Seconda parte
Punto di partenza
Si deve partire quindi dai fondamentali: stile, coscienza etica e metafisica, assunzione principiale e ideale. Questi fondamentali vanno coniugati con l’analisi delle rivoluzioni in atto nella società e nel mondo per fornire l’attualizzazione dei riferimenti assoluti trasformandoli in motori di una rigenerazione in itinere. L’attualizzazione dev’essere un progetto condiviso e duraturo, in quanto poi all’acquisizione di una strategia, essa non può prescindere da tre fattori essenziali:
– la conoscenza di tutte le leggi della società liquida nel contesto delle rivoluzioni in atto, senza la quale nessuna scelta operativa potrà avere successo reale e duraturo;
– l’articolazione della strategia nei confronti dei target strategicamente significativi che esporremo tra breve;
– la presa d’atto che nulla può esser fatto senza sinergie e privi di una direzione condivisa, ma anche che ciò è impossibile da prodursi se viene proposto con accordi a tavolino, è realizzabile invece con l’andare del tempo, quasi per automatismo, grazie alla forza delle cose. Purché ovviamente ci sia una minoranza anche esigua, ma qualificata, che è consapevole di questa necessità e che per essa, silenziosamente, lavora.
Da quest’ultima consapevolezza ne deriva un’altra e cioè che non è necessario che i singoli soggetti siano d’accordo con le sinergie per farne oggettivamente parte, per cui sarebbe sbagliatissimo escludere mentalmente dal novero dei protagonisti quelli che sono recalcitranti. La forza delle cose è più imponente dei capricci umani, delle vanità e degli egoismi e andrà avanti da sé, se ben indirizzata. Va aggiunto che non è affatto necessario che siano numerosi coloro che conducono consapevolmente un’azione strategica che coinvolgerà gli altri e anche che, in ultima analisi, i pochi consapevolmente attivi potranno non beneficiare in prima persona dei frutti del loro operato. Un’ultima accortezza prima di passare all’esposizione del cosa fare: chi è preso dall’angoscia per il domani e spera di passare un cancellino sulla lavagna per uscire dal mondo d’oggi e dalle sue problematiche farà bene a rassegnarsi, non ha scampo. L’operazione necessaria a cambiare le cose non è distruttiva ma creativa, non è negativa ma positiva, e seppure è chiamata a centrare successi tutti i giorni non potrà mutare il quadro significativamente se non nel giro di qualche decennio. Non c’è quindi posto né speranza per egoisti e innamorati di sé: sono arrivati al capolinea. Al massimo possono insistere ad illudersi chiudendo ostinatamente gli occhi.
Uomini decisi e bambini capricciosi
Chi non sopporta più pressione fiscale, crisi economica, fanatismo mondialista, discriminazioni giuridiche e politiche, meschine figure italiane in Europa e nel Mondo, immigrazioni massicce, nuove religioni, una classe politica risibile, una società disconnessa e in sfacelo, può solo rimboccarsi le maniche, impugnare gli attrezzi, iniziare a scavare e a costruire. Il che non è ovviamente possibile senza avere un progetto, dei disegni, una disciplina, degli strumenti. Se uno si mette all’opera deve prima prendere atto del terreno e del materiale e smettere d’immaginarlo nella sua testa. Scoprirà così che per esempio la migrazione non dipende solo da disegni di qualcuno e dagli sporchi interessi miliardari di qualcun altro e neppure dal fanatismo utopico di certa gente. Tutto questo è concausa, ma esistono un crollo demografico italiano, ancor maggiore di quello europeo, un’esplosione demografica in Africa e un sistema internazionale che produce inesorabilmente questa situazione che ovviamente non può essere modificata se non si combattono i responsabili dello schiavismo buonista ma non senza coordinare un piano di sviluppo in Africa per le nostre aziende e una cooperazione intergovernativa. Per colmare il divario demografico, ovvero per riportare in attivo una popolazione morente, servono almeno cinquant’anni e non sono decisivi gli incentivi economici perché sono in genere i poveri, non i ricchi, a fare figli. Semmai servono una nuova etica e una volontà di potenza, ma sempre di mezzo secolo si parla perché si possa eventualmente dire che si sarà invertita la tendenza. Non si può nemmeno immaginare di porre mano alla crisi economica se non si comprende quanto essa dipenda dalla nostra morte biologica oltre che dallo sviluppo aggressivo dell’Asia. Era prima che tutto questo si verificasse che la nostra economia andava meglio di oggi, non è stato l’Euro a distruggerla e men che meno la Ue che, a sua volta, è un effetto di risposta ai nuovi scenari mondiali. Il cambio sbagliato del 2002 ha avuto indubbiamente grandi responsabilità ma il problema è altrove. Chi pretenda di uscire da questi incubi tramite un risveglio popolare o una maggioranza parlamentare che cambierebbe tutto legiferando con una bacchetta magica riguardo dinamiche su cui i poteri istituzionali hanno incidenza molto limitata se non quasi nulla, ha bisogno di seguire qualche corso d’infarinatura di sociologia, di economia, di storia e di politica. E chi sogna che tutto si risolverà al più presto così com’egli vuole è soltanto un bambino capriccioso che pretende che la realtà che non gli piace non esista e spera di cancellarla negandola e magari anche frignando un po’, come ha iniziato ad andare di moda in ambienti che pure si vorrebbero virili.
Dinamo e sintesi
Sappiamo perfettamente che saranno in molti a rifiutare rabbiosamente quanto abbiamo appena descritto e anche quello stiamo per esporre: per guardare dritto nel sole servono occhi d’aquila, per guatare l’abisso senza confondersi con l’abisso è indispensabile una saldezza che non ha necessità di stampelle. Servono virtù prische e tra queste gli Antichi Romani non hanno mai annoverato la speranza. I più si rifiuteranno di prendere atto della realtà perché si sgomenteranno: molto meglio aggrapparsi a illusioni fuori luogo e fuori tempo e riproporre i soliti gesti assecondando i riflessi condizionati, restando così sotto una rassicurante ipnosi. Poco male, anche se si negheranno a sinergie, potrà succedere che queste si verifichino di fatto, a prescindere dalla loro volontà. E se anche quello che fanno, magari con un bel po’ di chiasso, di successo e di visibilità, non avrà in ogni caso alcuno sbocco strategico, il solo fatto di esistere e di creare aggregazione comporta comunque diverse potenzialità per l’avvenire.Per assumere una valenza strategica e dei ruoli funzionali, superando dunque l’atomizzazione e l’autoreferenzialità si deve partire da alcuni punti fissi.
– L’operato non deve essere bramoso né inquinato da desiderio di possesso. Quanto già era discutibile nella società solida è diventato addirittura inefficace nella società liquida. L’obiettivo non può perciò essere la crescita fisica o materiale del proprio io/gruppo e non può neppure essere quello della “conquista dello Stato (o del Parlamento)”, né l’ideologizzazione delle masse atomizzate.
Il solo obiettivo efficace è quello di trasformare la trasformazione; d’inserire nuovi simboli, colori, segni, e di tracciare alvei diversi per il fiume in cui scorre impetuosa questa fase storica. Si tratta non solo di dare più che di prendere ma addirittura di dare senza prendere. È il dare stesso, indirizzato a risultati concreti, a dover rappresentare il suo ritorno. “Io ho quel che ho donato”. O, come dicevano i nostri antenati: “È la virtù stessa la ricompensa della virtù”.
Non si tratta solo di filosofia o di retorica: in questa premessa risiede il segreto per la sola riuscita possibile.
– Poiché la realtà in cui si deve operare è molto articolata e frammentata e dato che le leggi connettive, comunicative e organizzative della nostra epoca sono liquide e fluide, è indispensabile che ci si organizzi in modo articolato e diverso, non monolitico e men che meno uniforme.
– Tenuto conto di queste due premesse dobbiamo maturare una nuova convinzione e cioè che da una parte ci dev’essere la dinamo, una sorta di motore a trazione posteriore o, meglio ancora un generatore, e dall’altra i suoi effetti che devono manifestarsi ovunque, in piena trasversalità, trascinando i germi per una Nuova Sintesi in divenire, con nuovi connotati, che si potrà e dovrà realizzare nel tempo.
Gerarchie inedite
È necessaria un’azione su se stessi, non solo etica, spirituale, culturale, stilistica e di disciplina, ma di decondizionamento mentale utile ad assumere una nuova forma mentis. Nella società liquida nulla è più nel posto in cui si trovava precedentemente, per questo il vertice non appare in cima, il solido non ha caratteristiche tangibili. Chi vuole suscitare qualcosa esprimendolo secondo gli schemi del passato forse non se ne accorge ma è costantemente raggirato perché all’atto pratico crea degli oggetti che sono soprattutto virtuali, legati dal cordone ombelicale ai social dai quali dipendono. I soggetti politici sono ormai diventati dei segmenti di una ghettizzazione scenica che si nutre di se stessa, obbligata dagli stessi social a vivere più in una realtà che non esiste che in quella tangibile. Ed è allora inesorabilmente costretta a strumentalizzare quel che è riuscita a realizzare anche nei radicamenti territoriali al fine d’ingrandire virtualmente la propria immagine tiranna invece di fare l’opposto come sarebbe doveroso. La rete l’avvolge e la svolge come un gomitolo, distraendola dal sostanziale che scade in una dimensione esclusivamente strumentale dove ogni azione non vale più di per sé ma come uno spot per suscitare frenetici I like. I soggetti politici sono condizionati e imprigionati; chi sa come usarli realmente ne è al di fuori o al di sopra, come Grillo e Macron e, in certa misura, Trump e Berlusconi. I partiti sono diventati oggi più dei robot web che non i taxi di cui parlava Enrico Mattei.
Per rispondere alle esigenze della nostra epoca si deve capire che gli strumenti classici sono desueti e che vanno gerarchicamente ridefiniti all’inverso rispetto all’era solida. In un’ottica che non sia quella della fiction i partiti sono concepibili esclusivamente come mezzi di comunicazione e di sussistenza, non di certo come fini e neppure come elementi strategici, in questo sono meno importanti dei movimenti politici che, a loro volta, poco incidono rispetto ai movimenti d’opinione e alle organizzazioni lobbistiche. All’interno dei movimenti e dei piccoli partiti quello che più conta in prospettiva sono l’educazione dei singoli e la crescita delle comunità che prima o poi si dovranno liberare dalle tare settarie che le soffocano e le inaridiscono.
Molto più importanti ed efficaci degli strumenti di reclutamento massiccio sono le strutture leggere: da piccole e snelle unità d’intervento, a reti di comunicazione, per poi salire mano mano ai centri di riflessione e di direzione strategica, fino al sobrio disegno di un archetipo di ordine. Sia dal punto di vista funzionale che da quello valoriale quanto abbiamo esposto risponde ai gradi gerarchici, salendo dalla periferia fino al centro. Poiché fluttuiamo nella liquidità va tenuto presente che non si tratta di gerarchie sclerotiche e soprattutto che le stesse persone possono rivestire più ruoli e funzioni al tempo stesso ritrovandosi quindi al contempo in graduazioni distinte. Infine i movimenti imposti dall’era sono così ondulatori e interrelati che la gerarchia stessa non può essere rigida, anche perché il progredire verso le autonomie e l’evoluzione dei ruoli dei singoli non possono che suggerire la logica delle unità imperiali e il recupero del motto “massima libertà, massima responsabilità”. Anarchi e gerarchici, non solo per passare al bosco come suggeriva Ernst Jünger ma per boschificare e, al tempo stesso, per essere autosufficienti quando si coopera con altri che sono ancora prigionieri di brame, di angosce o di speranze.
SEGUE
Gabriele Adinolfi