10 Ottobre 2024
Architettura

Le borgate del paradiso – Primavalle. A cura di Emanuele Casalena

Virgilio Mattei

Alberto Rossi, nome e cognome comuni, di certo non lui, fu una leggenda  della destra in barricata negli anni ’60-’70. Non ricordo se lo conobbi alla scuola di partito a via Alessandria o in occasione dei comizi tirati in fretta sopra un camioncino scalcinato bardato di bandiere a mo’ di carretto siciliano. So che mi arruolò tra i Volontari Nazionali con tanto di V sulla fascia al braccio, difensori del castello crociato di Toron come la sede del Secolo d’Italia a via Milano. Proprio lì, asserragliati nei locali, durante un tentativo d’ aggressione dei “compagni”, vi conobbi Virgilio Mattei, quasi la stessa età, lui alto, organizzato, deciso quanto affabile,  un ragazzo con stile, il nostro di stile. Di quella sera conservo gelosa, muta memoria, il Secolo salvò la sede, si passò ad altri impegni. Servizio d’ordine ai cortei da piazza Esedra ( preferisco chiamarla così ) a Piazza SS Apostoli tra celerini in assetto di battaglia, gruppettari in agguato con eskimo, kefiah, bottiglie non di Coca Cola. Virgilio era di Primavalle, casa popolare in via Bernardo da Bibbiena, terzo piano, suo padre Mario era operaio, segretario della sezione MSI Giarabub di Primavalle, ripeto un operaio non uno stronzo borghese come gli assassini di quella notte del 16 aprile 1973. In casa sono in otto, sei figli più i genitori, alle tre di notte la benzina scivola sotto la porta di casa, in un attimo è l’inferno, si salvano in sei dalla strage, non Virgilio né il  fratellino Stefano, soli 8 anni, aggrappato alle gambe del maggiore che s’ affaccia bruciato alla finestra. Questo è l’anno del cinquantenario della farsa rivoluzionaria del ’68, Mario Capanna s’è affrettato a pubblicare un’apologia su quegli anni, mi limito a citare Pasolini sul tema e per me chiudiamola qui: “La rivolta del ’68 è stata una falsa rivoluzione, che si è presentata come marxista, ma in realtà non era altro che una forma di autocritica della borghesia, che si è servita dei giovani per distruggere i suoi vecchi miti divenuti obsoleti.” E ancora: Non si accorgono della valanga di delitti che sommerge l’Italia: relegano questo fenomeno nella cronaca e ne rimuovono ogni valore”. ( tratti da… il ’68 di Pasolini di Roberto Carnero ). C’è uno stereotipo pecoreccio sul Bel Paese, un abitino fuorviante cucito, in malafede ed ignoranza, dal qualunquismo interessato franco-tedesco, Italia di sole, pizza e ammore. C’è invece un’altra Italia che non ha più lacrime né sangue per bagnare il tavolo della storia e soprattutto che non conosce la giustizia neppure quella sociale.

Primavalle fu una borgata ufficiale del fascismo, ma assai diversa per genesi dei primi residenti tutti immigrati in quella verde campagna compresa tra via Boccea a sud e via Trionfale a Nord, quadrante ovest-nord-ovest di Roma. L’ampia tenuta di proprietà dell’ex Capitolato di S. Pietro fu venduta, nel ’23, alla Società privata Alba (Anonima laziale bonifiche agrarie) dalla quale il Governatorato acquistò 25.000 mq al prezzo di 5£/mq per realizzarvi casette-ette rurali sul modello della borgata Prenestina. Ci sono tante Primavalle  a partire dai villini estensivi dei primi del ‘900, a seguire quella dei numerosi baraccati del primo dopoguerra che inducono il Governatorato a costruire microabitazioni rapide monopiano più qualche dormitorio, fino a metà degli anni trenta con il progetto pilota di un  quartiere finalmente affidato all’Ifacp. Nel secondo dopoguerra nuovi interventi a partire dagli anni ’50, c’è la febbre alta del mattone, l’Icp convive con l’edilizia privata dei palazzinari sciogliendo la storia della borgata in una brodaglia di costruzioni sradicate dal progetto madre di crearvi una “borgata giardino”. Questo è il percorso a ostacoli da intraprendere, dove gli ostacoli sono anche nella lettura partigiana dell’urbanistica e architettura del ventennio attraverso l’analisi marxiana sulla genesi delle periferie. C’è un fatto incontrovertibile, il fascismo sperimentò, non solo a Roma, modelli razionalisti di pianificazione delle nascenti borgate o attraverso la riproposizione ancestrale del borgo rurale medioevale o con l’insediamento di organismi più intensivi, avanguardie dello sviluppo progressivo della città. Pur nelle indubbie ristrettezze economiche degli interventi, le borgate erano comunità morfologicamente ben definite, organismi autonomi dentro spazi delimitati dalla natura dei luoghi (strade, fossati, topografia ) provviste di una loro precisa carta d’identità. Nel secondo dopoguerra le loro generalità si sono perse per sempre sostituite dal global building dell’edilizia romana, diventando un po’ tutte figlie di N.N., le radici vengono soffocate da un campo di grigia gramigna.

Planimetria di Primavalle – anno 1934

“Tra poco sorgerà una graziosa borgata costituita da villini ornati di orti e giardini, servita da ampie strade,dove troveranno abitazione centinaia di famiglie”.(articolo del Popolo di Roma).

L’idea era appunto la creazione  di una “borgata giardino” a carattere semirurale superando di gran lunga il modello di Acilia la prima in assoluto del Governatorato ( era del ‘24 ). in linea con la filosofia di pianificazione urbanistica del fascismo nei suoi interventi in aree rurali o di bonifica. Casa semplice ma dignitosa, terra, servizi pubblici, limpido decoro, autentici borghi autosufficienti espressione secolare della tradizione comunitaria italiana. Riavvolgiamo il nastro,siamo nel ‘23 quando sorse “ l’Oasi di Primavalle ”, ristrutturazione del vecchio casale omonimo ormai in disarmo acquisito dalla Congregazione delle Figlie Povere di S. Giuseppe Calasanzio (fondatore, nel ‘600, delle Scuole Pie per  bambini  poveri), vi si  ospitano orfane o figlie di detenuti, di età compresa tra i 3 ed i 10 anni, offrendo loro un ricovero e l’istruzione di base. A seguire nel 1928 vi si insediò l’Istituto delle suore Orsoline anch’esso vocato all’educazione dei minori, nel ’32 l’Opera don Calabria che assume la cura pastorale di Primavalle viste le gravi problematiche sociali emerse in quest’area periferica e poi ancora nascerà il “Collegino” delle suore Sacramentine, ecc….

Perché questa concentrazione d’ opere pie se non a ragione di una presenza demografica consistente di diseredati che già abitavano, in modo spontaneo autarchico, quell’area già dai tempi del mitico sindaco massone Ernesto Nathan quando alle Ferratelle e a Porta Metronia furono permessi nuclei di baracche provvisorie per sedare la fame di case. Primavalle  perciò non era solo praterie dell’Agro per le esercitazioni militari della cavalleria, o il pascolo di armenti, ma luogo di prairie houses abusive, non di farmers americani, ma di braccianti giornalieri, di senza lavoro aggrappati alla città per un tozzo di pane. Partiamo dal 1931 quando nasce “ufficialmente” la borgata Primavalle come testimonia in cronaca il Giornale d’Italia del 21 gennaio del ’31: “ La nuova borgata di Primavalle “ titola il quotidiano. “ Questo nuovo villaggio suburbano di Primavalle, sorto in due mesi e occupato dieci giorni fa da trecento ex baraccati, è stato…ufficialmente inaugurato domenica scorsa, quando il Segretario Federale Nino d’Aroma vi si recò per distribuire la Befana…” Come erano queste casette fatte realizzare dal Governatorato di Boncompagni Ludovisi ce lo riferisce “ Roma Fascista” dell’otto febbraio dello stesso anno: ““Sono case senza pretese, costruite alla buona e divise in alloggi di due o tre stanze … dove i principi igienici sono rigidamente rispettati … Le nuove casette bianche, sorte in una quadruplice fila e divise fra loro da strade abbastanza ampie, hanno infatti sostituito per quella gente la baracca. Erano, questi che oggi vivono nella serenità di Primavalle, tutti abitanti di un superstite villaggio abissino pullulante nella valle delle Fornaci … dall’illuminazione elettrica all’acqua delle fontane, dagli ampi lavatoi ad un asilo per i bimbi, da una comoda strada carrozzabile, che allaccia Primavalle alla via della Pineta Sacchetti, alla fognatura”.

 

Planimetria generale delle casette di Primavalle

Attenti, Roma Fascista critica l’intervento ( case senza pretese dice ) e infila il dito nella piaga dei servizi, quell’architettura del Governatorato è elemosina verso gli ultimi che si vuole restino tali. Ben altra è la filosofia sociale del fascismo, in due parole dignità per l’integrazione. Quei primi pionieri della borgata non provengono dagli sventramenti dei Borghi ma sono gli abitanti appunto di un “villaggio abissino”  costruito abusivamente con tavole di legno fracide e latte di petrolio, una favela romana come all’Acqua Bullicante, popolo di reietti da affidare alle forze dell’ordine. La spina nel fianco del Governatorato spinge perché la nuova borgata sia dotata dei servizi primari e ancor prima di un allacciamento alla linea tramviaria di Forte Braschi, come sottolinea l’articolista del Giornale. A luglio dello stesso anno vennero costruite anche due camerate dormitorio per accogliere sfrattati e senza casa. Dal ’31 al ’35 è un susseguirsi di delibere per la realizzazione di opere, nuove casette (di tipo A e B, uno, max due vani), altri due dormitori, l’elettropompa per la distribuzione dell’acqua che scarseggia, l’illuminazione solo per la caserma dei Carabinieri (!), la costruzione di una scuola ( nel ’32), di un ambulatorio con condotta medica e la sistemazione delle strade (’35). Resta in mente Dei l’arteria di collegamento diretto con la città di Roma che salti l’Aurelia. Diciamo questo per sfatare la leggenda che Primavalle vede la luce in seguito alla demolizione della Spina di Borgo per realizzare via della Conciliazione con deportazione forzata degli sfrattati nel ghetto della periferia. La seconda Primavalle, quella inaugurata nel ’38, quella sì vide circa un terzo dei residenti provenire dagli sventramenti di Borgo Pio, non la prima.

La grande sfida per l’architettura del ventennio fu giocata tra l’avanguardia del razionalismo e il neoclassicismo, tra il MIAR dei Terragni, Libera, Persico, Pagano contro il duo Piacentini-Giovannone, a questi però fu affidato di redigere il PRG di Roma del ‘31, mentre alla ricerca dei razionalisti il compito di realizzare i “ sogni architettonici”, come li definì G. Pagano, cioè la casa popolare delle nuove borgate con oggettive problematiche di lima tra costi/benefici.  Febbre alta da studio sul come ottenere il massimo con i minimi di bilancio, partogenesi dell’uovo di colombo d’ una casa dignitosa per tutti, un certamen sociale di altissimo impegno con evidenti ricadute sul consenso politico. Mussolini era geneticamente contrario all’urbanizzazione del territorio, coltivava la cultura ancestrale, l’archetipo del villaggio autosufficiente dove la madre terra mantenesse il suo ruolo. Il “villaggio fascista” perseguiva questa filosofia agreste in antitesi con i modelli europei ed americani di grande concentrazione demografica e residenziale nelle città. Il Governatorato di Roma aveva gestito in proprio l’offerta di case popolari a partire da Acilia, ma quegli interventi rapidissimi avevano ghettizzato i poveri come fossero lebbrosi da internare in casette che per spazi e materiali erano poco più delle lasciate baracche. Calza Bini dalla metà degli anni ’30 riscattò in pieno il ruolo dell’Ifacp avocando all’istituto la piena competenza degli interventi di edilizia pubblica, progettati da un gotha di professionisti. Giuseppe Bottai, il modernista, l’uomo che guardava oltre la siepe italica, fu essenziale in quest’opera di creazione di nuovi ed efficienti interventi d’ edilizia popolare. Primavalle prevedeva l’insediamento di una comunità di 8.000 residenti distribuiti su tre tipologie edilizie, case estensive, edifici a schiera, residenze a ballatoio ( l’idea dell’ing. Nicolosi ), grandi distacchi tra i fabbricati per favorire il massimo soleggiamento.  Realizzati i primi 5 lotti del piano d’intervento, la neonata nuova borgata assistette alla solenne inaugurazione/assegnazione avvenuta il 1 giugno del 1938 documentata dall’Istituto Luce. Un Sabato di festa come testimoniano le riprese con discorso di Mussolini ai presenti dalla torre della casa del Fascio, si vedono anche il Maresciallo d’Italia Emilio De Bono e l’artefice di quel  complesso firmato Ifacp l’arch. Giorgio Calza Bini.

Plastico, Pianta planovolumetrica ed inaugurazione della nuova borgata Primavalle, in ultimo foto prospettica attuale della stessa inquadratura.

Sono palazzine a  tre piani fuori terra, gli appartamenti sono piccini ma assai decorosi provvisti, ciascuno, di servizi igienici. La struttura portante è in blocchi di tufo con solai in laterizio e ferro. Gli esterni sono finiti con intonaco verniciato di giallo ocra. Le strade interne sono ampie per soleggiare le case e mantenere la privacy, soprattutto ci sono grandi spazi verdi piantumati e predisposti per il gioco dei bambini, ciascun complesso è dotato di un portierato. Il progetto della nuova Primavalle fu realizzato dall’arch. Giorgio Guidi già protagonista, con l’ing. Costantini, del lotto IX Ifacp alla Garbatella ( una palazzina convessa ) e prevedeva l’edificazione semi intensiva su complessivi 27 lotti ma con tipologie diverse per evitare una noiosa uniformità degli interventi.

Planimetria generale della Nuova Borgata di Primavalle-1936

“Fra casermoni grattacielo ove alberghi il proletariato urbano, ed abituri isolati nei campi dei lavoratori rurali. in mezzo all’uno e all’altro tipo c’è qualcosa di intermedio, rappresentato dalle città giardino, dalle borgate rurali, dallo sforzo, per quanto è possibile, di individualizzare le case per gli umili anche in città (…) questa la sfida dell’Istituto fascista autonomo (dal ’35) case popolari diretto da un grande architetto manager ante litteram il già citato Alberto Calza Bini. A lui si deve l’input razionalista nella pianificazione urbanistica non solo delle borgate romane ma anche delle città di neofondazione, suo figlio Giorgio ci ha consegnato la città dell’aria, Guidonia. Primavalle è in quell’intermedio tra il villaggio estensivo agreste e la domanda di casa della popolazione aggrappata con unghie e denti alla città. Siamo ideologicamente lontani dalle soluzioni contemporanee europee, dall’Olanda, all’Austria, alla Francia. Ripeto perché sia chiaro, il fascismo era contrario all’urbanesimo capitalista che sostanzialmente sfruttava con usura il territorio attraverso insediamenti fortemente intensivi. L’uomo, la sua famiglia, la natura, la salubrità dell’ambiente compresa la casa, erano i fattori preminenti della politica urbanistica del regime tesa a promuovere condizioni di vita dignitose per tutti senza strappi  delle radici dalla nostra storia. La scuola elementare Cerboni, le palestre, la casa del fascio con la sua torre italica, il verde curato dei giardini comuni, il progetto di una strada di collegamento con via Boccea, scarso rimase invece il pubblico trasporto, c’era  solo il mitico tram 34 che arrancava sull’Aurelia fino al capolinea a Forte Braschi, da lì c’era un autobus bus, credo il 236, che portava a Piazza Clemente XI a Primavalle.  Nel ’39 terminano altri 7 lotti le cosiddette case “de corsa” esteticamente migliori rispetto alle precedenti ma un tantino inferiori dal punto di vista abitativo. Anche qui solenne ne fu l’inaugurazione presenziata dalla principessa del Piemonte Maria José sposa del re di maggio Umberto II. Negli anni ’40-‘43 vengono completati altri lotti nonostante la guerra che porterà  molti sfollati a rifugiarsi nel quartiere. Nel dopoguerra sarà ancora l’arch. Guidi a completare la lottizzazione con gli ultimi edifici popolari che affacciano su piazza Alfonso Capecelatro ( Cardinale napoletano) più la chiesa di S. Maria della Salute a chiudere il foro nel cui ombelico gorgheggia la fontana. Un’autentica lezione di architettura metafisica, una piazza d’Italia alla  Giorgio de Chirico con i portici ad archi che si inseguono come le ombre fluttuanti nel tempo. Ci sono le radici profonde del concetto di piazza italiana mutuata dalla splendida sistemazione fiorentina della SS Annunziata dove il porticato dello Spedale degli Innocenti  del Brunelleschi detta morfologia e assetto dello spazio.

 

Inquadratura d’epoca di Piazza A. Capecelatro riprese da Roma sparita
Inquadratura d’epoca di Piazza A. Capecelatro riprese da Roma sparita

Dagli anni ’50 l’usura prende le redini della borgata, si alzano fabbricati avulsi totalmente dal contesto urbano primitivo, lo soffocano, ne ingrassano oltre modo i fianchi trasformandolo in quartiere del caos scolorendo velocemente la sua identità. La nuova pianta ha il virus maligno della globalizzazione, volutamente crea disagio e confinamento, anzi meglio dire proprio la marxiana “alienazione” dove proprio la sinistra inzuppa il proprio pane. Ma Primavalle ha uno scatto d’orgoglio, di resilienza al degrado e l’ affida all’arte. Oggi è la regina della street art, una immensa, articolata, pinacoteca all’aperto forse unica in Europa, con i turisti meravigliati ad immortalare con scatti quei murales. Tanti gli artisti anche di chiara fama internazionale chiamati a dare forme e colori alle pareti morte o cieche.

 

Wonder Woman, murales di Flavio Solo in via Francesco Borromeo

L’ ex borgata si racconta, mette sui muri la propria memoria con orgoglio, coinvolgendo tutti i suoi strati sociali. Nessun murales ricorda però quel rogo, un’operazione di rimozione ideologica che lascia un profondo gusto d’amaro.

Ps: Un pensiero ad un mio caro amico/camerata di Primavalle Pio A., chissà se leggerà queste mie righe.

Emanuele Casalena

Bibliografia

Luciano Villani, Le borgate del fascismo, Ledizioni, Milano-2012

Primavalle, Storia di una borgata, You Tube

www.uffingtonpost.it: la tragica morte dei fratelli Mattei, un altro pezzo di storia finito nell’oblio

Rerum Romanarum, Quartiere Primavalle, 2015

Wikipedia, Borgate ufficiali di Roma.

 

2 Comments

  • Claudio 22 Aprile 2018

    Commovente, libero, passionale e sofferto. Rintraccia l’idea e traccia i confini geografici del cuore.

  • Claudio 22 Aprile 2018

    Commovente, libero, passionale e sofferto. Rintraccia l’idea e traccia i confini geografici del cuore.

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