18 Luglio 2024
Appunti di Storia Controstoria

“L’ASSALTO SI PUÒ DARE QUI E ALTROVE… È UN GIORNALE-BATTAGLIA” (il 1921 sulle pagine de “L’Assalto”, giornale del Fascio bolognese di Combattimento) – primo capitolo: 4 novembre-21 dicembre 1920

“Noi non eravamo nulla.
Noi non chiedevamo di essere nulla.
Noi non contrastavamo nessun divenire economico e politico delle classi.
Noi guardavamo anzi, con fermo amore, a tutte le rivendicazioni politiche ed umane attraverso le quali si maturano i diritti di tutti i deboli e di tutti gli oppressi.“ (1)

 

  1. IL FASCIO SI PRESENTA

Il primo numero (anzi, il “numero saggio”, come scritto sulla testata) de “L’Assalto”, viene strillonato per le vie di Bologna il 4 novembre del 1920, in occasione della manifestazione al Teatro Comunale per festeggiare la vittoria.

Il direttore, Nanni Leone Castelli, in una corrispondenza inviata a “Il Fascio”, che è l’organo ufficiale del movimento mussoliniano, scrive:

“Una ventina di fascisti, intanto, sparsi dappertutto, urlano il titolo del nuovo giornale fascista di Bologna, uscito col primo numero nel giorno fatidico, scritto, redatto e stampato in sedici ore, con una fotografia di un valoroso artefice della vittoria, Filippo Corridoni.

In un batter d’occhio, per la simultaneità della vendita, l’edizione è esaurita. (2)

Per una singolare coincidenza, a testimonianza dell’alto valore simbolico della data, lo stesso giorno nasce anche a Firenze, ad opera di Amerigo Dumini, la “Sassaiola fiorentina”, che nel sottotitolo reca la scritta giornale di guerriglia ardita”.

E, per chi ama simili accostamenti, aggiungerò che, come “L’Assalto” è stato preceduto dall’episodio proto-squadrista di San Lazzaro, il 25 ottobre, così, poco prima della pubblicazione del giornale fiorentino c’è stata  la proto-spedizione punitiva di Montespertoli dell’11 ottobre: episodi, ambedue, che testimoniano dell’effervescenza di un ambiente, quello “nazionale” che intorno ai Fasci comincia a coagularsi sempre più fortemente.

Il giornale, che vanta in testata la pretenziosa dicitura di ”giornale del Fascismo, si inserisce a pieno titolo nella numerosa schiera di simili pubblicazioni: una foto di Corridoni in prima pagina, a corredo del lungo articolo di Amilcare de Ambris, un intervento blandamente critico di Mario Morini sui rapporti tra Nazionalismo e Fascismo, ed anche una poesia ed un raccontino dai toni patriottici.

Viene pure pubblicato –ed è il documento più importante- lo Statuto del Fascio bolognese di Combattimento, in dieci punti, che ricalcano le istruzioni ricevute da Milano, vagamente minacciose al punto 3:

“art 3- i Fasci non sono legalitari ad ogni costo, né illegalitari a priori. In tempi normali, mezzi normali; in tempi anormali, mezzi adatti alle circostanze; non predicano la violenza per la violenza, ma respingono ogni violenza passando al contrattacco”. (3)

Le cose, però, da subito non vanno bene in casa fascista: il primo direttore del giornale, Nanni Leone Castelli, giornalista noto ma un po’ “chiacchierato”  in città, interventista-intervenuto e poi  fiumano, è costretto –con maniere   brusche, in stile “squadrista”- a lasciare, per certi suoi comportamenti un po’ troppo “disinvolti”.

Il giornale   “salta”, per questo,  l’uscita dell’11 novembre, e torna regolarmente, in edicola e per le strade, giovedì 18, con una  veste grafica che è sostanzialmente la stessa, ma con una grossa novità nella sottotitolazione, nella quale, all’originario e un po’ generico “giornale del Fascismo”, si sostituisce la dicitura “Periodico del Fascio bolognese di combattimento”, con, di contorno, due motti che poi saranno sempre presenti: “Frangar non flectar” a sinistra, e “Ardisco non ordisco” sulla destra.

La sottotitolazione vuole certificare, anche per chi non se ne sia accorto o faccia lo gnorri, lo stretto collegamento col nuovo protagonista sulla scena politica bolognese, il cui massimo esponente, Leandro Arpinati, è anche “gerente responsabile” della pubblicazione. A marcare, comunque,  la distanza dal precedente numero-saggio è l’incipit dell’articolo di fondo:

“Abbiamo rapito il nome al numero unico pubblicato in occasione del secondo anniversario di Vittorio Veneto. L’Assalto è da oggi il titolo del giornale dei fascisti bolognesi: da oggi noi riprendiamo regolarmente ed ordinatamente la nostra battaglia.

L’assalto è la fase risolutiva di ogni combattimento del fante, e perciò di ogni vero combattimento…ove l’individuale valore –trascendente la disciplina dei quadri per obbedire a quella dello spirito- si afferma e si misura, nobilitando se stesso e santificando la causa per cui combatte e di cui riconosce l’eccelsa superiorità sulla vita dell’individuo.” (4)

Parole chiare, a conferma dell’adesione piena ed incondizionata al Fascismo, che prende forma con una dettagliata ed articolata  riproposizione dei deliberati dell’Adunata Nazionale tenutasi a Milano il 24 e 25 maggio, e si chiude con la nota affermazione:

“È relativamente facile diventare fascisti, è piuttosto difficile rimanere. Occorre, per essere fascisti, essere completamente spregiudicati, occorre sapersi muovere elasticamente nella realtà; adattandosi alla realtà e adattando la realtà ai nostri sforzi; occorrer sentirsi nel sangue l’aristocrazia delle minoranze, che non cercano popolarità leggera prima, pesantissima poi; che vanno controcorrente, che non hanno paura dei nomi e disprezzano i luoghi comuni.” (5)

 

  1. DALLE PAROLE AI FATTI

In verità, già  il 4 novembre, di fronte alla mancata esposizione del tricolore da parte dell’Amministrazione socialista uscita vincitrice dalle urne il 31 ottobre, i fascisti si sono “presentati” alla cittadinanza. In gruppo, prima   fanno suonare, con un’azione di forza (ripetuta tre volte nel corso della giornata), il “campanone” della Torre di Palazzo Re Enzo, poi penetrano all’interno della sede comunale, esponendo il tricolore, e infine, in strada, fermano le vetture tramviarie che vengono addobbate con piccoli tricolori. Ne nasce qualche tafferuglio, e i manifestanti si impadroniscono di alcuni mezzi, tanto che, per evitare incidenti, viene tolta la corrente alle linee aeree, e i tram si fermano per strada, dove capita.

Alla sera, per degnamente porre termine alla giornata, c’è l’assalto alla Camera del Lavoro, con una conclusione inaspettata. Quando, chiamata dagli stessi difensori, impauriti, interviene la Forza Pubblica, all’interno vengono trovate, oltre ad un centinaio di Guardie Rosse provenienti dalla provincia, un gran numero di armi ed esplosivi.

Ercole Bucco, il Segretario dell’organismo, interrogato il giorno dopo, si difende in modo vile, che sdegna (e fa ridere) tutti i bolognesi, soprattutto per l’accenno alla “sua signora”, come risulta dal testo del verbale che  “L’Assalto”, maliziosamente pubblica:

“L’on. Bucco risponde: “Le armi furono portate, da persone sconosciute, alla mia signora, subito dopo i primi colpi alla porta della Camera del Lavoro dell’autorità di PS che chiedeva di entrare.

Tali armi erano contenute in un sacco, in una cassetta e alcune erano sciolte. Così pure l’esplosivo di cui si ignorava anche l’esistenza nel sacco.

La mia signora aprì la porta dell’appartamento, ma, in quel momento di panico causato dalle esplosioni avvenute poco prima al di fuori, lasciò depositare l’involto senza rendersi conto esatto di che si trattasse”.(6)

Tutta Bologna ride e motteggia (Il fortunato è Bucco / Che mangia e non lavora / E quando è nei pasticci / Ci mette la signora) alle spalle di Bucco, e comincia invece a guardare con simpatia quegli audaci giovanotti che, di qui ad una quindicina di giorni, il 21 di novembre, daranno il primo, ma già “risolutivo” colpo alla credibilità dell’apparato socialista, apparentemente fortissimo, con 55 Comuni  su 61 amministrati in provincia, oltre al capoluogo, e 120.000 iscritti alla Camera del Lavoro.

Per quella mattina  è fissata la cerimonia di festeggiamento della vittoria socialista  alle Amministrative, ma le premesse non fanno ben sperare, come dimostra il tono minaccioso del manifesto arpinatiano (sequestrato in tipografia, e affisso in forma manoscritta alle cantonate):

“Cittadini, i massimalisti rossi, sbaragliati e vinti per le piazze e le strade della città, chiamano a raccolta le masse del contado, per tentare una rivincita, per tentare di issare il loro cencio rosso sul palazzo comunale ! Noi non tollereremo mai questo insulto ! Insulto per ogni cittadino italiano e per la Patria nostra, che di Lenin e di bolscevismo non ne vuol sapere. Domenica, le donne e tutti coloro che amano la pace e la tranquillità, restino in casa, e, se vogliono meritare dalla Patria, espongano dalle loro finestre il tricolore italiano. PER LE STRADE DI BOLOGNA, DOMENICA, DEVONO TROVARSI SOLO FASCISTI E BOLSCEVICHI. SARÀ LA PROVA: LA GRANDE PROVA IN NOME D’ITALIA!” (7)

Come siano andate le cose   è fin troppo noto, e non starò qui a raccontarlo. La sintesi del giornale, fornisce, comunque, gli elementi essenziali:

Le verità sono queste:

  1. che i bolscevichi, dopo aver sparati i primi colpi di rivoltella scapparono come tanti conigli;
  2. che nella confusione i rivoluzionari di merda uccisero i propri compagni di vigliaccheria;
  3. che nella sala del Consiglio fu assassinato dalla maggioranza massimalista l’inerme consigliere di minoranza avvocato Giulio Giordani;
  4. che i capi socialisti, predicatori della rivoluzione, si sono squagliati tutti indistintamente;
  5. che i fascisti rimasero e sono padroni delle vie e delle piazze di Bologna.”  (8)

Insieme a questa scarna cronaca, ben più importante, è la pubblicazione del primo dei tre fondamentali articoli che veramente “daranno la linea” al Fascio bolognese nei mesi a venire e costituiscono la sua carta di presentazione alla città.

A cominciare dal titolo del primo: Giovinezza di tutta la provincia rossa: a noi!!!!” che riprende il tema, già abbozzato nel “numero saggio” della identificazione tra giovinezza e fascismo, ma soprattutto ribadisce il senso di una sfida dalla quale uscirà un solo vincitore:

Guardiamoci e guardateci. Nessuno  faccia il viso spaurito, nessuno abbassi gli occhi con falsa compunzione tremante. Ai conigli e ai coccodrilli, come alle bagasce, noi sputiamo sul muso. La giovinezza fascista è qui, tutta severa, tutta vigilante, tutta fieramente diritta –oggi più di ieri- e con tutta la voce dei suoi mille e mille petti gagliardi grida ancora una volta la sua squillante adunata: “A noi !”. E’ la voce romantica della libertà quattrocentesca conquistata dai nostri nonni carbonari…Lontano canaglie. Non ci toccate. Voi predicaste ieri la guerra civile, la rivolta armata, la dittatura e la tirannia delle classi, l’instaurazione di un regime antisociale ed antiumano che voleva fare del nostro Paese una grigia e immiserita e funeraria  landa dove voi, corvi, avreste potuto satollare tutte le vostre incomposte libidini di paranoici e mentecatti. Ebbene, noi fascisti abbiamo raccolto la vostra sfida. Ed eccoci qui. Qui da soli. Noi con voi. A fare la rivoluzione. Dove sono i vostri sicari che attendono di giorno e di notte all’imboscata ? Dove sono i Danton, i Robespierre, i Carnet, i capi comunardi e gli strateghi dei vostri eserciti rossi ?

Li abbiamo veduti scappare, in mille contro venti, i vostri Enjolras vittorughiani, i vostri petrolieri, i vostri terroristi delle settimane rosse di tutto il mondo. Li abbiamo veduti, resi pazzi ed incoscienti dal terrore, i vostri arditi lanciabombe, fare un’orribile strage dei vostri, di tutti i vostri. Lontano da noi. Non ci toccate. Risparmiateci la fatica di sputarvi sul viso deforme ! A soldati coraggiosi e leali, gente che non scappa, ad uomini modesti ed onesti che sanno morire, come sapevano pur morire i vostri padri comunardi e giacobini, noi, e con noi tutta la giovinezza fascista, potremmo concedere  cavallerescamente l’onore delle armi. Da pari a pari. Ma oggi, con voi, no. Lontano. Non ci toccate.” (9)

E, perché le idee siano ancora più chiare, il concetto è ribadito con poche righe, destinate a diventare un manifesto che tutti i Fasci d’Italia faranno proprio, con le opportune variazioni,  ogni qualvolta la situazione locale si surriscalderà e benpensanti e uomini d’ordine chiederanno tregua:

“Quando disarmeremo?

Quando il Partito Socialista rinuncerà:

  1. a diffamare la guerra, a svalutare la vittoria, a deridere i combattenti
  2. a minacciare la rivoluzione e ad assumere pose ed atteggiamenti che contrastano con il suo spirito, le sue tradizioni, le sue capacità
  3.       a provocare e calunniare i nostri uomini ed i nostri organismi
  4.       ad agitarsi su un terreno esclusivamente anti italiano
  5.       a continuare lo sconcio del boicottaggio contro i lavoratori che non intendono asservirsi alle sue organizzazioni

Finchè ciò non si verifichi, i fascisti continueranno a pestar sodo senza riserve, senza scrupoli e senza misericordia

Intesi ?” (10)

A seguire, con gli ultimi due numeri del 1920, si può ben dire che “L’Assalto” esaurisca gli obblighi di presentazione agli avversari, alla pubblica opinione, ed ai simpatizzanti ancora incerti.

Se i primi ad essere presi di mira sono stati i socialisti, ora il cerchio si chiude, con due attacchi, decisi e violenti, come nello stile del giornale, prima alla  borghesia e poi agli agrari.

Sul numero 3, che va in edicola l’11 dicembre,   l’articolo di fondo, che occupa quasi tutta la prima pagina, ha un titolo che lascia pochi dubbi: “Contro i bolscevichi e contro i pescecani”.

L’obiettivo principale sono questa volta i borghesi (e, in specie, gli arricchiti di guerra, i cosiddetti “pescecani”), contro i quali viene fatta promessa di battaglia “fino alla morte”, perché espressione di quella “falsa borghesia” che, con il “falso proletariato” sta portando alla rovina l’Italia. L’incipit è veramente fulminante:

Ci hanno raccontato che giorni or sono, mentre noi fascisti passavamo in colonna serrata, facendo del battito del nostro cuore un tacito ritornello alle nostre canzoni, un pescecane classico, tutto sbandato all’indietro per lo strapiombante peso di una pancia troppo gonfia di imbecillità e di sterco, abbia esclamato, attraverso un giocondo strizzare di occhi porcini: “Io, ai fascisti farei un monumento….Se noi fascisti l’avessimo udito, gli avremmo certo piantato, nel bel mezzo della sua faccia di mollusco viscido, uno sputo rotondo, uno di quei brevettati sputi fascisti di cui già onorammo i connotati sparuti e sbilenchi del Prof. Avv. Fovel, l’innocuo tartarinesco Rabagas, non appena uscì, come le talpe in cerca di sole, dalla sua tana in via dei Mille.

E adesso eccoci qua, noi fascisti, a parlarci alto e chiaro.” (11)

E dal generale si passa al particolare: mancano solo i nomi e i cognomi degli affamatori e sfruttatori, che pure, nei numeri successivi, il giornale non mancherà di fare. Per ora si preferisce non entrare in dettagli:

“Ci risulta che qualche negoziante bolognese, vedendo allontanato il pericolo che la teppa e la canaglia pussista rompa le vetrine e dia l’assalto ai negozi, si è permesso –soltanto per questo- di rialzare ancora i prezzi degli articoli.

“Tanto ormai –dicono questi strozzini da mettere al palo ed alla gogna- ci sono i fascisti che ci proteggono”.

A questi loschi maiali diciamo: “STATE IN GAMBA!” Perché le vostre vetrine  ei vostri negozi, se tanto è vero quello che ci hanno detto, sono in pericolo oggi assai più di ieri !

Faremo un allegro falò e voi ballerete attorno con noi.

RICORDATELO!

E STATE IN GAMBA!

Siamo intesi?” (12)

Si può dire che identico è, nel numero successivo, l’approccio a quelli che pure i fascisti sentono come nemici, forse più pericolosi degli stessi socialisti, perchè insinuanti e poco propensi ad uscire allo scoperto. Sono gli agrari, ai quali   già nel titolo dell’articolo, per non lasciare dubbi, vengono  promessi “due cazzotti”:

“Gli agrari fanno ora l’occhiolino dolce ai fascisti, li chiamano “cari ragazzi”, e poi piano piano, attraverso un’abbondanza di sorrisi, ed un risalto di coccarde appariscenti sì e no, vogliono persuadere noi, dico noi, fascisti, che la lotta agraria è stata soltanto un episodio di disonestà e di tirannia proletaria.

Gli agrari, rannicchiati nelle loro comode ed eleganti tane, pretenderebbero oggi di trasformarci in sicari a difesa dei loro interessi e della loro vigliaccheria.

…Questo perché la borghesia terriera… essendo nella quasi totalità una borghesia ereditaria, è anche una borghesia zuccona, avara, imbecille, taccagna e vilissima, cioè tutto fuorchè borghesia.

…Noi fascisti non muoveremo un dito per salvare la sua traballante carcassa.“ (13)

Posti di fronte alla scelta di dove schierarsi nella tradizionale contrapposizione che, nell’anno che volge al termine, ha visto i sanguinosi conflitti nelle campagne, i fascisti non hanno esitazioni:

“Ai servi della gleba, che esistono ancora, malgrado tutti i bugiardi riformismi e tutti i cataplasmi democratici, noi andiamo incontro agitando il nostro orifiamma di liberazione”. (14)

 

Giacinto Reale

 

NOTE

  1. “L’Assalto”, numero 4 del 21 dicembre 1920: “Pronti – decisi – inflessibili”, in prima pagina
  2. “Il Fascio”, nr. 39, del 1920, riportato in: Nazario Sauro Onofri, “I giornali bolognesi nel ventennio fascista”, Editrice Moderna Bologna 1972 pag. 138
  3. “L’Assalto”, numero saggio del 4 novembre 1920: “Fascio italiano di combattimento. Statuto”, in terza pagina
  4. “L’Assalto”, numero 1 del 18 novembre 1920: “La voce nostra!”, in prima pagina
  5. “L’Assalto”, numero 1 cit.: Perché ci conoscano”, in seconda pagina
  6. “L’Assalto”, numero 1 cit.: “Il conflitto alla Camera del Lavoro”, in terza pagina
  7. In: Brunella Dalla Casa, Arpinati un fascista anomalo, il Mulino Bologna 2013, pag. 55
  8. “L’Assalto” nr 2 del 1° dicembre 1920: “L’insediamento del Consiglio Comunale e la battaglia di domenica”, in terza pagina
  9. “L’Assalto”, nr 2 cit.: “Giovinezza di tutta la Provincia rossa: a noi!!!” in prima pagina
  10. “L’Assalto”, nr 2 cit.: “Quando disarmeremo?” in seconda pagina
  11. “L’Assalto”, numero 3 dell’ 11 dicembre 1920: “Il nostro posto”, in prima pagina
  12. “L’Assalto”, numero 3 cit: “In guardia, pescecani !” in terza pagina
  13. “L’Assalto”, numero 4 del 21 dicembre 1920: “Due cazzotti agli agrari”, in terza pagina
  14. ibidem

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