La stesura di questo articolo è stata di poco posteriore al referendum del dicembre 2016 che ha fortunatamente bocciato la proposta di riforma costituzionale renziana. A me premeva (e preme) precisare che per quanto mi riguardava, la scelta del NO non significava minimamente un atto di amore verso la costituzione “nata dalla resistenza”, ma semplicemente sventare il tentativo del governo allora in carica di peggiorarla, impedendogli di ridurre ulteriormente le briciole di voce in capitolo che gli Italiani hanno sulla loro vita associata. E’ poi accaduto che la presentazione a “Ereticamente” di questo articolo (a cui dovranno necessariamente seguire degli altri, perché per il momento ho limitato la mia analisi ai primi dieci articoli della “nostra” costituzione) è stata più volte rimandata. Forse sto tenendo in piedi troppi filoni di analisi e riflessione. Oggi, la carta(ccia) costituzionale ha compiuto settant’anni; infatti entrò in vigore il 1 gennaio 1948. E’ dunque proprio il momento adatto per pubblicare l’articolo che state leggendo, in modo da celebrare questa ricorrenza come merita.
E’ sempre buona norma nella vita giudicare le persone e le cose in base ai fatti e alle azioni, per quel che realmente sono e non per ciò che dicono di essere o in base alle intenzioni che proclamano più o meno solennemente. Questo ovvio principio ispirato al buon senso sembra potersi applicare a ogni aspetto della vita, tranne la clamorosa eccezione della politica, in particolare per quanto riguarda quella forma politica ormai onnipresente a livello planetario che conosciamo come democrazia.
Qui non si dovrebbe guardare a ciò che questi regimi che si identificano con tale etichetta sono realmente, ma alle “buone intenzioni” che proclamano con enfasi e sistematicamente disapplicano nella pratica. IN TEORIA “democrazia” dovrebbe significare potere popolare, e questo concetto è perlopiù associato a quello di libertà e di diritti umani, anche se bisogna chiedersi quale potere abbiano i popoli soggetti a regime democratico, visto che non è loro concesso di decidere alcunché, nemmeno di continuare a esistere come tali, ma subiscono oggi l’imposizione del meticciato, e dove diavolo stiano queste libertà e questi diritti umani in regimi che moltiplicano e inaspriscono le fattispecie di reati d’opinione, nei quali si può finire in galera per aver espresso dubbi sull’entità del presunto olocausto, per aver espresso apprezzamenti sui regimi esistiti in Europa fra le due guerre mondiali o anche, come è accaduto allo scrittore austriaco Gert Honsik, per aver affermato l’esistenza del piano Kalergi. In realtà si vede bene che “la libertà” in democrazia non esiste se non muovendosi all’interno di binari di ortodossia politica molto stretti.
IN PRATICA, il significato reale di quelle che chiamiamo “democrazie”, è di proconsolati e vassallaggi del dominio americano sull’Europa. La realtà dei fatti l’aveva svelata l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama poco prima di lasciare il mandato, dichiarando che “Il grado di democrazia di uno stato si misura dal grado di amicizia verso gli Stati Uniti”. “Amicizia” è un termine del linguaggio orwelliano, naturalmente, se vogliamo chiamare “amicizia” un rapporto dominatore-dominato.
L’Italia rientra in pieno in questa casistica, anzi potremmo dire che “la nostra” repubblica che ci opprime da settant’anni, è riuscita a distinguersi fra tutte sia per servilismo verso il dominatore yankee, sia all’interno per corruzione e noncuranza della sua classe dirigente (digerente!) per i propri concittadini.
Nel dicembre 2016 c’è stato un referendum da cui è uscito (fortunatamente!) bocciato un progetto di riforma costituzionale avanzato dal governo Renzi. “Ereticamente” e il sottoscritto hanno, nell’ambito in cui riescono a far sentire la propria voce, invitato a votare NO, ed è stata una scelta che io ritengo sia stata assolutamente giusta e coloro che si sono astenuti per non dare la loro approvazione alla costituzione antifascista, a mio parere hanno sbagliato, infatti, non si trattava di approvare questo documento ormai in vigore da sette decenni, ma di impedire al governo di sinistra di rendere ancora peggiore la “legge fondamentale” dello stato democratico, introducendo un senato interamente nominato, rendendo automatica l’applicazione all’ordinamento italiano delle disposizioni della UE, abolendo l’ordinamento regionale della sanità (con l’effetto di mettere le regioni dove essa funziona al livello di quelle dove essa non funziona e si può morire al triage del pronto soccorso), eccetera, cioè in sostanza di limitare ancor più la poca, pochissima voce in capitolo sulla loro vita che hanno i cittadini di questo stato democratico.
Premesso tutto questo, è forse il caso di esaminare da vicino questo documento su cui si basa la nostra “vita democratica” (o la nostra lenta agonia come popolo) che quegli stessi sinistri che volevano riformare nel senso sopra detto nel 2016, quando il governo di centrodestra aveva a suo tempo proposto una riforma costituzionale, avevano proclamato intoccabile e definito “la più bella del mondo”.
In effetti, in essa troviamo sia buoni principi regolarmente disapplicati, sia trappole ben celate per fare sì che ai pomposi proclami di libertà e volontà popolare non possa realmente corrispondere nulla nella sostanza.
Si tratta di un tipo di esame per il quale occorrerebbe probabilmente la competenza di un giurista, uno specialista in un tipo di cultura che non è la mia, ma, con la coscienza dei miei limiti, vedrò di fare il meglio possibile.
Prima di esaminare cosa c’è nella “nostra” costituzione, è forse il caso di dire due parole su quel che a mio avviso ci dovrebbe essere e non c’è.
Teoricamente, in uno stato “ideale”, la nazione, il popolo congiunto da legami storici, culturali, ma soprattutto di sangue, dovrebbe essere il contenuto, e lo stato coi suoi ordinamenti formali, il contenitore. Di ciò nella “nostra” costituzione non c’è nulla, anzi, la parola “nazione” non vi compare nemmeno una volta. Questo poteva essere forse poco importante in altre epoche, ma oggi che subiamo i flussi migratori, e la coabitazione nei medesimi spazi distingue sempre di meno l’italiano dallo straniero, e la cittadinanza formale, cartacea in assenza di un qualsiasi riconoscimento della nazionalità, non garantisce nulla, è una lacuna estremamente pericolosa.
Ma vediamo cosa recita “il dettato” costituzionale. Va da sé che non esamineremo per intero questo complesso documento, scritto in molti punti in un linguaggio “tecnico-giuridico” quasi incomprensibile, ma i punti più rilevanti.
Articolo 1: L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Io penso che questo articolo avrà provocato la perplessità e i commenti ironici di intere generazioni di studenti di diritto: come se nel nostro Paese non abbondassero le sinecure lucrose, a cominciare da quelle della classe politica, se fosse stato scritto “fondata sullo sfruttamento del lavoro altrui” o “sull’arte di arrangiarsi”, di certo si sarebbe descritta una situazione molto più aderente alla realtà.
Per capirne il reale significato, occorre ricordare in che contesto storico e da chi “la nostra” costituzione è stata scritta, essa è nata come un faticoso compromesso fra democristiani e comunisti all’indomani del secondo conflitto mondiale e della guerra civile. E’ probabile che questa formula sia nata dall’attenuazione di una proposta comunista, “repubblica democratica dei lavoratori”, e sappiamo in realtà quale significato avesse questa ossimorica terminologia nel linguaggio orwelliano imposto oltre la Cortina di Ferro. A riprova di ciò, si può considerare quale sia ancora oggi lo stemma di questo stato (no, non diciamo bastardo, diciamo dalla nascita ibrida): una stella bianca a cinque punte bordata di rosso sovrapposta a una ruota dentata circondata da un ramo di quercia e uno di olivo, il simbolo che ben conosciamo impresso e/o filigranato su tutte le carte da bollo e cartacce più o meno ufficiali.
Anche qui non è difficile riconoscere l’attenuazione della simbologia comunista. La stella bianca bordata di rosso nella proposta originale dei “compagni” sarà stata tout court una stella rossa, e la ruota dentata è andata probabilmente a sostituire una falce e martello.
Articolo 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali (passim).
Questo articolo è veramente uno dei “pezzi forti” della “nostra” costituzione, che non soltanto non presenta alcun riferimento alla nazionalità, ma di fatto la nega con questa dichiarazione di cosmopolitismo, esso significa in sostanza che “italiano” è un mero concetto burocratico, significa avere scritto “repubblica italiana” sui documenti, a prescindere dall’esistenza degli Italiani come nazione o etnia.
Nella pratica, è un’arma rivolta contro di noi, contro chi ha la disgrazia di essere di etnia italiana, e nella sostanza è profondamente, disgustosamente razzista, perché chi è etnicamente non italiano (ma possiede la nostra cittadinanza e ne abusa) ha il “sacrosanto” diritto di infischiarsene. Pensiamo al fatto che in Alto Adige esiste la dichiarazione di appartenenza etnica in evidente contrasto con la lettera di questo articolo costituzionale, a riprova del fatto che Nella provincia di Bolzano non valgono le leggi italiane. Parecchi anni fa, quando dopo la laurea ero in cerca di prima occupazione, seguivo tutte le pubblicazioni della gazzetta e dei bollettini ufficiali regionali in cerca dei bandi di concorsi pubblici. Mi colpì un bando di un concorso indetto dalla provincia di Bolzano per sedici posti di impiegato: quattordici erano riservati a esponenti della minoranza tedesca, uno a un esponente della minoranza ladina, mentre il sedicesimo sarebbe potuto andare indifferentemente a un tedesco, a un ladino, a un italiano. Non si dica che in certe zone dove la gente parla prevalentemente tedesco occorre che gli impiegati siano tedeschi: un impiegato di madrelingua italiana che parli correntemente il tedesco potrebbe assolvere le stesse funzioni. La stessa cosa accade nella province di Trieste e Gorizia, dove gli esponenti della minoranza slovena possono insegnare nelle scuole italiane, ma chi è etnicamente italiano nelle scuole slovene non può fare nemmeno il bidello: se sei italiano, lì non sei abbastanza qualificato nemmeno per tirare le catenelle degli sciacquoni dei bagni. Questo è razzismo, razzismo anti-italiano, il frutto avvelenato dell’articolo 3 della costituzione “più bella del mondo”.
L’articolo 3 mostra bene come funziona tutta la costituzione: essa accorda agli stranieri diritti che costoro mai si sognerebbero di riconoscere ai nostri connazionali sul loro suolo (o sul nostro, laddove godano del privilegio di essere riconosciuti come “minoranza linguistica”), sotto l’apparenza letterale dell’uguaglianza, di fatto sancisce la disparità dei cittadini di fronte alla legge.
Questa disparità è ancora più marcata laddove si parla di “senza distinzione … di opinioni politiche”, qui si tocca veramente il grottesco, tanto lo scollamento fra la lettera del testo e la sua concreta applicazione è evidente: ad esempio, nel nostro ordinamento c’è una legge, la legge Scelba che proibisce ai partiti politici di dotarsi di organizzazioni paramilitari. Bene, dal 1945 agli anni ’80 in Italia c’è stato un solo partito che si è dotato di un’organizzazione paramilitare, il partito comunista che disponeva della cosiddetta Gladio rossa. Pensate che qualche magistrato abbia mai pensato di aprire un provvedimento giudiziario contro il partito comunista in base alla legge Scelba? Andiamo, sappiamo benissimo contro quale parte politica questa legge è diretta! L’articolo 3 è un esempio splendido di come funziona la nostra costituzione, i cui principi hanno valore effettivo solo quando ci danneggiano come popolo o sono diretti contro la parte politica che si definisce più o meno propriamente “nazionale”, di fatto sancisce non l’uguaglianza ma l’ingiustizia.
Articolo 7: Lo stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani (passim).
L’articolo 7 è subito un’eccellente dimostrazione di come concretamente si applichi l’articolo 3, difatti istituisce una disuguaglianza fra i cittadini di fede cattolica, i ministri del cui culto sono “indipendenti e sovrani” sullo stesso livello dell’autorità statale, e i cittadini di fede non cattolica i ministri dei cui culti non hanno tale autorevolezza e sono pienamente soggetti alle leggi dello stato. Probabilmente, il concordato del 1929 è stato uno degli errori più gravi del fascismo che ha portato alla restaurazione di un residuo di stato pontificio, e a una serpe che il regime si è covato in seno, ma la repubblica democratica ha aggravato questo errore, perché dal 1945 si è confrontato con il Vaticano un potere statale molto meno forte e coerente di quello fascista. In settant’anni le interferenze clericali nella nostra vita pubblica sono state e continuano a essere pesantissime, e oggi con il continuo piagnisteo a favore di quelli che il Vaticano chiama “poveri migranti” e noi dovremmo avere il coraggio di chiamare invasori e parassiti, hanno raggiunto un livello davvero intollerabile.
Articolo 10: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (passim).
Su questo articolo, nella vaghezza della sua formulazione, non ci sarebbe molto da dire, tranne rilevare il fatto che questo è uno dei punti in cui la riforma renziana fortunatamente sventata, intendeva agire in senso nettamente peggiorativo, rendendo automatica l’applicazione al nostro ordinamento delle delibere della UE, privando gli Italiani di quelle briciole di facoltà decisionale che la “nostra” democratica costituzione ancora concede loro.
Siamo, come si vede, ancora all’esame dei primi dieci articoli, e la costituzione è un testo molto lungo, di articoli ne comprende 139, più 17 disposizioni transitorie e finali. Un esame articolo per articolo sarebbe probabilmente un’impresa titanica e sostanzialmente inutile, ma ci sono dei punti che avranno senz’altro bisogno di una disamina più approfondita, come quello riguardante l’assenza del vincolo di mandato (ossia dell’obbligo di coloro che sono stati eletti a cariche pubbliche di rispondere agli elettori) o il divieto di sottoporre a referendum la stipula dei trattati internazionali, tutte norme che hanno l’effetto complessivo di far sì che la “nostra” costituzione sia in sostanza una trappola cartacea congegnata precisamente per impedire al popolo di far valere la sua opinione e la sua volontà, sotto l’apparenza proclamata in termini altisonanti dell’esatto contrario, e sicuramente proseguiremo quest’analisi in un prossimo articolo, o in più articoli se sarà necessario (anche se vi prometto che non saranno 139).
Per ora, fermiamoci qui, mi sembra di avervi già offerto sufficienti spunti di riflessione.
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