Giano annuncia l’anno nuovo e dà inizio a ogni cosa. Fu considerato dai romani come il custode del mondo, preposto alle porte del cielo, cioè all’oriente e all’occidente, della terra e a tutto quello che ha principio e fine. Era raffigurato con due facce, i suoi attributi erano una chiave nella mano sinistra e un bastone nella destra perché egli era guida di tutte le strade e aveva facoltà di aprire e chiudere ogni porta, così come di dar fine a un periodo di pace e inizio alla guerra. Da lui iniziava l’anno che scorre silenzioso (tacite labentis, Ovidio, Fasti, III, 65) senza che i mortali se ne accorgano; il primo mese (Ianuarius) era a lui sacro; il primo giorno dell’anno nuovo era dedicato alle celebrazioni pubbliche in onore di Esculapio. Dio del passaggio e della transizione – non della nascita, nel qual caso vi presiederebbe Giunone, è patrono degli inizi in senso anche più astratto dell’atto di attraversare un confine (è uno “stato dell’essere). È associato al mattino: Orazio lo apostrofa «Padre mattutino (matutine pater), […] Giano […] apri tu il mio poema» (Satyrarum libri, 2, 6, 20-23). Curiosamente, gli si attribuisce l’epiteto «dio dei dolci» e delle feste (Cibullius: Giovanni Lido, de Mensibus, 4, 2) poiché si era soliti offrirgliene (πόπανα) ed esisteva un dolce chiamato proprio ianual preparato in occasione delle Calende di gennaio a lui dedicate e di cui Ovidio (Fasti, 1, 127 ss.) ci fornisce persino la ricetta¹:
“Quindi il mio nome è Giano. Ma quando il sacerdote mi offre una torta d’orzo e farro mescolati con un pizzico di sale, sorrideresti nel sentire che egli con tono sacrificale mi invoca chiamandomi Patulcio e Clusio“.
(Epiteti che vengono da pateo, aprirsi, e claudo, chiudersi, alludendo alla sua funzione di soglia e porta.) Veniva festeggiato anche il 30 marzo; Ovidio dice (Fasti, 3):
“Poi, per quattro volte il pastore avrà rinchiusi i capretti pasciuti, per quattro volte i prati avranno brillato di fresca rugiada, e si dovrà venerare Giano, e con lui la mite Concordia e la Salvezza di Roma e l’altare della Pace“.
Il suo tempio era di marmo bianco con ornamenti di bronzo dorato e candide le vesti dei fedeli che vi accedevano per pregare, consentendo che la cerimonia si svolgesse in maniera ritualmente propizia con parole e pensieri che fossero di fausto presagio (linguis animisque favete, letteralmente: favorite le lingue e gli animi, Fasti, 1, 71). Il tempio del dio sorgeva sul Campidoglio perché, nella tradizione romana non solo poetica (anche Livio lo afferma, 1, 55), Roma è caput rerum e nulla c’è al mondo che non sia romano. Dinanzi al tempio del dio si svolgeva il rituale, descritto da Ovidio (Fasti, Libro I, cap. II), di insediamento dei consoli che inaugurava la loro magistratura presso il tempio di Giove Ottimo Massimo. Le fiamme dei sacrifici splendono e odorano di incenso e di aromi, illuminando di riflessi e bagliori del predetto tempio di Giove Capitolino che sorgeva di fronte, e sugli altari crepitano i fili del più pregiato zafferano di Cilicia (3).
Chaos e bicefalia
Dio di ogni inizio e di ogni fine, è perciò identificato, nella dotta ricerca ovidiana, con il vuoto originario da cui ebbe origine il mondo:
“Me Chaos antiqui vocabant” (Fasti, 1, 101 ss.).
Colui che si manifesta al poeta non trova riscontro in nessun dio greco, e a questo proposito il suo bifrontismo ne è una caratteristica precisa e inconfondibile: il caos o condizione primordiale, memoria delle “origini” in cui ancora non era stato fondato il mondo come lo si conosce (nel caso di Roma l’“ordine”, anche rituale, corrisponde alla civitas), può implicare uno “sconfinare” da una condizione all’altra, allora può avvenire che alcune divinità che risalgono a quei tempi anteriori portino ancora le tracce di un’esistenza caotica e indifferenziata, come certi dèi primigeni che presentano entrambi i generi sessuali (l’orfico Phanes), oppure oscillano da una natura umana a una ferina, mostrandosi a volte in aspetto teriomorfo, altre antropomorfo. Così sarebbe anche la bicefalia di Giano, simbolo di una funzione «precisa e del tutto peculiare»² di questo dio del passaggio, e alla luce di questa considerazione appare più chiaro anche il passo ovidiano. Ancora nel V secolo ev si afferma vi fosse presso il foro di Nerva una statua di Giano rappresentato nella sua quadriplice forma, che rispecchia la quadripartizione dell’anno secondo solstizi ed equinozi (statua che, secondo Macrobio e Servio, sarebbe stata portata a Roma da Faleria); lo riporta il bizantino Giovanni Lido (490 ev) nel già citato de Mensibus (su roger-pearse.com il link della versione inglese, da cui sono tratte anche la traduzione e le note del testo che segue), dove nel libro IV, dedicato a gennaio, descrive anche gli epiteti del dio:
“è chiamato Janus Consivius per via del consiglio o Senato; Janus Cenulus e Cibullius, che pertiene alle feste, da cui la parola romana cibus; Patricius ovvero del luogo, indigeno; Clusivius, che pertiene ai viaggi; Junonius, “aereo”; Quirinus, campione e combattente; Patulcius e Clusius, come di una porta; Curiatius, patrono dei nobili…“.
Gli epiteti Cenulus e Cibullius lasciano sorpresi e non trovano riscontro in nessun’altra fonte, e potrebbero essere connessi a una funzione agricola sottintesa alla complessa figura divina di Giano. Patricius sta per pater, da cui il legame con la patria, rientrando in quella schiera di di patrii indigetes (dèi indigeni) a cui i romani riconoscevano uno status specifico. Ma Giano, continua Lido, è chiamato anche Aeonarius, per essere il padre di Aeon, poiché i greci chiamano l’anno enos […] Messalo invece ritiene che Giano sia Aeon stesso, per questo gli antichi celebravano una festa a Aeon il quinto giorno di questo mese [quinto prima delle Idi, i.e. il 9 gennaio]; […] è chiamato anche Saturno,cioè Crono […] oppure è il Sole, secondo la sua capacità di guardare in ogni direzione, a levante come a ponente.
Dio, daimon ed eroe
Aeon (Aiôn, greco Αἰών) può essere inteso qui anche come nome comune nel senso di tempo, eternità, ma non convince l’ipotesi che il nome di Giano (Ianuarius) derivi da una qualche forma di Aeon; altra ipotesi è l’etimo da eo, prima persona del verbo ire (andarsene), riferito al suo rappresentare un passaggio, un attraversamento; l’Aeon citato da Lido potrebbe alludere anche al dio leontocefalo dei misteri orfici e mitraici, e l’atto di “andare” di Giano si configurerebbe ora in uno scenario cosmico, ciclico, dove l’ἴα ὤν (essere uno) diventa αἰών. Lido riporta inoltre un’altra spiegazione del nome, secondo cui la radice rimanderebbe a ianua, porta, perché, stando all’interpretazione di certe fonti del nostro autore, Giano sarebbe stato un eroe civilizzatore, che per primo ha costruito case e porte d’ingresso nelle dimore e nei centri abitati. Secondo un altro punto di vista, invece, [gli hierophantes romani] ritengono che sia un daemon che governa sulle due Orse [le costellazioni Ursa Major e Ursa Minor] e che in lui si esprimano le più alte e divine anime del coro lunare. Il termine greco daimôn designava da principio ogni sorta di divinità, ed è solo con Platone che assume il significato più specifico di entità intermediaria tra gli dèi e gli uomini. Giano è «una delle divinità centrali» del politeismo romano e tra queste è il “meno greco”¹; nel culto pubblico è contraddistinto da tratti del tutto specifici: nel sistema calendariale non solo occupa la prima posizione rispetto all’inizio dell’anno solare, ma il suo culto è continuo poiché viene invocato in apertura di tutti i sacrifici – oltre che ogni primo giorno delle Kalendae.
Il primo di quattro re
La funzione iniziale di Giano è espressa anche in un mito che, sorprendentemente, per 5-6 secoli non ha subito variazioni sostanziali e che viene riportato dalle principali fonti classiche (cfr. Virgilio, En., 7, 45 ss., 177 ss.; 8, 319 ss.): si tratta di uno dei miti che riguardano l’origine della romanità, ovvero della città di Roma intesa come fondamento dell’ordine “cosmico” (prendendo a prestito un abusato termine greco) e racconta dei primi quattro mitici re latini che sono stati (in successione) Giano, Saturno, Pico, Fauno e dopo di lui Latino, re eponimo. I quattro re avrebbero condotto la popolazione da una condizione semiselvaggia alla “civiltà” attraverso la fondazione di città e culti religiosi, l’introduzione di tecniche agricole, di una legislazione ecc. Fin qui nessuna contraddizione con quanto sappiamo di Giano e delle sue funzioni iniziali né con la sua interpretazione quale eroe civilizzatore. Quello che interessa a un’analisi storico-religiosa è piuttosto, nota Angelo Brelich, l’accostamento di queste quattro figure divine molto diverse tra loro: durante il regno di Giano sarebbe arrivato via mare Saturno esule, scacciato dal proprio pantheon dalla vittoria di Zeus e degli Olimpi, e nel Lazio avrebbe trovato accoglienza da parte di Giano, stabilendosi questi sul monte Ianiculus (Gianicolo), l’altro sul monte Saturnio. Anche di Giano si diceva provenisse da oriente via mare, dalla Tessaglia per la precisione, ma questo non vuol dire che il suo culto fosse stato “importato” da un politeismo straniero, quanto piuttosto che le sue qualità di “re civilizzatore” e fondatore possono aver attratto elementi mitici caratteristici, nella tradizione romana, di questa tipologia di personaggi (Enea ne è un altro celebre esempio).
Dunque due re, due capi di pantheon, due divinità solenni legate alla sfera cittadina; poi, però, la successione genealogica prosegue con Fauno, figlio di Saturno, e Pico: il primo popolarissimo dio del bosco, del secondo, il cui nome rimanda a una origine teriomorfa (il picchio), manca invece ogni traccia che ne attesti la presenza – una festa, un tempio, insomma mancano del tutto documenti che ne rivelino un culto. Entrambi, però, sono legati alla sfera oracolare: Ciò disse Fauno; uguale è il parere di Pico. «Liberaci dai legami», Pico aggiunge tuttavia; «Giove verrà qui, condotto dalla nostra valida arte. L’oscuro Stige mi sarà testimone della promessa». Che cosa facessero, liberi dai legami, quali formule pronunciassero, con quale arte traessero Giove dalle sedi celesti, è vietato all’uomo sapere. (Ovidio, Fasti, III, 319-325, trad. di L. Canali)
Anch’essi mitici fondatori (di culti, leggi, cioè della vita civile), quello che accomuna i quattro re sarebbe, ciascuno nel proprio ordine, di svolgere una funzione civilizzatrice, di aver permesso il passaggio (qui Giano doveva essere il primo) da quel periodo “arcaico”, caotico, di cui via via si va perdendo la memoria, e che il mito riattualizza.
Appendice: januae caelestis aulae
Aggiornamento del 4 01 2017. A seguito di una discussione su Facebook (si vedano i commenti a questo post) ho avuto modo di approfondire l’occorrenza di “porte del cielo” (januae caelestis aulae) in connessione con il percorso del sole nella volta celeste da est a ovest. Ovidio (Fasti, 1, cap. 2, 70) afferma: «[parla Giano] Sic ego perspicio caelestis janitor aulae, Eoas partes, Hesperiasque simul», così io, quale custode (delle porte) della reggia celeste, vedo a un tempo le parti dell’oriente (Eeo) e dell’occidente (Espero).
Quando Lido, nel de mensibus (IV), parla di Giano e della sua quadruplice forma, scrive: «A causa di questo [si riferisce sopra al rapporto di Giano con tutto l’anno solare e non solo con il suo inizio] [sottinteso μυθολογοῦσι, è detto essere] di quadruplice forma per via delle quattro mutazioni». Il termine greco è τροπῶν, che significa rivolgimento, ritorno, mutazione, cambiamento e anche, quando è solo, in maniera specifica solstizio d’inverno (cfr. vocabolario Rocci, ad vocem).
Note:
1. Cfr. G. Dumézil, La religione romana arcaica, Bur 2001, pp. 290-5.
2. A. Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini, cap. 3: I primi re latini, in particolare parr. 1, 4-5, Editori Riuniti university press, Roma 2010, pp. 83 ss.; sul bifrontalismo in particolare cfr. ivi, p. 130.
3 – Non si vuole qui affrontare il tema della esatta ubicazione dei templi di Giano, né accomunare Giove e Giano in un rito di inaugurazione ‒ semmai suggerire una analoga funzione di garanti delle fondamenta della tradizione romana per via della loro relazione con la regalità; piuttosto si segue il narrato ovidiano, che dopo la presentazione di Giano nel contesto dell’inaugurazione del nuovo anno “approfitta” per una digressione sulla grandezza di Roma e del suo popolo, della magistratura e del senato, per poi tornare a parlare del dio bifronte e, anzi, far prendere direttamente a lui la parola. Il filo che unisce i versi del poeta sembra essere il tempo, più che lo spazio, la sua scansione e i suoi «determinatori», e in particolare quell’inizio dell’anno di gennaio che «si contrappone» all’altro capodanno, più antico, di marzo, e che è sancito dall’ingresso in carica dei consoli: «Se il re sacerdote faceva con il suo rito il capodanno di marzo, così […] il magistrato faceva con il suo ingresso nella carica il capodanno di gennaio», nello stesso modo in cui «il calendario tende a farsi autonomo dalla funzione regale, finché lo diventa del tutto con la riforma di Cesare. A definire il tempo in senso “regale” sopravvengono i consoli; al posto delle “liste dei re”, in tale funzione, si tengono […] fasti consulares registrati e conservati dai pontefici. Al posto di un capodanno lunisolare, sopravviene il capodanno consolare: saranno i consoli a “fare capodanno” con il loro ingresso in carica» (cfr. D. Sabbatucci, Il mito, il rito e la storia, Bulzoni, Roma 1978, pp. 480, 473). Del tempio di Giano «nel Foro di contro al Senato» Procopio (De bello gothico, 1, 25, p. 184) dice essere tutto di bronzo, di forma tetragona; il bronzo che orna il marmo dei templi è citato in Cantarella, Roma nelle Metamorfosi e nei Fasti di Ovidio, p. 106, in nota, dove l’aurum templorum del v. 39 è spiegato come “bronzo dorato” delle decorazioni.
* Fonti classiche: i Fasti di Ovidio; Liber de mensibus, Giovanni Lido.
Anna MB (https://lamisuradellecose.blogspot.it/)