9 Ottobre 2024
Appunti di Storia Controstoria

“LA LOTTA DIUTURNA TRA CAPITALE E LAVORO ESISTE ED ESISTERÀ” (il 1921 sulle pagine de “L’Assalto”, giornale del Fascio bolognese di Combattimento) – 2° capitolo: 8 gennaio – 9 aprile

“L’Italia non è dei ricchi e degli oziosi, degli agrari e dei pescicani.

L’Italia è vostra!

A Trieste, a Ferrara, a Carpi, le Leghe degli operai e dei contadini hanno abbassato la bandiera rossa e innalzato il tricolore. Il tricolore deve essere la bandiera dell’Italia proletaria e lavoratrice.

Viva l’Italia proletaria! Viva i fasci di Combattimento!” (1)

  1. LEANDRO ARPINATI

“A chi l’ignoto ? A noi!”, così d’Annunzio a Fiume conclude il suo ultimo discorso, “L’alalà funebre”, il 31 dicembre del 1920, e veramente “ignoto” appare il destino dell’Italia in questo momento.

Anche la situazione bolognese, nel suo piccolo, è confusa: il Fascio cittadino, nelle sere del 3 e 4 gennaio tiene una riunione importante, perché, di fronte a circa 300 convenuti, si confrontano le due anime del movimento, in quella che il giornale definisce una “movimentatissima discussione che si protrasse fino a tarda ora”.

Il motivo principale del contendere è quello di sempre, che già nella assemblea costitutiva del primo Fascio cittadino, nell’ormai lontano aprile del 1919, era emerso: il confronto tra un’anima rivoluzionaria, intransigente e repubblicana ed una più moderata, estranea  anche ad ogni pregiudiziale istituzionale. Allora il divario era sembrato insanabile, ed aveva portato ad una prima scissione, ora l’urgenza degli avvenimenti e l’abilità mediatrice di Grandi evitano il bis.   

Alla fine, viene approvato, all’unanimità,  un ordine del giorno nel quale è detto che  l’Assemblea:

…addita ancora una volta a tutti gli Italiani immemori e senza fede il sacrificio di Fiume, ravvisando in esso il germe eroico della futura coscienza d’Italia; richiama i propri iscritti all’osservanza scrupolosa dei principi da cui ebbe vita il Fascismo italiano, e in nome dei quali il Fascismo ha combattuto e combatte; riafferma, contro il vano tentativo di minoranza interessata, la unanime ferma volontà di porre tutte le sue energie al servizio di una severa mazziniana idealità democratica, che affermi, col nome della Patria, il diritto sacrosanto dei lavoratori contro tutte le oligarchie demagogiche e plutocratiche che siano. (2)

Parole chiare che confermano la vocazione radicale (o, come impropriamente, ma più comunemente si dice,  “di sinistra”) del fascio petroniano, contro la ripetuta tesi socialista che ne vuol fare uno strumento di bieca reazione nelle mani di agrari e industriali.

È per questo che su “L’Assalto” vengono pubblicati, con cura scrupolosa, i documenti che testimoniano l’insostenibile regime di terrore instaurato dalle Leghe nel biennio precedente, dalle “taglie” ai proprietari ai “contributi” imposti forzosamente ai lavoratori, in quanto beneficiari (anche se non iscritti) dell’azione sindacale.

La battaglia, comunque, è ancora agli inizi, e il nemico non intende cedere. Se ne ha una prova  il 24 gennaio a Modena, quando, durante i funerali di un caduto fascista, contro il corteo (Arpinati in prima fila) viene aperto,   da Guardie Rosse nascoste nell’edificio della Posta Centrale, un fuoco micidiale che fa tre vittime, tra le quali il ventiduenne Augusto Baccolini.

Il fratello Umberto, che è Tenente dei Carabinieri, dà le dimissioni dall’Arma e contemporaneamente chiede di aderire al Fascio bolognese, con una lettera, integralmente pubblicata sul numero 5 del “L’Assalto”, in data 5 febbraio,:

Ho inviato, in data d’oggi, al Comando del Battaglione Mobile Carabinieri Reali di Bologna dal quale dipendo, la seguente lettera:

“Dopo l’assassinio politico vilmente compiuto nella persona di mio fratello Augusto, dopo che i Prefetti di Bologna e Modena hanno dimostrato, nel concedere il permesso di onorarne degnamente la salma, una titubanza che io reputo immorale, ho ripugnanza a servire, nel presente momento, il Governo d’Italia asservito….alla parte più turbolenta e incivile del nostro povero Paese

Rassegno quindi con la presente le mie dimissioni, e prego di darvi sollecito corso, essendo mio fermo proposito svolgere attivamente quella opera di cittadino, per la quale mi occorre libertà di pensiero e di azione. F.to Tenente Umberto Baccolini”.

Sul cadavere del mio povero fratello Augusto, del quale voglio raccogliere intera l’eredità morale, ho, senza teatralità, ma con animo fermo, incrollabilmente fermo, tacitamente giurato di prendere il posto di combattimento che non deve rimanere vuoto e che spero mi venga riservato di diritto

La presente valga quindi come domanda di ammissione al Fascio di combattimento, del quale condivido la fede ed approvo il programma, benché in passato –lo confesso- non ne avessi compreso le grandi benemerenze, e  fra le cui fila mi parrà di ritrovare interamente la personalità del povero morto” (3)

Egli diventerà poi uno dei capi dello squadrismo cittadino, agli ordini di quell’Arpinati che, con l’esempio, si va sempre più affermando sulla scena cittadina. Costantemente in prima fila nell’azione (il 13 gennaio viene, per esempio, arrestato dopo una sparatoria, sul trenino Bologna-Bazzano, con avversari colpevoli di aver boicottato un suo uomo) non rifugge anche da gesti clamorosi, come quando, il 18 dicembre, dopo l’aggressione ai Deputati Bentini e Niccolai,   si presenta spontaneamente in Questura, insieme ad altri tre, dichiarandosi colpevole, per  ottenere così la scarcerazione dei quattro squadristi  innocenti già arrestati.

In effetti, egli pure è senza colpa, e dopo due giorni di carcere viene rimesso in libertà, con una denuncia per minaccia ed oltraggio a membri del Parlamento, ma non per percosse.

La sua crescente popolarità è mal vista dagli avversari: sul primo numero del 1921, “L’Assalto” pubblica la notizia che   i socialisti di Civitella, città natale di Arpinati,   hanno inviato al giornale “Romagna Socialista” una lettera di protesta per il contegno del loro concittadino. Mal gliene incoglie. Andarono per suonare, e furono suonati dalla puntuta risposta:

Non capiamo a quale contegno vogliano alludere: forse essi sono irritati dal fatto che l’amico Arpinati, anziché sfuggire alla giustizia come fanno i bolscevichi, ha l’abitudine di costituirsi e di assumere le responsabilità di tutte le azioni del  Fascio di combattimento…

E poiché abbiamo parlato di Civitella e di Arpinati, ci permettiamo di aggiungere un nostro parere, e cioè che Leandro Arpinati vale da solo molto più di tutti i bolscevichi di Civitella e di tutta la provincia di Forlì. (4)

Sono schermaglie: il Fascio va impegnandosi, ogni giorno di più sul terreno –come si dice oggi- “sociale”, e per questo la lotta alla disoccupazione diventa un tema ricorrente in questo inizio d’anno, quando ancora molti degli smobilitati non riescono a reinserirsi nella realtà lavorativa della Provincia, sia nelle campagne dove il lodo Paglia non ha risolto la situazione, che  in città, dove le industrie, finite le esigenze di produzione bellica, iniziano a licenziare il surplus di mano d’opera.

La strada scelta   è quella tradizionale delle organizzazioni sindacali, a partire da  un Ufficio di Collocamento, messo su nella stessa sede del Fascio, per favorire la ricerca di un posto di lavoro. Con legittima soddisfazione, già a fine febbraio, i primi risultati si vedono:

Presso la sede del Fascio funziona un Ufficio di Collocamento che, in poche settimane, ha dato ottimi risultati.

Diverse centinaia di operai e di impiegati sono stati collocati, e le domande di mano d’opera continuano a pervenirci.

I cittadini ricordino che i nostri disoccupati non chiedono sussidi, ma chiedono lavoro.

È dovere di tutti cooperare a che i nostri operai inoperosi trovino modo di collocarsi, senza dover ricorrere alle Leghe socialiste”. (5)

La sindacalizzazione del movimento sarà una scelta che farà discutere, anche se al momento ancora sottotraccia.

Da una parte, Arpinati,   che proprio dal mondo del lavoro, anche più umile,  proviene,  preferisce, forse anche in conseguenza della sua formazione anarchico-individualista, evitare l’intervento del Partito nelle questioni economico-sindacali, riservando alle squadre l’azione  risolutiva in caso di situazioni insanabili.

Dall’altra Grandi, il quale pensa che, una volta sconfitto il bolscevismo, il Fascismo potrebbe  smobilitare per lasciar posto a una moderna  “democrazia del lavoro”, è invece convinto sostenitore di questo nuovo “sindacalismo nazionale”, per ora all’avvio, che sembra comunque procedere spedito sulla sua  strada:

Noi intendiamo tener presenti i suoi errori (del Partito socialista nda), raccogliere di esso l’eredità migliore.

Questa realtà è il sindacalismo.

Sindacalismo puro, sindacalismo all’antica, profondamente rivoluzionario nella sua essenza, quando non sia frutto del più brutale determinismo storico, ma di una profonda ribellione spirituale, sociale ed umana.

Il fascismo accoglie nei suoi termini schietti la lotta di classe, in quanto che essa è una realtà pragmatica che soltanto gli stolti e gli incoscienti possono negare.

La lotta diuturna tra capitale e lavoro esiste ed esisterà, ma non come una lotta di sterili esaurimenti quotidiani, bensì come una lenta graduale conquista di un superiore diritto collettivo”. (6)

 

  1. MUSSOLINI IMPARA DA BOLOGNA

Sono due posizioni che si confronteranno nel Convegno regionale di inizio aprile che, sullo specifico tema, muoverà dalla relazione Polverelli,   risalente al Congresso di maggio dell’anno precedente, che proponeva la spartizione “tendenziale” della proprietà terriera, in modo da farne una costante diffusa. Grandi e Balbo, anche in considerazione della mutata situazione, con il grande successo fascista tra le masse contadine,   si spingono ora  più in là, con l’affermazione che la terra va data “a chi la fa fruttare e la lavora di più, nell’interesse generale del Paese”.

Una forma di “democrazia rurale”, aliena, però da preconcetti classisti, che non prevede, cioè, spoliazioni e socializzazioni a prescindere, ma subordina l’intervento del (futuro) Stato a quelle situazioni nelle quali l’incuria e l’inerzia dei proprietari significhi, nei fatti, un danno per la comunità nazionale.

Mussolini media, con un suo Ordine del Giorno che mette tutti d’accordo, pur rinvia, nella sostanza, il problema al domani, quando, cioè, il possesso delle leve del potere consentirà l’adozione di provvedimenti di legge che tengano presente la situazione reale, al momento ancora in fase di evoluzione, con proprietari e coloni che, dopo l’ubriacatura del “biennio rosso” vengono scoprendo il dovere delle collaborazione subordinato agli interessi generali.

Né i fascisti hanno timore di adottare linguaggio e modalità di azione dell’avversario ormai vinto. Ai Compagni lavoratori si rivolge l’appello del 26 marzo  della Camera Sindacale del Lavoro, e, sul giornale del 2 aprile, a dare il benvenuto ai convegnisti in arrivo da tutta la regione, sono –per ben due volte- i “compagni di Bologna”, mentre si organizzano riunioni settoriali e assemblee sindacali in stile tradizionale, per cercare di organizzare la massa che si va riconoscendo sotto le bandiere fasciste. Un innegabile stato di cose che verrà ammesso –sia pure con qualche cautela- anche da fonti avverse:

“Ma del tutto fuorviante risulta per la realtà di Bologna – che ha una sua rilevanza nel contesto della Val Padana- il giudizio in base al quale i fascisti, fatta sparire l’antica organizzazione “si trovano le masse sulle braccia” e sono con ciò obbligati a diventare gli eredi dell’organizzazione rossa. Al contrario, i fascisti bolognesi, da un certo momento in poi, le masse vanno a cercarsele, le organizzano, non solo allo scopo di scongiurare un recupero da parte delle organizzazioni confederali. È un punto delicato che va colto, per quanto effimera possa risultare la stagione ascendente del sindacalismo fascista a Bologna e nel resto del Paese”. (7)

Come si vede, il Fascismo vive una situazione “di crescita” che non consente –e in questo senso è giusta la posizione mediatrice di Mussolini- di  dire parole definitive, e suggerisce il rinvio di ogni decisione. Ma il Convegno di Bologna è importante anche sotto almeno due  altri aspetti: uno psicologico e relativo a Mussolini, l’altro politico che riguarda il miglioramento dei rapporti tra il Capo del Fascismo e d’Annunzio, freddi da tempo.

Sono, quelle emiliane di Mussolini, giornate fondamentali nella storia del Fascismo: qui, per la prima volta il futuro Duce ha la palpabile sensazione che si può vincere e conquistare il potere. Della Bologna  roccaforte rossa per eccellenza ormai non resta più niente; la Provincia, dove incontrastate dominavano le Leghe, vede cadere, una dopo l’altra le vecchie signorie, ed è nella vicina Ferrara, all’aperto, non nel chiuso del teatro bolognese, che arriva la conferma.

Balbo,  su un palco che ha per sfondo  70 bandiere rosse  sottratte  alle sedi social-comuniste (o volontariamente consegnate), fa sfilare, il giorno 4,  20.000 fascisti della provincia (gli iscritti al movimento sono 80.000 in tutta Italia), inquadrati dietro il tricolore e i gagliardetti dei Fasci dei rispettivi paesi.

Il Capo capisce così di poter contare non più solo sugli arditissimi che, in nuclei di qualche decina, sparsi sul territorio nazionale, danno fuoco a Camere del Lavoro e fanno a pistolettate con i “rossi”, ma su masse vere e proprie, per le quali vanno solo creati gli strumenti organizzativi adatti.

Non è un  caso se, proprio in un paese del ferrarese,  a S Bartolomeo in Bosco, il 28 febbraio ( e “L’Assalto” ne dà puntuale notizia) ,  si    costituisce il primo sindacato fascista, a  dimostrazione del radicamento sul territorio del movimento.

A fondarlo è un rappresentante tipico dei tanti braccianti vessati dalla prepotenza social-comunista: l’ex combattente Alfredo Giovanni Volta, che l’anno prima era stato “boicottato” dalla Lega locale, con un proclama nel quale si diceva, tra l’altro:

Decretiamo il boicottaggio contro il Volta e la sua famiglia per quattro generazioni di seguito; ma che sia applicato in tutto il suo rigore, in modo da costringerli a morire di fame”.

Su un piano più propriamente politico, come accennato, rileva l’incontro, a Gardone, tra Mussolini e d’Annunzio, il giorno 5, al termine della visita in Emilia.

Contrariamente a quanto si crede, non è il romagnolo a sollecitarlo, per riallacciare i rapporti, dopo il Natale di Sangue, ma è il Poeta a  proporlo, per mezzo di due suoi messaggeri inviati a Milano. Lo scopo è probabilmente, quello di normalizzare la situazione tra i suoi Legionari che qui e là cominciano a dare qualche segno di insofferenza, e le arrembanti Camicie nere.

Un incontro che è un ottimo auspicio, in vista dello scioglimento delle Camere che è nell’aria, e sarà deciso da Giolitti il 5 aprile. Mussolini, che probabilmente ne è stato informato in anteprima già   dal Questore di Milano Giovanni Gasti, il giorno 2, su “Il Popolo d’Italia” ha indicato l’atteggiamento da prendere, in un articolo significativamente intitolato “Preludi elettorali”, il cui contenuto sarà poi ufficializzato in una deliberazione del Comitato Centrale.

Il giornale bolognese ne riprende ampi stralci:

Se il gioco vale la candela, il fascismo va alle urne; caso contrario, e lo si è visto in occasione delle recenti lotte amministrative, si disinteressa del fatto elettorale. Nessun dubbio che nelle imminenti elezioni il gioco vale la candela e la partecipazione alla battaglia elettorale si impone quindi come una suprema necessità, come un dovere categorico per tutti i fascisti italiani….

Ma qui dobbiamo parlare molto chiaro agli armeggioni dei Partiti affini. Dobbiamo ricordare loro che il Fascismo è il dominatore della situazione; che il tempo delle piccole manovre elettorali è passato; che i Blocchi nazionali devono avere un’impronta fascista anche nel segno della scheda, in quanto che senza le decine e ormai le centinaia di morti che il Fascismo ha dato generosamente alla riscossa nazionale, liberalismo e democrazia sarebbero stati travolti per sempre…

D’altra parte devesi considerare che il responso delle urne gioverà, se favorevole, al Fascismo, non lo danneggerà, se contrario. Noi ci siamo attrezzati in special modo per altro terreno e per altre battaglie, il cui risultato è consacrato nella storia di ieri, e, se necessario, sarà consacrato nella storia di domani.” (8)                  

Buon viatico è anche la lettera con la quale  Ardengo Soffici, definito dal giornale   “fascista onorario”,  per il suo interventismo, la partecipazione alla guerra  e l’ammirazione per d’Annunzio, risponde a Giorgio Pini, :

Io mi troverò sempre accanto a tutti coloro che adorano come me la divinità dell’Italia bella e grande, e legato ad essi in tutti i modi.

Per ora faccio il fascista con la penna; se venisse il momento di una lotta decisiva, lo farò con qualcos’altro.

Rallegramenti e saluti cordiali a lei ed ai suoi compagni bolognesi, ammirevoli difensori della Patria italiana”. (9)

 

NOTE

  1. “L’Assalto”, nr 8 del 26 febbraio 1921, trafiletto in seconda pagina
  2. “L’Assalto”, numero 1 del 8 gennaio 1921: “Andiamo dritti per la nostra via”, in terza pagina
  3. “L’Assalto”, numero 5 del 5 febbraio 1921: “ Un nuovo fascista”, in quarta pagina
  4. “L’Assalto”, numero 1 del 8 gennaio 1921: “Undici lire di proteste”, in terza pagina
  5. “L’Assalto”, numero 8 del 26 febbraio: “Ufficio di collocamento”, in quinta pagina
  6. “L’Assalto”, numero 11 del 19 marzo, “Fascio e Camera sindacale”, in seconda pagina
  7. Luigi Raffa, Squadristi e sindacalisti, in: (a cura di) Luciano Casali, Bologna 1920 le origini del fascismo, Cappelli Bologna 1982, pag. 207
  8. “L’Assalto”, numero 15 del 16 aprile 1921: “Elezioni”, in prima pagina
  9. “L’Assalto”, numero 14 del 9 aprile 1921: “Una lettera di Ardengo Soffici”, in prima pagina

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