Da tempo andiamo sostenendo che il problema dell’età presente è rappresentato dalla storia, meglio dall’interrogazione teorica attorno al suo presunto senso. Se questo è un problema di tutti, esso lo è, in particolar modo, per le culture oppositive allo stato presente delle cose, aperte alle rassicurazioni nostalgico-reazionarie o, all’opposto, alle suggestioni rivoluzionarie. In ogni caso spesso preda di atteggiamenti deterministici e necessitanti. Tenta di dare una risposta assai sensata al problema, il volume di A. Moller Van Den Bruck, insigne rappresentante delle Rivoluzione Conservatrice, Tramonto dell’Occidente?Spengler contro Spengler, da poco nelle librerie per OAKS editrice (per ordini: info@oakseditrice.it, euro 10,00). Il libro, in prima traduzione italiana, è curato da Stefano G. Azzarà, al quale si deve il prezioso saggio introduttivo.
Questo testo fu pubblicato per la prima volta sulla Deutsche Rundschau nel 1920 ed ha avuto in tedesco una successiva riedizione alcuni anni dopo il suicidio dell’autore. Il lettore italiano si troverà di fronte ad testo cruciale. Queste pagine lo sono sia in termini di esegesi del variegato fenomeno della Rivoluzione conservatrice, sia in termini di ermeneutica del “secolo breve” e del nostro presente. Dal primo punto di vista delle significative coordinate di massima le fornisce Azzarà. Nello scritto introduttivo, questi rileva i limiti delle interpretazioni tassonomiche del movimento rivoluzionario conservatore, rifiutando altresì l’appiattimento di tale fenomeno intellettuale e politico, alla categoria di “rivoluzione passiva”. L’elemento davvero originale degli autori, pur diversi tra loro, dell’orizzonte rivoluzionario-conservatore, va colto nel loro tentativo di voler recidere la modernità dalla sua ispirazione universalista, per indurla a fare i conti “in maniera aperta e senza ipocrisie con quella dimensione di volontà di potenza dalla quale, comunque, non potrà mai essere scissa” (p. 9). Nell’ossimoro Rivoluzione conservatrice, vi è ambiguità tanto nel primo, quanto nel secondo termine.
Per comprendere il senso dell’espressione coniata da Hofmannsthal, suggerisce Azzarà, essa va contestualizzata storicamente tra le due guerre mondiali, in un periodo di grandi trasformazioni sociali. Essa essenzialmente fu “il rispecchiamento e il fronteggia mento[…] di una precisa catena di nodi storico-politici con la quale questa tendenza finisce alla lunga per identificarsi” (p. 12). Alla ribellione delle masse e alla “rivoluzione dall’alto”, teorizzata e praticata dal notabilato, che significava in una parola compromesso sociale con i ceti in ascesa, i rivoluzionari-conservatori contrappongono un’azione mirata ad instaurare reali forme di socialismo nazionale e di democrazia organica. La situazione creata dall’esito della Grande Guerra avrebbe, a loro dire, favorito tale tentativo. Essi, preso atto dell’improduttività del ripiegamento nostalgico, accettarono la sfida sul terreno stesso della democrazia, del socialismo della modernità “Sfidando questi concetti nella loro stessa essenza e declinandoli in maniera diversa da come facevano il liberalismo e il marxismo” (p. 14). Lungo tale iter colsero la centralità e la pervasività dell’egemonia culturale, certamente più profonda della semplice coercizione politica e riscoprirono il senso dell’Europa. La Guerra ai loro occhi era vacua, fratricida, dannosa per i popoli del Continente che, paradossalmente, stavano preparando il Secolo americano.
Il confronto sul tema dell’Europa e del suo destino, mostra l’intensa drammaticità della dialettica interna alla Rivoluzione conservatrice, che vedrà contrapporsi, nel libro che presentiamo, Moeller a Spengler. Questi ha posto all’Occidente la domanda fondamentale sul senso ultimo della sua storia, destrutturando la credibilità dell’idea di progresso alla luce del conflitto nel quale i “rappresentanti dell’idea di umanità”, i vincitori, non hanno esitato a deporre la maschera umanitaria nel sottomettere gli sconfitti “rivelando tutto l’egoismo particolaristico e la volontà di potenza che si celava dietro le ipocrite orazioni universalistiche” (p. 18). Eppure, pur mostrando il re nudo, Spengler rimane all’interno dello stesso quadro intellettuale che pretende di correggere, il razionalismo. A dire di Moeller, al suo Tramonto mancò lo sguardo “metafisico”. Per un conservatore-rivoluzionario “il destino va compreso in maniera metafisica, non razionalistica” (p. 19). Insomma, il morfologo della storia, giunse, dopo aver tolto la maschera agli universalismi moderni, ad una posizione relativistica: alla volontà di potenza bisogna rispondere con la volontà di potenza, con il conflitto che vede contrapposte forme diverse di particolarismo. Tale cinismo è la stessa anima del Moderno, che muove dalla convinzione che la coercizione sia sufficiente a fondare un nuovo ordine. Spegler, in ciò, è intellettuale tipico del secolo XIX.
Moeller, al contrario, ha compreso il tratto “religioso” dell’epoca delle masse e della “mobilitazione totale”. Egli individua nella creazione di un contro-mito, lo strumento per l’effettivo superamento dello stato presente delle cose. Più in particolare, Spengler con il suo schematismo storico trascendentale rimane un determinista: pensa che il mondo nord-europeo nella contemporaneità ripeta il destino del mondo antico, e vada incontro alla propria dissoluzione. All’opposto, va con Goethe recuperata la storicità originaria e il suo procedere per “fenomeni primordiali”. Il destino non può essere pianificato, come del resto la storia, perché nella loro essenza essi restano incalcolabili e incomparabili. Il destino esclude ogni possibilità di ripetizione, essendo sempre diverso da “epoca ad epoca”, da popolo a popolo. Ammette solo, come riconoscerà Klages, la categoria del simile, giammai dell’identico. La Grande Guerra ha tracciato un nuovo confine, che divide la Mitteleuropa dal suo lato atlantico, e spingendo il primo verso Est, in una dimensione euroasiatica. Qui sta la grande attualità di questo libro.
Attraverso rinvii esoterico-mitologici, Moeller ricorda la centralità della rotazione dell’asse terrestre. Esso determina la “Trasmissione di quel continuo rinnovamento nella conservazione, alla quale l’Occidente stesso non sfugge” (p. 24). Il pensatore rielabora, in senso dinamico, l’idea di Tradizione. Non casualmente le sue critiche a Spengler sono in sintonia con le posizioni di Evola. La Tradizione è un trasferimento continuo di compiti, missioni e problemi, che da sempre accompagna i popoli d’Europa. In essa “nulla torna mai identico a se stesso ma ‘nel suo percorso a spirale si estende sempre in maniera ellittica, accoglie nuove possibilità e stabilisce nuovi stadi’” (p.25). Al di là di ogni destino di Tramonto, Moeller ci dice della possibilità dell’Altro Inizio per i popoli del Vecchio Continente.
Giovanni Sessa