debba essere considerato di importanza non troppo lontana da quella de L’incolmabile fossato.
La rivincita della scienza da che cosa? In questo articolo che è del 1997 (ma non pare che in vent’anni le cose siano sostanzialmente cambiate), Gozzoli faceva notare che il pensiero di sinistra ha finora messo al bando la conoscenza scientifica dall’interpretazione del comportamento umano, dalla visione di noi stessi, della società, del mondo in cui viviamo:
“L’intera cultura corrente, e quindi l’opinione dei più, è larghissimamente dominata da indirizzi e scuole di pensiero – filosofiche, ideologiche, antropologiche, psicologiche, sociologiche, pedagogiche, morali – che pretendono di studiare, definire e interpretare, o addirittura indirizzare e determinare, i comportamenti umani, ossia la funzione, senza conoscere nulla della struttura che la sottende. Anzi, ignorando del tutto l’esistenza stessa di un rapporto struttura funzione nel campo della psiche umana.
(…).
Si tratta del resto di un fenomeno che non risparmia quasi alcuno dei molteplici campi della conoscenza scientifica: dalla microfisica alla biologia molecolare, dalla genetica all’etologia, dalla psicologia sperimentale alla neurofisiologia, tutte le branche della ricerca e del sapere scientifico vengono oggi formalmente ossequiate, ma sostanzialmente e praticamente ignorate.
Si accettano e si utilizzano le loro applicazioni pratiche in campo tecnologico, ma non si raccoglie la loro lezione fondamentale”.
“La rivincita” consiste precisamente nel fatto che oggi, nonostante tutti gli ostacoli che sono stati posti sul suo cammino, nonostante tutte le censure, le tiranniche proibizioni a pensare di cui la democrazia è capace, la ricerca scientifica ha accumulato conoscente sufficienti a costituire una smentita bruciante di tutte le utopie buoniste, democratiche, progressiste, marxiste e cristiane.
“Le conclusioni scientifiche non lasciano dubbi: il cervello umano – ogni singolo cervello umano – non è una tabula rasa che l’esperienza debba riempire attraverso l’accumulo di impressioni e informazioni, ma è un «negativo impressionato in attesa di essere immerso nel liquido di sviluppo».
L’ambiente, cioè la vita che lo accoglie e lo nutre, può portarlo – a seconda che esso sia positivo o negativo – al massimo della sua pienezza o al minimo della crescita e del rigore: il cervello di un grande matematico, o di un prodigioso portiere di calcio, se non è stimolato da attività ed esercizio non svilupperà mai le proprie caratteristiche, mentre al contrario ricerca ed allenamento stimoleranno lo sviluppo pieno delle potenzialità genetiche. Quello che però è certo è che il risultato conclusivo era già contenuto, in potenza, nella pellicola genetica del cervello.
Il problema centrale (…). è che dalla genetica non dipendono soltanto l’intelligenza, le inclinazioni, i ruoli, l’aggressività e l’emotività, ma anche le scelte morali fondamentali, che non sono affatto il prodotto di un libero arbitrio, ma espressione di tendenze iscritte da sempre nel patrimonio genetico del nostro cervello”.
Capite bene cosa significa tutto ciò? E’ il dogma fondamentale su cui si basano democratici, progressisti, marxisti, sinistri di ogni specie e variante ad andare implacabilmente in pezzi: la totale costruibilità dell’uomo a partire dall’ambiente, dagli stimoli ambientali, dai riflessi condizionati pavloviani, e quindi la possibilità di edificare la società perfetta fornendo gli opportuni stimoli condizionati. In pratica Rousseau, Thomas Jefferson (autore della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti), Marx e il Concilio Vaticano II nello stesso bidone delle immondizie.
Tuttavia, questa rivincita è destinata a rimanere mutila e incompleta, perché non viviamo nel mondo delle idee, perché il potere che si autodefinisce democratico non può rinunciare completamente alla scienza in ragione delle sue ricadute tecnologiche, ma non ha alcuni interesse per la realtà dei fatti, e quando essa diventa pericolosa, non ha nessuno scrupolo a usare le armi della censura, della repressione delle voci fuori dal coro, della violenza.
Sergio Gozzoli fa diversi esempi: un convegno indetto da Edward O. Wilson padre della sociobiologia interrotto dall’aggressione di un commando di femministe perché “colpevole” di studiare le differenze biologiche fra cervello maschile e femminile. Cita poi altri casi di convegni e pubblicazioni proibite, di aggressioni, di dichiarazioni di esponenti democratici e di sinistra che reclamano la proibizione delle ricerche sulle basi genetiche dell’intelligenza e del comportamento.
Tutto questo però è ancora poco: nei vent’anni che ci separano dalla stesura di questo articolo, la guerra “democratica” alla conoscenza scientifica si è intensificata, e la censura e la violenza si sono rivelate le armi “dialettiche” predilette della democrazia.
Di casi del medesimo genere di quelli citati da Gozzoli, in questi anni ne abbiamo visti molti, e io credo di avervene dato sulle pagine di “Ereticamente” una buona documentazione, tuttavia quello forse più drammatico è stato quello di Arthur Jensen. Questo ricercatore si era proposto di stabilire una volta per tutte se le differenze di quoziente intellettivo fra bianchi e neri americani (mediamente 15 punti, ma l’afroamericano non è un nero puro, è praticamente un mezzosangue) dipendano da fattori sociali, ambientali e culturali, oppure dalla differenza genetica.
Come fare a “randomizzare”, cioè rendere irrilevanti nella rilevazione i fattori sociali-ambientali-culturali in modo da far risaltare il nudo fatto genetico? Jensen ha avuto un’idea che si può definire geniale: ha raccolto come soggetti un gruppo di ragazzi afroamericani, tutti considerati “neri” e tutti provenienti dallo stesso ambiente sociale, li ha divisi in tre sottogruppi, uno più vicino al bianco, uno intermedio e uno più vicino al nero puro, e li ha sottoposti a una serie di test d’intelligenza.
Convinto in partenza che le differenze di Q. I. tra bianchi e afroamericani dipendessero solo da fattori socio-culturali, Jensen non si aspettava di trovare differenze significative tra i risultati dei tre gruppi, tuttavia l’esito dei test non ha lasciato dubbi: il gruppo “bianco” otteneva i risultati migliori, quello di mezzo si poneva in una situazione, appunto, intermedia, mentre quelli del gruppo “nero puro” erano i più scadenti.
Arthur Jensen ha pubblicato i risultati nella convinzione (santa ingenuità) di rendere un servizio alla comunità nera, evidenziando il fatto che i ragazzi di colore avrebbero bisogno di un addestramento speciale per competere alla pari con i ragazzi bianchi.
Subito è scattata l’accusa di razzismo, Jensen ha perso il posto all’università, e gli editori hanno rifiutato le sue pubblicazioni, ma non è tutto: per anni ha subito attentati nei quali ha ripetutamente rischiato la vita, e ha dovuto pagarsi un servizio di guardie del corpo (a sue spese, ovviamente, non è mica Saviano!).
Un bell’esempio di quale sia, in definitiva, l’atteggiamento della democrazia nei confronti della scienza, è bene illustrato in un brano che si trova nel libro Questa idea della vita del divulgatore Stephen Jay Gould. Secondo Gould, sarebbe in atto una vera e propria cospirazione antidemocratica da parte di genetisti, sociobiologi, etologi e darwinisti sociali. Il padre e l’ispiratore di questa cospirazione sarebbe Konrad Lorenz, verso cui sinistri e democratici hanno un astio tutto particolare (ricordiamo le recenti pressioni dei democratici che hanno indotto l’università di Salisburgo a revocargli postuma la laurea honoris causa attribuitagli in vita).
In realtà, non si tratta di una congiura, ma del semplice fatto che ricercatori intellettualmente aperti e onesti non possono fare altro che constatare che la ricerca scientifica smentisce i dogmi della democrazia.
C’è poi da segnalare una strana, stranissima circostanza, il defunto Stephen Jay Gould apparteneva allo stesso gruppo etnico-religioso di circoncisi e non mangiatori di salame cui appartenevano Marx, Freud ed Einstein.
Non se ne esce: la democrazia è oscurantismo, e come tale reclama l’avvento di un’epoca intellettualmente buia.
NOTA: Nell’immagine, a sinistra Gregor Mendel, scopritore della genetica. Al centro:la foto di questa bella ragazza nordica correda l’articolo di “Atlantean Gardens” dove si riferiscono le ricerche di A. Klysov e I Rozhanskii che smentiscono l’Out of Africa. A destra, Konrad Lorenz, padre dell’etologia e forse l’ultimo vero scienziato della nostra epoca.
6 Comments